Specchio, 14 marzo 2021
Cronaca del delitto di don Mario del Becaro
L’omicidio della canonica non ha avuto testimoni. La sera del 28 dicembre 2012, non c’era la perpetua, nemmeno le telecamere di sicurezza quando don Mario del Becaro, 63 anni, da 26 anni parroco di Tizzana, arrocco di case in provincia di Pistoia, è stato lasciato agonizzante davanti la cucina di casa. Eppure gli inquirenti hanno udito i dialoghi degli assassini e seguito il barbaro pestaggio del prete. Senza averli mai visti, senza che nessuno li indicasse, hanno anche individuato gli autori, risolvendo un caso unico negli annali giudiziari.
Per capire cosa è accaduto bisogna tornare al novembre precedente, quando in poche settimane don Mario dal suo gregge di fedeli, si ritrova incaprettato, vittima di un furto, scivolato in rapina, sfociata in omicidio. In quei giorni di fine autunno il sacerdote stringe una relazione clandestina con Lover Hening, giovane sinti di 24 anni, quaranta meno del prete, abitante nel campo nomadi di via Pollative a Prato. In due mesi di frequentazione, tra lussuria e capricci, il ragazzo ottiene generosi regali dal prete, come cinquemila euro in contanti e persino una grintosa Mercedes. Un amante troppo esoso, tanto che don Mario interrompe la relazione, senza però nemmeno immaginare la reazione del giovane. Nella notte tra il 17 e il 18 dicembre 2012 Hening sfonda la porta della canonica, lo terrorizza, chiede altri soldi e lo minaccia. Il parroco chiama i carabinieri che arrestano il sinti per tentata estorsione aggravata e violazione di domicilio. L’incubo pare finito, ma siamo solo agli inizi.
L’incursione notturna di Hening deflagra nella piccola comunità toscana e alimenta il pettegolezzo. Si diffondono le voci più incredibili, che indicano don Mario come ricchissimo, erede di fortune incredibili, protette in diverse casseforti in canonica, strapiene di denaro in contanti. Tra i primi a raccogliere questo chiacchiericcio è Bledar Haxhillari, pregiudicato albanese privo di scrupoli e convivente della sorella di Hening. L’uomo si confronta con il fratello Gazmor, criminale di rilievo, già condannato nel 2001 a 18 anni per tentato omicidio e una serie di violente rapine a coppiette appartate in auto (ne sconterà solo la metà). Bledar architetta un piano ingegnoso: sostituirsi a Hening come amante, sfruttare le «condizioni di particolare debolezza della vittima – scriveranno i giudici di Cassazione - alla "ricerca di partner sessuali giovani" con cui vivere relazioni clandestine» e derubare il prete delle favoleggiate ricchezze.
I Haxhillari reclutano così altri due fratelli, Arber, che farà da autista e palo, e Fation Kraja, per partire all’assalto della canonica. Il 27 dicembre Bledar bussa a casa del parroco, il sacerdote apre. Non lo riconosce subito ma Bledar improvvisa, si fa suadente, allude a un’amicizia risalente negli anni. Don Mario è ancora scosso dal burrascoso epilogo della relazione con Lover e intravede un inatteso ristoro. Accoglie Bledar, stanno insieme sino al tardo paromeriggio. L’albanese è cinico, disincantato, senza preamboli si propone come amante, chiede soldi per concedersi: «in più circostanze – si legge negli atti del processo - ha con il prelato momenti di intimità verosimilmente i due si toccano, si provocano e si eccitano. L’Haxhillari provoca continuamente il parroco, stimolando i suoi desideri erotici, poi bruscamente interrompe tali momenti libidinosi, chiedendogli cospicue somme di denaro per proseguire, con frasi del tipo "Devo comprare le medicine a mio padre o mi dai mille euro o niente. (…) Ti amo, ti amo, sono innamorato di te"». «Tra un atto libidinoso e un discorso teso ad accattivarsi le attenzioni del prete, l’Haxhillari incentrava quasi esclusivamente il suo interesse su questioni economiche, sempre rivolte a carpire informazioni su quanti soldi poteva avere il sacerdote, quanti ne aveva dati a Lover e se le anziane del luogo, dopo la loro morte, gli avevano lasciato l’eredità». Con l’albanese che gli dice: «Per esempio, tu hai un sacco di soldi, no, una persona c’ha un sacco di soldi, no, però è da solo come un cane! Come cazzo fa?...(omissis), quando una persona è sola, vaffanculo ai soldi». In quelle ore cruciali Bledar studia soprattutto il colpo, gli ambienti, individua le casseforti, cerca di carpirne eventuali combinazioni: «Don Mario, basta la chiave o servono anche i numeri?». E immagina la situazione ideale per far entrare di nascosto i complici l’indomani, quando sarà il grande giorno.
E così, nel tardo pomeriggio del 28 dicembre, Bledar incontra di nuovo don Mario. Dalle 17.51 alle 18.49 stanno in camera da letto poi, alle 19.14, quando la vittima si trova in una stanza lontana dall’ingresso, l’albanese fa entrare di soppiatto il fratello e il terzo complice per poi raggiungere da solo la vittima. «Don Mario si è fatto tardi, io andrei, mi accompagni alla fermata dell’autobus?», «Certo, vengo anch’io». «E quanto tempo ci vorrà?», chiede Bledar per far udire ai complici nascosti il tempo che avranno a disposizione, «dieci minuti», risponde don Mario che chiude a chiave la porta della canonica, senza nemmeno immaginare che all’interno della canonica Fation e Gazmor, iniziano a rovistare nei mobili e ribaltare i cassetti. Giunti alla fermata, il parroco si congeda per tornare verso casa. Bledar avvisa subito i complici che non possono scappare con la porta chiusa a chiave. Ma non si scompongono, anzi, salgono al piano superiore, si nascondono e rimangono in attesa. Immobili al rientro di don Mario alle 19.29, immobili per tutta la cena che il parroco consuma con un conoscente.
Questa apparente fragile normalità va in frantumi alle 20.42, quando il sacerdote, salutato l’amico, sale al primo piano e inevitabilmente incrocia i due malviventi. Don Mario grida, cerca di difendersi dai colpi che riceve ma ha presto la peggio. Cade una prima volta, prova a rialzarsi, ricade nella violenta colluttazione, ricevendo colpi per almeno cinque interminabili minuti. I rapinatori lo imbavagliano, con lacci realizzati da pezzi di stoffa e vestiario, nastro isolante nero intorno a occhi e bocca, legano le mani ai piedi, lo incaprettano. Trascinano il corpo giù per le scale, indifferenti a lamenti e fratture di costole. Aprono e svaligiano le casseforti. E qui l’amara sorpresa: i ripiani dei forzieri sono semivuoti, in tutto, gli assassini portano via appena 200 euro. Don Mario si lamenta in modo sempre più tenue fino alle 20.55 mentre i due rapinatori, arraffato quanto trovato, alle 21.14 si danno alla fuga con l’utilitaria del prete. Passano quasi tre ore senza che accada nulla. In canonica un silenzio spettrale fino a mezzanotte, quando una gazzella dei carabinieri si ferma di fronte alla chiesa di san Bartolomeo. I militari, insospettiti dalla porta della canonica ancora aperta, entrano. Appena dopo l’ingresso, subito a destra prima del tavolo ancora apparecchiato con due bottiglie d’acqua, due bicchieri, vino e frutta, trovano don Mario a terra, «…con mani e piedi ancora legati, col bendaggio degli occhi ancora apposto, ma non occludente le narici, e quello della bocca invece abbassato, in modo da non occludere l’apertura orale, dalla quale usciva sangue». Alle 3.30 arriva il medico autoptico, l’esame eseguito alle 13.30 rivelerà che la morte, intervenuta verso le 22.30, è avvenuta per soffocamento. I carabinieri interrogano la perpetua, Maria Assunta, che racconta loro degli incontri del prete con giovani che si prostituivano. Gli inquirenti trovano in canonica pacchi di preservativi.
Un caso difficile nella ricostruzione, se non fosse per una clamorosa particolarità che accelera e aiuta le indagini. La canonica è zeppa di microspie che hanno registrato ogni parola degli assassini, ogni colpo inferto, ogni istante dell’agonia. Erano state piazzate per l’estorsione patita poco prima da don Mario ed erano state lasciate attive alla ricerca di possibili complici di Lover. Una cimice era collocata sul montante della porta dell’ingresso, un’altra all’interno di una presa elettrica in camera da letto, una terza nella lampada d’emergenza in cucina.
Le registrazioni fanno svoltare l’inchiesta quando riproducono lo scambio dei numeri dei cellulari tra don Mario e Bledar, il nuovo amante, basista della rapina. Gli inquirenti del Ros dei carabinieri analizzano tutto il traffico generato dalle celle radio base dei ripetitori serventi Tizzana per individuare la banda. In aiuto interviene anche l’esame scientifico di alcuni reperti: una cicca di sigaretta rinvenuta all’interno dello studio della vittima, e alcuni frammenti di un guanto in lattice, strappatosi nel corso dell’aggressione al primo piano. I due dna maschili rilevati sono caratterizzati da notevole somiglianza, devono appartenere a due fratelli per linea di padre. E infatti: la sigaretta l’aveva spenta Bledar, il cui dna verrà preso e comparato da un mozzicone gettato durante un pedinamento, mentre i guanti erano indossati da Gazmor. In aiuto arriva anche un autovelox, che immortala l’auto del prete sulla statale a Carmignano, verso Firenze per essere poi ritrovata nella zona industriale di Prato, il successivo 9 gennaio. Il 13 giugno 2016 la Cassazione condanna Gazmor Haxhillari a vent’anni di reclusione, 16 anni andranno invece a Fation Kraja, Bledar se la caverà con sei anni. Gazmor dietro le sbarre scriverà ai familiari del sacerdote: «Mi sono pentito e mi vergogno. Non oso chiedervi perdono, perché il vostro dolore è troppo grande». Non verrà mai perdonato.