14 marzo 2021
In morte di Raoul Casadei
Michele Smargiassi, la Repubblica
Un destino: nacque il giorno di Ferragosto, che è la festa nazionale della Romagna sua. Una cosa sola riusciva a incrinare l’imprinting solare di Raoul Casadei, il re del liscio, che il Covid ci ha portato via a 83 anni, ieri all’ospedale Bufalini di Cesena: quando lo trattavano da figlio di un Do minore. Quando gli dicevano che la sua era musica di serie B, da avanzi di balera, tre accordi al tempo di zum-pa-pa, roba facile, kitsch, commerciale, disimpegnata. Allora lui si metteva serio, disarmava il sorriso di scena e ti diceva: “Io faccio una cosa sociale, politica. La gente fatica e suda tutta la settimana. Noi al sabato gli diamo una sera di gioia. Prima c’erano solo i night per i signori. Con la mia musica la gente ha fatto l’amore, si è sposata, ha tirato su i figli, qualcuno ci è perfino andato al cimitero."
Chissà se ci sarà una mazurka anche per il suo. La pandemia lo impedirà, peccato, ma ci sarà pure una pista da ballo, là dove sta andando, sennò che paradiso è? Ci troverà i centomila che lo hanno preceduto, tanti di loro si saranno sicuramente avvitati in un Battagliero o una Migliavacca, scarpe di vernice che crocchiano, gonna sfarfallante e polpaccio malandrino che scatta su come una molla. Se ne va, Raoul Casadei, assieme alla generazione che come lui partì dalle macerie della guerra e arrivò ai frigoriferi del benessere, la generazione che per sei giorni costruiva un paese, e il settimo si ubriacava di valzerini a gentile richiesta; una generazione convinta che il domani è meglio dell’oggi e che la ricompensa al sudor della fronte è nell’aldiquà, meglio se pagata a scadenza settimanale con assegni di polke infuocate. Per questo Raoul, tutte le sere, prima di salire sul palco, diceva ai ragazzi dell’orchestra la stessa frase: “Cio’ burdel, stasira bsògna déj”, stasera diamoci dentro per questa gente che se lo merita, “e spingiamo col didietro”, perché lui era un musicista vero e sapeva che sì, ok, clarinetto e sax fanno i merletti, la fisarmonica tira come un treno, ma senza il dum dum di basso e batteria dalla retrovia del palco i piedi dei ballerini non si schiodano dalla plancia di legno.
Questo gli aveva insegnato zio Secondo Casadei, il patriarca, lo Strauss della Romagna, il violinista che sconfisse il boogie-woogie perché fondo era più americano ancora, con i suoi smoking bianchi hollywoodiani e quei baffetti alla clerghèibol. Lui nel ’28 ebbe l’idea geniale, inventò di sana pianta una tradizione, impastò un po’ di operetta, di Offenbach e di Strauss, li scaldò come piadine e ne sfornò una specie di droga sonora che la gente non voleva smettere di ballare neanche alle tre di notte. Romagna Mia è la terza canzone italiana più ascoltata al mondo. La Romagna è come New Orleans, diceva Raoul, “la nostra musica è il dixieland italiano, una cosa nazional-popolare”.
Che poi lui sperava di scamparsela, in verità. Se ne era andato in Puglia per diciassette anni a fare il maestro elementare, “emigrante al contrario”, aveva sposato Pina, una collega napoletana, sì certo aveva scritto qualche canzoncina e suonava la chitarra ma non ci pensava più. Solo che poi Secondo morì, nel 1971, e da casa gli telegrafarono: “Zio voleva che continuassi tu”. E quando la zum-pa-patria chiama, si risponde. Raoul si licenziò a un anno dal minimo pensionabile, rimpatriò e indossò la giacca di lamé da ammiraglio della più formidabile corazzata del liscio che abbia mai incrociato l’oceano del sabato sera. Aveva un asso nella manica: un motivetto ovviamente in tre quarti, Ciao mare. Lo fece sentire ai capoccioni della Rai. Storsero il naso, “è una canzoncina da ombrellone”. Allora andò da Vittorio Salvetti, il patron del Festivalbar. “Carina”, disse, “ma come faccio a metterti sul palco con Elton John e i Bee Gees?”. “Vedrai, piacerà anche a loro”. Bene, Ciao mare arrivò terza, nell’estate del ’73 restò mesi in cima alla hit parade e vendette milioni di dischi. Quel che successe poi, è leggenda. Divise sfolgoranti, cachet da nababbi, pacchi di autografi “a Deborah e Samantha con simpatia”, televisione, perfino cinema, serate ovunque, più di un concerto al giorno, tournée internazionali, alberghi di lusso, e quel pullman sfavillante con la scritta Orchestra Spettacolo dove si favoleggiava ci fosse dentro anche la sauna. Tutta l’Italia divenne allora una grande Romagna, “ho unito il paese, mi sento un po’ Garibaldi”. Fu contagiosa come un virus la lisciomania negli anni Settanta e Ottanta, Casadei era il suo profeta e il suo brand, mille tentativi di imitazione e perfino di plagio, ci fu un momento in cui c’erano in giro altre undici orchestre col nome Casadei, tutte abusive, “una aveva ingaggiato un Casadei barbiere che non sapeva neppure fischiettare”. Ma ce n’era per tutti. E sì, fece tanti soldi con la musica popolare, Raoul, ma tanti ne spese anche: quella cattedrale di discoteca, la Ca’ del Liscio di Ravenna, gli costò tre miliardi di lire. Però ci cantò Ray Charles. E una volta Gloria Gaynor intonò Romagna mia.
Diceva Raoul: “La mia musica parla di cose vere, amore, lavoro, famiglia, vacanze, ha la colpa di essere bella, felice e facile. Ma è cultura di vita. Qualcuno un giorno ci rivaluterà, com’è successo a Totò”. Alla fine anche la parola liscio (pare rubata al titolo di un settimanale, comunque zio Secondo non la pronunciò mai, lui diceva “musica romagnola") gli andò stretta come etichetta, Raoul si inventò un genere suo esclusivo, “musica solare”, introdusse strumenti esotici, elettronici, ritmi caraibici. Andò così così, la liscio-craze fu travolta da Travolta, si sa le generazioni cambiano, e quando Raoul capì di non essere più credibile a cantare testi da playboy di spiaggia lasciò le redini dell’orchestra al figlio Mirko, e si ritirò nel ranch di Villamarina, vicino a Cesenatico, assieme a una tribù di figli e nipoti, fino a quando il suo cuore ha dato l’ultimo battito, sicuramente in tre-quarti.
Con lui se ne sta andando, tradita dal virus, una generazione che rivendicò per sé il traguardo edonista di un ombrellone e due sdraio a Rimini, una generazione frugalmente ottimista, forse l’ultima che abbia pensato la vita come un bicchiere mezzo pieno di sangiovese.
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Franco Giubilei, La Stampa
Quando un re muore, e Raoul Casadei Re del Liscio lo era di sicuro, il popolo s’inchina alla memoria di chi ha saputo entrare nell’immaginario musicale, e non solo, di una nazione intera. Stava per compiere 84 anni quando il Covid se l’è portato via, dieci giorni dopo il ricovero all’Ospedale Bufalini di Cesena e non lontano dal «recinto», la casa di Villamarina di Cesenatico dove fa base il clan dei Casadei. Anche loro caduti preda tutti e quindici del Coronavirus, compresi i figli Carolina e Mirko e la moglie Pina. Erede della tradizione della musica da ballo reinventata dallo zio Secondo fra le due guerre quando, nel 1928, prese vita la prima orchestra, Raoul ha trasformato valzer polke e mazurche in un genere a sé stante e negli Anni 70 ha sfornato successi planetari da milioni di copie (quattro!) come Romagna mia, oltre a varcare i confini del liscio sbarcando al Festivalbar e a Sanremo, fra concorrenti più giovani. Ma Casadei ha fatto molto di più, perché ha contribuito a edificare l’immaginario stesso della Riviera romagnola, animato da seduttori estivi a caccia di tedesche ma sempre strettamente legato alla memoria di quei balli contadini nati fra i campi e le aie, al suono delle ocarine. Balli immortalati nell’ultimo film di Pupi Avati Lei mi parla ancora sulla storia d’amore di Nino e Rina Sgarbi.
Prima di darsi interamente alla musica, Raoul ha fatto il maestro elementare per 17 anni, quindi è salito sul palco della big band dello zio, ribattezzata in breve tempo Orchestra Secondo e Raoul Casadei. Da allora ha trasmesso la liscio-mania agli italiani a suon di concerti su e giù per la penisola al ritmo di due spettacoli al giorno (365 le esibizioni in media ogni anno). Come in tutte le dinastie non sono mancati screzi e fratture, come quella fra lo stesso Raoul e la figlia di Secondo, Riccarda, che non gli perdonò la decisione di eliminare dall’orchestra il clarinetto in do.
Alla morte dello zio, nel 1971, il nipote ha preso le redini della banda e l’ha condotta al successo internazionale a partire da Ciao mare, due anni dopo, aggiungendo altre hit entrate di filato fra le canzoni più ascoltate: Simpatia, La mazurka di periferia, Romagna e Sangiovese, Romagna capitale, fino all’esplosione mondiale di Romagna mia, un inno vero, nazional-popolare verace e ruffiano come tutti i pezzi destinati a scolpirsi nella memoria di ognuno, varcando i perimetri abituali per impiantarsi persino tra i cori dei gruppi ultras. Un contraltare ammiccante e bonario, fra gli sguardi malandrini dei musicisti sul palco e la bellezza super-romagnola della cantante Luana Babini, alla Riviera che già precorreva lo Studio 54 di New York con la Baia degli Angeli, prima che gli Anni 80 e 90 virassero verso frontiere elettroniche, aprisse il Cocoricò e la spiaggia di Rimini si riempisse di ragazzi che ogni weekend vi migravano col sacco a pelo per recuperare le energie dopo i rave e gli abusi di sostanze chimiche che si prolungavano fino al pomeriggio del giorno dopo. Casadei e i suoi in tutto questo c’entravano per niente, loro suonavano per un pubblico più agé, ma negli Anni 70 si sono comunque levati delle belle soddisfazioni, apparendo per due volte al Festivalbar e, nel 1974, al Festival di Sanremo, prima di partecipare a Un disco per l’Estate, l’anno dopo.
Nel 1980 Raoul ha lasciato il palcoscenico continuando comunque a dirigere l’orchestra da posizione più defilata, ma l’inventiva gli suggerì un’idea che univa il dilettevole all’ancor più dilettevole: ecco allora salpare la "Nave del sole", una balera galleggiante che di lì ai 15 anni successivi porterà i turisti lungo la costa a suon di liscio. Nel 1996 nuova apparizione a Sanremo fuori gara con Elio e le Storie Tese per La Terra dei Cachi. A inizio Anni Duemila, sui colli di Rimini, il vulcanico Raoul si inventò un grande spazio all’aperto che somigliava a una libera repubblica del liscio, ma il 2001 è l’anno dell’abdicazione: il re passa lo scettro al figlio Mirko che inizia un lavoro di svecchiamento del genere, contaminando il liscio con salsa e altri ritmi. Nel 2004 ha partecipato all’Isola dei Famosi condotta da Simona Ventura, in gran forma e «divertendosi moltissimo» con tanto di lancio dall’elicottero.
Raoul intanto ha continuato a vivere in Romagna, in una bella villa governata con maestria cuciniera dalla moglie siciliana, fra l’amore dei figli Mirko e Carolina, stretti intorno al patriarca che non rinunciava mai alla sua passeggiata mattutina di dieci chilometri in spiaggia. Sempre nel cuore della sua Romagna che a furia di liscio ha rimodellato, fotografato e risuonato al mondo, riuscendoci così bene che il suo sorriso e l’eco dei suoi valzer ci accompagneranno ancora per un pezzo.
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Mario Luzzatto Fegiz, Corriere della Sera
La dinastia del liscio ha perso il suo re. È morto ieri, colpito dal Covid, Raoul Casadei. Aveva 83 anni. Il musicista — per anni volto e guida dell’orchestra-spettacolo fondata da suo zio, Secondo Casadei — prima ancora che cantante e chitarrista, aveva il marketing nel sangue. Sfruttò il suo cognome facendolo diventare un marchio e partendo dai successi di Secondo creò un suo repertorio originale di hit come Simpatia, Musica Solare, Simpatici italiani.
Il «re del liscio», di fatto, traghettò uno stile dal mondo della musica a quello del costume. Per il suo liscio — destinato a uscire dal ghetto regionale romagnolo — reclutò ottimi musicisti e cantanti di talento, tra cui Luana Babini e Mara Venezia. Conscio della vocazione manieristica del liscio, Raoul cercò di contaminarlo per renderlo più vario, creando collaborazioni con altri artisti, come i Pitura Freska e Elio e le Storie tese.
L’estate era il suo momento e ogni anno, per celebrarla, lanciava uno slogan. Questa nuova forma di liscio — portata avanti poi anche con l’aiuto dei suoi figli, Carolina (amministratrice) e Mirko (cantante) —, non piacque però a Riccarda Casadei, discendente diretta di Secondo. Pur abitando a pochi passi l’uno dall’altro, in quel di Gatteo a Mare, i rapporti erano sempre stati freddi. La ragione? La scelta del musicista di proporre ai suoi concerti brani di sua composizione, che però riecheggiavano le armonie di Secondo. Di fatto, Raoul divenne presto un brand di grande popolarità, specie negli anni 70 e 80. La formula di «Orchestra spettacolo Casadei» si rivelò vincente.
Molto amico di Vittorio Salvetti, fu spesso protagonista del Festivalbar. Presto si iniziò a parlare del «clan Casadei», una vera e propria impresa a conduzione familiare che proponeva con la musica i valori della Romagna. Nel 2000 Mirko Casadei, che oggi ha 48 anni, è entrato nell’orchestra da cui suo padre Raoul si era ritirato qualche anno prima, almeno per quanto riguardava il capitolo delle performance dal vivo.
L’uscita dalla band del «re del liscio», infatti, fu graduale ma l’impegno nella gestione dell’orchestra e nel comporre brani di successo non era mai venuto meno, anche se sul palco era stato «sostituito» da Moreno Conficconi. Questa nuova formazione vide l’Orchestra protagonista anche al carnevale di Rio De Janeiro.
Nel passaggio alla terza generazione dell’orchestra Casadei, a non cambiare era stata l’atmosfera che si respirava in quella famiglia: serenità, solidarietà, tavole imbandite, musica e sangiovese. «Papà era un ottimista — lo ricorda ora Mirko —. Chi lo incontrava era sempre colpito dalla sua faccia sorridente. Lui credeva nella famiglia, nell’amicizia. Con le sue canzoni trasmetteva buon umore».
Oggi però, a piangerlo sono in moltissimi: dai politici (in primis il presidente dell’Emilia-Romagna, Bonaccini) a Claudio Cecchetto («Perdiamo un re»). «Le sue erano canzoni semplici, popolari, che continueranno a tenerlo vivo — prosegue il figlio —. Una musica che coinvolge anche i bambini. Dalla Romagna alla Sicilia, la sua “musica solare” è l’eredità preziosa che ci lascia. Sono sicuro che ora lui ci direbbe di far festa. Niente funerali. E allora viva Raoul, sempre. Sarai immortale».
Elisabetta Sgarbi, Il Messaggero
Secondo Casadei fu rivoluzionario e un resistente allo stesso tempo. Fu l’uomo - lo zio di Raoul - che sconfisse il boogie, nell’immediato dopoguerra, portando avanti una tradizione folk che apparteneva allo spirito della Romagna. Un valzer alleggerito dal clarinetto in do, da figure di ballo allacciato contaminate con l’est Europa. E risaltava la sua eleganza, col violino, vestito di bianco, come è ritratto in tante foto. Raoul rappresentò poi l’esplosione del liscio, con canzoni gioiose e musicalmente fenomenali. Erano gli anni del boom economico, gli italiani scoprivano le vacanze, si erano lasciati alle spalle tragedie e illusoriamente si pensava che fosse per sempre. Ma questa illusione forte e buona era alimentata dalla sua musica e dalle sue canzoni. C’è una testimonianza di Lorenzo Jovanotti nel mio film dedicato agli Extraliscio, molto bella e profonda: rivendica il liscio romagnolo come uno dei grandi filoni musicali italiani, accanto alla musica napoletana e all’opera. All’estero è associata e fatta derivare dal valzer, dalla musica viennese o dalla tradizione mitteleuropea dell’est. Ma, dice Lorenzo, la Romagna - Secondo e Raoul in testa - hanno aggiunto a questa nobile tradizione un sorriso musicale, un clarino, che non è però solo leggerezza: è la volontà di riscatto sulle macerie della vita, è la voglia e il desiderio di gioia, che è qualcosa di più della semplice gioia. Io, da figlia di una quasi romagnola, mia mamma era di Santa Maria di Codifiume, so che quella voglia di vita è attraversata da una sottile malinconia. Il liscio era colonna sonora dei fidanzamenti e dei matrimoni, e al contempo simbolo della famiglia e del dna italiano che il cinema ha raccontato e ha portato in giro per il mondo. Con alti e bassi. Con conflitti normali in una famiglia così larga. Io, ad esempio, mi sono accostata al liscio da una strada anomala, apertami da un gruppo musicale un po’ pazzo come gli Extraliscio, e da uno scrittore coltissimo e lontanissimo dal liscio (eppure molto attento alla tradizione letteraria comica e popolare), Ermanno Cavazzoni. Con loro ho fatto un film, che partiva dal liscio per andare oltre. Grazie a loro, grazie a Mauro Ferrara, voce storica del liscio e di Raoul per oltre 25 anni, e a Moreno il Biondo, storico caporchestra di Raoul, ho scoperto musicisti di valore assoluto, come raramente se ne ascoltano: Fiorenzo Tassinari, il Maradona del sax, Enrico Milli, grande alla tromba e alla fisarmonica, Roberta Cappeletti, unica caporchestra donna, voce pazzesca. Poi gli Extraliscio sono arrivati a Sanremo, portando la loro musica, che non è liscio ma al liscio fa riferimento, in cui senti un 3/4, un clarino, una fisarmonica, una energia e una gioia. E va dato merito ad Amadeus, in questa triste giornata in cui salutiamo Raoul Casadei, di avere voluto rendere omaggio alla tradizione del liscio. Ha avuto il coraggio di portare a Sanremo qualcosa che a Sanremo non era ammesso; ma anche di portare un liscio aperto al futuro. O al passato. Questo non lo so, perché Mirco Mariani, come scrive Sandro Veronesi, è un extraterrestre e fa perdere la cognizione del tempo. E, nell’album doppio E’ bello perdersi di Extraliscio, ci sono omaggi importanti a Secondo Casadei e Raoul Casadei: Dolore è un pezzo strumentale straordinario; e Mia cara gioventù ha il testo di Raoul, pieno di orgogliosa malinconia, che è bello riportare: Mia cara gioventù/Io non ci sarò più/ Ma sono certo che/ Un mio valzerino resterà. Ecco resterà tutto di Raoul, grazie alla sua famiglia che continuerà a suonarlo e a farlo suonare. E spero anche grazie agli Extraliscio: sorveglierò perché non perdano mai la memoria.