Corriere della Sera, 15 marzo 2021
Lucienne, la trombettista scalza
Visto che suona a piedi nudi, si potrebbe definire la Sandie Shaw della tromba. Ma per chi ha vent’anni Sandie Shaw è un pianeta sconosciuto. Nata nel 1999, Lucienne Renaudin Vary abita in un altro millennio, dove finalmente nessuno, o quasi, ha più da ridire se una donna suona uno strumento «maschile» come è stata sempre classificata la tromba. E lei la suona benissimo, scalza d’estate e d’inverno, «Per meglio sentire le vibrazioni della musica, trasmesse fino a terra».
Aveva 9 anni quando, al conservatorio di Le Mans, dove studiava svogliatamente il pianoforte, ascoltò per caso la voce della tromba. «Fu un colpo di fulmine, quello era lo strumento che volevo suonare. E nessun altro». Qualche perplessità dei genitori superata in fretta dall’ostinata passione di una ragazzina. «Mi sono buttata a studiarla a capofitto, la suonavo da mattina a sera, era diventata la mia droga», racconta.
Il talento di Lucienne brucia in fretta ogni tappa: un concorso vinto dopo l’altro, a 15 anni inizia a esibirsi ai festival, a 17 partecipa alla Folle Journée di Nantes, vince il premio come Rivelazione dell’anno ai Victoires della Classica. E firma un contratto con la Warner Classics per il primo album «La voce della tromba». Il secondo, che esce adesso, titolo «Mademoiselle in New York», è un omaggio rovesciato all’«Americano a Parigi» di Gershwin. Un viaggio musicale tra Europa e Stati Uniti con brani dei grandi maestri della canzone e del musical, da Gershwin a Bernstein, da Ravel a Aznavour, dove Lucienne è accompagnata dalla BBC Concert Orchestra e il suo direttore musicale, Bill Elliott.
«Adoro la commedia musicale, credo di aver visto più di cento volte La mélodie du bonheur (in Italia Tutti insieme appassionatamente). Per dirla con Julie Andrews, quel film di tanti anni fa è una delle mie Favourite Things!». Le altre, sempre sul fronte musica, sono l’opera lirica «Carmen sopra tutte», Beethoven, il repertorio barocco, e naturalmente il jazz. «E qui c’entra di nuovo il cinema, buona parte di questo mio amore la devo a Woody Allen. Che nei suoi film usa il jazz in modo magistrale, per evocare atmosfere, creare mondi. Li adoro tutti, forse più di tutti Scoop. E tra le cose per cui vale la pena di vivere che lui elenca sdraiato sul divano di Manhattan c’è Louis Armstrong. Condivido».
Senza scarpe e senza etichette, Lucienne dà fiato alla sua tromba. «Che per me prima di tutto è una voce, la “mia” voce. Quando la suono mi sento davvero me stessa». Voce duttile, che può andare in solitaria come in gruppo. Eppure le donne trombettiste sono ancora poche, nelle orchestre sinfoniche si possono contare sulle dita di una mano. «I pregiudizi sono duri a morire. Si dice che la tromba deformi il viso, gonfi le gote e le labbra… Certo, come ogni strumento richiede impegno e allenamento, devi imparare a respirare, a costruire una muscolatura facciale. Ciascuno ha la sua tecnica, a me è venuto tutto naturale».
È uno strumento faticoso? «Sì, ma come tanti altri. Quelli che qualcuno ha decretato come “maschili”, i più grandi che richiedono più forza. Ma le donne sono forti! Qualcuno dovrà ben ricredersi». Il sogno per domani? «Che questa pandemia sparisca per sempre. Gli strumenti a fiato sono sotto tiro, accusati di diffondere temibili goccioline. Se non finisce in fretta, la tromba dovrò suonarla solo per me».