Il suo maestro Leonildo è stato apprezzato.
«Un uomo fuori dal tempo, la sua vita sentimentale è tutta dentro la musica. L’incontro con Nada lo mette in discussione, lei compie il suo percorso di crescita, lui riesce a fare i conti con il suo mondo sommerso».
Il suo rapporto con la musica viene da lontano.
«Prima di entrare alla scuola del Piccolo Teatro da Strehler, mi avevano proposto di fare il cantante, ho una voce da baritono».
A quel provino arrivò per caso.
«Non dovevo fare questo mestiere, vengo da una famiglia completamente diversa: avvocati, commercialisti, costruttori. Ho studiato al liceo di Draghi, l’Istituto Massimo, sono più giovane, ma abbiamo avuto gli stessi professori.
Decido di fare l’attore, faccio da spalla a un mio amico al provino per Strehler, che prende me».
Come mai?
«Forse perché ho affrontato la prova con grande disincanto.
Strehler vedeva in me qualcosa di anomalo che lo incuriosiva, la mia altezza smisurata e questa mia ingenuità un po’ incosciente, su cui ha lavorato molto. Fino alla sua morte, nel ‘97, ho fatto tutti i suoi spettacoli. Mi ha trasmesso la voglia di giocare con i personaggi, cambiare spesso».
La sua morte è stata un colpo.
«È arrivata insieme a quella dei miei genitori. Mia mamma aveva una malattia incurabile, mio padre si fece venire un infarto prima e le andò ad aprire la porta del paradiso. Era un signore educato, per il maestro di Nada mi sono ispirato a lui. Senza punti di riferimento nella vita, ho perso l’interesse nel lavoro».
E si è finto Nicolas Cage.
«Sì. Non avevo i biglietti per Milan-Roma a San Siro, chiamo il centralino dicendo che sono l’agente di Cage. Hanno fatto tutto loro. Non avevo niente da perdere. Antesignano di Borat .
Mi sono truccato, un po’ di fard nei capelli, lenti a contatto azzurre.
Allo stadio hanno annunciato la mia presenza, mi sono trovato al fianco di Galliani, che aveva un inglese così scarso da non accorgersi del mio, e poi nello spogliatoio con i giocatori seminudi. Ero in un set di Tim Burton, i campioni venivano da me a ringraziarmi per i film».
«Infatti. Poi quando sono stato in tour teatrale a Los Angeles mi sono presentato con il cd delle mie avventure alla villa di Cage a Beverly Hills, non c‘era nessuno e ho buttato il cd oltre il cancello.
Sono piombati dieci addetti alla sicurezza, mi hanno restituito il cd con aria schifata».
È iniziato il trasformismo.
«Sì, lo facevo in parallelo alla vita normale, al lavoro e alla famiglia, quattro figli con una sola moglie.
Da capo africano ho incontrato il sindaco Walter Veltroni, ci siamo scambiati dei doni, truccato da Marilyn Manson sono andato nel galà della pubblicità di Mediaset, mi sono finto John Turturro ai David di Donatello, al fianco di Alberto Sordi. Era una forma di dipendenza».
E poi ecco "Boris" e Biascica.
«Per me è stato riconquistare la fiducia nel mondo televisivo.
Biascica nella scrittura era solo vessatorio, un po’ violento, il re della savana del set, con Mattia (Torre), Giacomo (Ciarrapico) e Luca (Vendruscolo), già dalla puntata pilota gli abbiamo dato un contrappeso di fragilità, debolezza, incapacità di mettersi in relazione con le persone. È orsacchiotto dentro un corpo da Yeti».
Aveva fatto il provino per René Ferretti.
«Si, in disaccordo tra loro, mi fecero fare il provino. Giacomo arrivò in ritardo e senza vederlo mi disse "devi fare Biascica, sei tu". E convinse gli altri. A posteriori l’ho adorato. Mi sono ispirato a un tecnico conosciuto in una stagione di Distretto di polizia . Gli ho aggiunto un po’ di malinconia.
Cercava di vendere oggetti sul set, come Duccio in Boris fa con i saraghi».
Ha conservato qualcosa del set?
«Il cappello con la scritta "asshole" è mio da prima di Boris, l’ho preso a Los Angeles in quel famoso viaggio. Lo tirai fuori alle prove costume di Boris .L’ho in mano in questo momento, è una reliquia. Pronto a tornare in campo».
Fa il prete di casa Totti nella miniserie Sky "Speravo de mori’ prima". Il suo rapporto con la Roma è sempre forte.
«La Roma mi ha cambiato la vita, anche per via di Cage... Mio figlio Arturo ha fatto le giovanili della Roma, è arrivato nella nazionale Under 21 e oggi è nel Cagliari. Il fatto che lui sia un professionista mi ha tolto la follia del tifoso cieco, sono più distaccato. Ma quando segna la Roma il cuore batte come una volta».