La Stampa, 15 marzo 2021
Il virus e gli effetti del sovrappeso
Non che non fosse noto che l’obesità è un grave fattore di rischio per Covid-19. Studi condotti negli Stati Uniti avevano fornito una gragnuola di dati che dimostravano che avere un indice di massa corporea - BMI - superiore a 30 aumentava del 113 per cento il rischio per i pazienti Covid di essere ricoverati in ospedale, del 74 per cento quello di finire in terapia intensiva, del 48 per cento circa di morire. Ha confermato pressappoco questi dati, l’agenzia britannica Public Health England, fissando ad un 90 per cento l’aumento del rischio di morte per le persone con un BMI superiore a 40, ben oltre cioè la soglia oltre la quale si passa da sovrappeso a obesità grave. Da parte sua il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) ha affermato, pochi giorni fa - attingendo a un data base ospedaliero - che il 78 per cento delle persone ricoverate in ospedale, che avevano bisogno di un ventilatore o decedute a causa di Covid-19, erano in sovrappeso o obese , superavano cioè il peso normale compreso negli adulti tra 18.5 e 24,99.
Ad un anno dall’arrivo dello tsunami Coronavirus, una gragnuola di dati, relativi a ben 160 Paesi, fornisce ora un quadro completo dei danni aggiuntivi provocati da quella che l’Oms ha definito una vera e propria "pandemia", quella dell’obesità. Una prima anticipazione è stata fornita dal British Medical Journal, in un articolo che anticipa già nel titolo i contenuti del rapporto della World Obesity Foundation: i tassi di mortalità più alti sono stati osservati nei paesi con la maggior parte delle popolazioni sovrappeso: dei 2,5 milioni di decessi causati dalla pandemia, a febbraio, 2,2 milioni erano in paesi dove oltre la metà della popolazione adulta era classificata come sovrappeso. I tassi di mortalità da Covid-19 sono dieci volte superiori. Tra i 160 presi in esame - compresa l’Italia- non c’è un solo esempio di paese con meno del 40 per cento della popolazione in sovrappeso e con tassi di mortalità vale a dire oltre 10 ogni 100 mila. E, per contro, nessun paese, con un tasso di mortalità superiore a 100 ogni 100 000, aveva meno del 50 per cento della popolazione in sovrappeso. Così, il Vietnam, per dire, ha avuto il più basso tasso di mortalità da Covid-19 al mondo (0,04 ogni 100 000) ed è al secondo più basso livello di popolazione in sovrappeso col 18,3 per cento . Due Paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna – ad alta prevalenza di persone sovrappeso, obese o decisamente grasse - e su cui da anni s’infrangono gli anatemi e i richiami delle autorità sanitarie – occupano i primi posti al mondo per tassi di mortalità a livello globale e prevalenza dei sovrappeso, rispettivamente 67,9 e 63, 7.
Come si colloca l’Italia rispetto agli altri Paesi europei e che influenza può aver esercitato questo fattore sui tassi di mortalità? Per avere un quadro preciso occorre andare alla fonte, al rapporto, fitto di dati, grafici, tabelle, schemi della World Obesity Foundation ( COVID-19 and Obesity: The 2021 Atlas The cost of not addressing the global obesity crisis, March 2021). Tra i grandi Paesi europei il Belpaese spicca per i tassi di mortalità ( 122.72 su 100 mila abitanti), più elevato, al primo gennaio di quest’anno, di quello della Spagna (108.80) e della Gran Bretagna ( 10.73), tanto per scegliere tra le nazioni più colpite. E’ più bassa invece la percentuale di adulti sovrappeso (58,5, su dati del 2016), in confronto a quei due paesi, (rispettivamente al 61, 6 e al 63,7), dove è molto più contenuta, in percentuale la parte di popolazione che non svolge attività fisica ( 26.9 e 35.8), cosa che sembrerebbe indicare«stili di vita» e abitudini meno sedentarie di quelle italiche. Si conferma anche per il nostro Paese un dato ben conosciuto: la differenza del peso specifico degli over 65 sul totale della popolazione (23,3 per cento), che supera quello di Spagna ( 20 ) e della Gran Bretagna (18.79).
L’obesità, col suo corollario di mali, è nemica della salute, si sa. E le persone con troppi chili di troppo "pesano" in modo esagerato sulla spesa sanitaria, predicano da anni i responsabili delle politiche sanitarie, richiamando i problemi medici più diffusi quali diabete di tipo 2, ipertensione, malattie coronariche, diverse forme di cancro. A questo triste elenco si aggiunge ora il Coronavirus date la possibilità di una funzione immunitaria compromessa e di una ridotta capacità polmonare che può rendere più difficile la ventilazione. A suonare l’allarme non poteva che essere un’istituzione come la World Obesity Foundation, un’istituzione senza scopo di lucro, la cui mission è quella di guidare gli sforzi globali per ridurre, prevenire e curare l’obesità. Cosa che porta forse a sottostimare, in qualche misura, la struttura per età di un paese, la sua ricchezza relativa e altro ancora. Mentre le misure per fronteggiare l’emergenza, compresi i controlli alle frontiere non spiegano del tutto, forse, i casi della Nuova Zelanda, dell’Australia e di diversi stati del Golfo, dove all’elevata prevalenza di sovrappeso tra gli adulti , non corrisponde un alto tasso di mortalità.
Il lungo e documentato rapporto – che ha tenuto in conto studi di vari paesi, tra cui l’Italia- richiama l’attenzione dei sistemi sanitari , col tono del ‘chi vuole intendere intenda’ sulle seguenti evidenze: l’aumento del peso corporeo - dopo l’indice di vecchiaia- è il secondo grande predittore di ospedalizzazione e di rischio di morte per i pazienti Covid-19 ; la riduzione di questo fattore di rischio avrebbe comportato uno stress molto minore sui servizi sanitari, riducendo la necessità di evitare che fossero sopraffatti.
Il Covid-19 non è un unicum: una serie di altri virus respiratori, pronti a balzare fuori da buio a certe condizioni, minacciano di avere conseguenze più gravi nelle persone che vivono con un eccesso di peso corporeo. Per questo occorre riconoscere il sovrappeso come un fattore di rischio maggiore, capace di aumentare la suscettibilità alle malattie respiratorie in generale. Insomma il Covid-19 ha offerto un drammatico promemoria sulla necessità di uno sforzo generale per rafforzare economie più resilienti, capaci di dare la priorità agli investimenti nella salute senza aspettare la prossima crisi sanitaria pandemica.