Specchio, 14 marzo 2021
Storia di un forcolaio ai tempi del Covid
«Nel 2020 non ho lavorato con i gondolieri. Non ho fatto nemmeno un remo. Tutto fermo. Ho realizzato qualche forcola per veneziani che vanno in barca e poi ne ho di ferme, assieme a dei remi, che un americano di Seattle doveva venire a prendere, ma per colpa della pandemia non si è mosso. Questo vuoto però non mi ha fermato, mi ha consentito di pensare, di andare oltre l’ostacolo, di usare la testa per vedere un futuro diverso per il mio lavoro. Per tracciarlo e non subirlo rimanendo a recriminare. Diciamo che voglio essere artefice della mia vita». Piero Dri ha 37 anni, è il più giovane dei quattro remèr di Venezia. Al posto di mettere in pratica la laurea in Astronomia, ha preferito il mondo delle barche tradizionali che solcano la laguna.
È andato a bottega da Paolo Brandolisio, erede dell’ultima storica bottega di remèr che fu di Giuseppe Carli al ponte dell’Osmarin, a Castello. E partendo proprio dall’idea di Carli, che per primo mise una forcola, su un piedistallo, come un’opera d’arte, Piero ha iniziato nuovi percorsi lavorativi che s’intrecciano con l’arte, il rispetto dell’ambiente, la sostenibilità dei prodotti usati e comunque sempre nel rispetto delle tradizioni del suo mestiere.
La sua bottega è in ramo de l’Oca, a due passi da Strada Nuova e dal traghetto di Santa Sofia. Quando l’ha aperta l’ha chiamata "Il Forcolaio Matto". Di certo ora non molla, anche perché il periodo di chiusura ha fatto riscoprire la voga in città. Da sempre Piero è convinto che «la voga è un modo alternativo di vedere e vivere la città di Venezia. Un modo sano, intelligente e assolutamente low cost di spostarsi e di scoprire i segreti e gli angoli più nascosti della città d’acqua più bella al mondo».
Per evitare di essere travolto, eccolo a realizzare forcole come opere d’arte assemblando legni diversi e sviluppando forme nuove o meglio rielaborando vecchie tracce di storici maestri. «Recentemente ho realizzato una forcola con una forma che mi ha dato Paolo Brandolisio. Era una forma realizzata a suo tempo dal maestro Carli. È diventata un pezzo da collezione, pur rimanendo una forcola che si può utilizzare in barca. Invece abbiamo già venduto la composizione realizzata insieme a un maestro vetraio. In questo caso il vetro diventa l’acqua che accarezza la forcola».
Da sempre per Piero è fondamentale il rispetto dell’ambiente e la sostenibilità dei prodotti, in particolare il legno, usati nel suo lavoro. Se non bastava altro, i reméri veneziani ora devono fare i conti con la mancanza del ramino, il legno che da decenni ha sostituito il faggio nella produzione dei remi. Un legno ricavato da un albero tropicale che cresce nelle foreste di Indonesia, Malesia e Singapore, devastate dall’industria che produce tasselli di legno, stipiti, cornici, persiane, mobilio e stecche da biliardo. Distruggendo questo albero e le sue foreste, si mina la vita di un intero ecosistema e delle specie che in esso vivono: come gli orango tango e la tigre dell’Indocina, la tigre di Sumatra e la tigre della Malesia. «Il ramino non si trova più. Io ne ho ancora, forse, per fare 30 remi. Era perfetto per questo impiego: peso specifico basso, duro e con le fibre prive di nodi. Cercare un sostituto nell’era dei compensati è ben difficile. Per questo sto collaborando con un importatore friulano di legnami provenienti da zone del sud del mondo. Si tratta di legni ricavati da piante coltivate in maniera ecosostenibili. Ne sto testando alcuni tipi. Purtroppo la devastazione fatta nelle foreste tropicali, degli ultimi decenni, sta avendo costi spaventosi per l’umanità».