Corriere della Sera, 14 marzo 2021
Il ritorno del razzismo contro gli asiatici
Gli Stati Uniti sarebbero afflitti da una ricorrente forma di razzismo. Secondo una associazione nata per proteggere le comunità asiatiche da trattamenti ostili, le autorità di polizia, fra il marzo e il dicembre dell’anno scorso avrebbero ricevuto 2.808 segnalazioni di atti offensivi o addirittura violenti commessi in 43 Stati della Federazione americana. Non è una novità. Il trattamento riservato ai cinesi nei cantieri della grande rete ferroviaria che unificò gli Stati Uniti dalla costa dell’Atlantico a quella del Pacifico nei primi decenni del XIX° secolo, fu spesso brutale.
Più recentemente si è diffusa la convinzione che gli asiatici abbiano approfittato della globalizzazione per invadere i mercati americani con i loro prodotti e siano responsabili della disoccupazione (un picco del 14,80 % nel 2020). Donald Trump, quando era presidente, cercò di nascondere gli errori commessi durante la pandemia del coronavirus accusando la Repubblica Cinese di esserne responsabile. Nel caso dei giapponesi il razzismo americano ha una forte connotazione nazionalista. L’affondamento della flotta americana a Pearl Harbor nel dicembre del 1941, prima della dichiarazione di guerra, suscitò sdegno e in molti casi un esplicito odio razziale. Le autorità americane non si limitarono a trattare come nemici i cittadini giapponesi che erano in quel momento sul territorio americano. Si spinsero sino a chiudere in campi di concentramento anche i cittadini americani di origine giapponese. Erano 120.000 quelli che vivevano sul territorio nazionale, soprattutto lungo le coste occidentali del Continente; ed erano 130.000 quelli che vivevano in regime militare nelle isole Hawaii, l’arcipelago vulcanico del Pacifico che era allora territorio americano e sarebbe diventato Stato federato nell’agosto del 1959. Una relazione commissionata dal Congresso, una ventina d’anni dopo, giunse alla conclusione che il trattamento riservato ai cittadini americani di origine giapponese fu provocato da un’ondata di nazionalismo piuttosto che da esigenze di sicurezza. Da allora nuovi studi storici giungono alla conclusione che anche il giudizio americano su Pearl Harbor fu viziato da pregiudizi nazionalisti. Nella crisi che aveva preceduto il conflitto gli Stati Uniti avevano colpito il Giappone con l’embargo dei prodotti petroliferi: una decisione che per il diritto internazionale non è meno ostile di un atto di guerra. Mentre altri sostengono che anche l’uso della bomba atomica contro il Giappone nell’ultima fase del conflitto era un regolamento di conti. Qualcuno, maliziosamente, sostiene che contro i tedeschi non sarebbe mai stata usata.