Affari&Finanza, 15 marzo 2021
Del Vecchio e Caltagirone a braccetto in Generali
"Ci conosciamo e stimiamo da tanto tempo, ma ognuno va per la sua strada in modo del tutto indipendente”. Leonardo Del Vecchio è stato esplicito, parlando a Giovanni Pons su Repubblica, riguardo ai suoi rapporti con Francesco Gaetano Caltagirone. Il fatto che l’imprenditore romano gli si sia affiancato con l’1% nel capitale di Mediobanca, aggiungendo una piccola ma significativa posizione alle corpose partecipazioni che i due hanno già in Generali e stringendo così la presa sulla compagnia, visto che la stessa Mediobanca è il primo socio del Leone, non è frutto – ha spiegato Del Vecchio – di alcun progetto comune. Nessun matrimonio, neppure di interesse, dunque. Eppure vite e partecipazioni parallele di questi campioni del capitalismo italiano categoria seniores – Del Vecchio avrà 86 anni tra due mesi, Caltagirone ne ha appena compiuti 78 – sono più di una suggestione.
I compagni di strada che si sono incontrati a Trieste e adesso si ritrovano a Milano, piazzetta Cuccia n. 1, mettono in agitazione la Galassia del Nord: non si muoveranno in modo coordinato, ma appaiono come una coppia di fatto che ha molti punti in comune e qualche significativa differenza. E proprio le loro caratteristiche potrebbero rivelarsi decisive nei destini di Mediobanca e soprattutto in quelli di Generali.
Entrambi hanno costruito le loro posizioni in Generali in oltre quindici anni di acquisti. Caltagirone ha in carico il suo 5,65% a un prezzo medio di 11,5 euro, mentre oggi il Leone viaggia attorno ai 17 euro dopo aver toccato un minimo di 10,20 euro nell’ultimo anno. Del Vecchio non fornisce il valore di carico medio del suo 4,8%, ma una minsuvalenza è difficilmente ipotizzabile. Ben distanziate, invece, le posizioni in Mediobanca. Quella Di Del Vecchio, avviata a fine 2019, è una corsa impetuosa che lo ha portato a diventare di gran lunga il primo azionista di piazzetta Cuccia con il 13,2% del capitale e l’autorizzazione a salire fino al 20%. Quella di Caltagirone è, per ora, un passettino, anche se l’Ingegnere è noto per essere un maratoneta degli investimenti che procede piano ma a lungo.
In quanto alle ragioni della presenza in Mediobanca, quella di Del Vecchio si può attribuire in sostanza a due obiettivi: assicurarsi che anche il primo azionista delle Generali spinga nella sua stessa direzione per la gestione della compagnia, nel caso anche assicurando risorse per un eventuale aumento di capitale; e poi andare più a fondo su una questione che il patron di Luxottica considera foriera di conflitti d’interesse, ossia la presenza nel capitale di Mediobanca di società assicurative o del risparmio gestito come UnipolSai e Mediolanum, per loro natura concorrenti delle Generali.
Diverse strategie, stesso obiettivo
Possibile che ora Caltagirone abbia deciso di muoversi nella stessa direzione anche per evitare che tra Piazzetta Cuccia e Del Vecchio si saldi un’intesa troppo esclusiva: anche in una coppia di fatto la gelosia, specie quando si parla di miliardi, può giocare qualche ruolo. La strategia più aggressiva di Del Vecchio per quel che riguarda il miliardo e passa investito in Mediobanca, potrebbe semplicemente dipendere da una disponibilità economica eccezionale, visto che l’imprenditore vanta il secondo patrimonio privato d’Italia, che a oltre 20 miliardi è almeno otto volte quello di Caltagirone. Ma forse a fare la differenza è anche un dato caratteriale ed anagrafico: più impaziente di vedere risultati immediati il signor Luxottica, prudentissimo e anche con una prospettiva temporale inevitabilmente più lunga l’Ingegnere.
Differenze a parte, il dato di fatto rimane che la manovra a tenaglia su Generali e Mediobanca risponde agli interessi o ai desideri dei due di contare di più nelle partite tra Trieste e Milano. In comune, infatti, la coppia di fatto ha anche l’appartenenza a un capitalismo familiare che spesso non ha saputo o voluto separare nettamente il ruolo di azionista da quello di manager. L’aspirazione di entrambi, seppure espressa in modi e forme diverse, è avere delle Generali più forti, maggiormente protagoniste in campo internazionale, magari a colpi di acquizioni e fusioni, proprio come quelle che hanno segnato le biografie aziendali dei due grandi azionisti.
Azionisti storici ma silenti
Qui si incontra però un paradosso: Caltagirone siede ininterrottamente in consiglio Generali dal 2007, dove oggi con la carica di vicepresidente è uno dei consiglieri più longevi. Del Vecchio era uscito dal cda di Trieste nel 2011, in polemica con l’allora amministratore delegato Giovanni Perissinotto, ma nel 2016 l’amministratore delegato della sua Delfin, Romolo Bardin, è rientrato in consiglio. Ebbene, in tutti questi anni non risulta all’ordine del giorno un piano industriale presentato dal management Generali che non sia stato approvato all’unanimità e nemmeno una decisione strategica che abbia visto in consiglio il voto contrario di uno dei due grandi azionisti “privati”. Finora alle parole non sono seguiti fatti particolari. Sono mancate le occasioni o alle dichiarazioni di intenti è poi difficile fare seguire atti concreti? Lo si capirà dal modo in cui verrà affrontata la questione delle questioni, ossia la riconferma dell’amministratore delegato delle Generali, Philippe Donnet, il cui secondo mandato scade ad aprile 2022.
Donnet ha ben performato dal punto di vista dei risultati: i piani industriali approvati dal cda sono stati rispettati e gli azionisti non hanno di che lamentarsi. Anzi, proprio Mediobanca che sta traghettando se stessa e le sue partecipate verso lidi più vicini al mercato e ai grandi investitori istituzionali, ha approvato la decisione presa dalle Generali che la prossima lista di maggioranza per il cda sia presentata dallo stesso consiglio.
L’incognita del dopo-Donnet
In quanto a Del Vecchio ha detto sempre a Repubblica che per Mediobanca e Generali “fin quando ci saranno i risultati non penso che il management abbia nulla da temere”. E Caltagirone? Per ora non si è espresso pubblicamente sulla questione, ma due anni fa – quando Donnet fu rinnovato per la prima volta – l’Ingegnere sedeva in comitato nomine e al posto del manager francese avrebbe preferito Carlo Cimbri, ad di UnipolSai, circostanza che non si realizzò. Oggi chi ha sentito Caltagirone spiega che non c’è alcun pregiudizio verso Donnet, ma l’esigenza di spingere il Leone più avanti sulla strada della crescita. Se l’attuale ad riuscirà a farlo, anche con il prossimo piano industriale, nulla osta a una sua riconferma. Ma, certo, l’Ingegnere sogna di vedere un Mario Draghi anche alle Generali, una figura autorevole e forte che possa spingere la compagnia ancora di più di quanto potrebbe fare un Donnet-ter. Facile da immaginare, più difficile da realizzare, anche perché di cloni di Supermario in giro non se ne trovano molti. Ma il Donnet-ter potrebbe diventare realtà anche in modo diverso da come finora è avvenuto. Alcuni azionisti di peso pensano che l’esordio di una lista del cda possa trasformarsi nell’occasione di presentare assieme a quello dell’ad uscente un elenco di nomi di alto profilo e graditi al mercato, in modo da coagulare il consenso dei grandi investitori istituzionali e ridurre il potere di interdizione di singoli soci, per quanto di peso. Una lista – si spiega non senza un pizzico di malizia – simile a quella che Del Vecchio ha appena presentato per la “sua” EssiLux.