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 2021  marzo 14 Domenica calendario

Il modello americano contro il virus

A cinquantatré giorni dall’insediamento alla Casa Bianca il presidente Joe Biden ha definito il piano strategico Usa contro il Covid 19, le cui caratteristiche, difficoltà e intenzioni descrivono uno scenario che interessa molto da vicino l’Europa e dunque anche l’Italia. Poiché gli Stati Uniti dispongono al momento del piano anti virus più avanzato, conoscerlo da vicino può aiutare i Paesi alleati e partner a modellare le proprie scelte.
Anzitutto l’approccio dell’amministrazione Biden è su due fronti: la sfida interna e quella globale alla pandemia perché, come afferma il Segretario di Stato Antony Blinken, «fino a quando qualcuno sarà a rischio contagio nel mondo, nessuno sarà davvero in salvo».
Partiamo dal fronte interno. Biden ha indicato tre obiettivi: rendere tutti gli americani vaccinabili entro il 1° maggio, avere vaccini per ogni cittadino entro il 30 maggio e poter ricominciare a riprendere, con cautela, la normalità il 4 luglio, giorno dell’Indipendenza. Per riuscirci procede a un ritmo di oltre 2 milioni di vaccini al giorno, ne ha già inoculati oltre 101 milioni – 50,9 milioni Pfizer, 49,1 milioni Moderna e 870 mila Johnson & Johnson – e ha siglato contratti per altri 600 milioni di dosi Pfizer e Moderna, e altre 100 milioni di Johnson & Johnson. Sono numeri che al momento fanno degli Stati Uniti il più imponente e avanzato teatro della vaccinazione di massa ma ciò non toglie che la Casa Bianca abbia quattro problemi non indifferenti a cui è bene guardare da vicino. Primo: la carenza di personale per vaccinare. Secondo: il bisogno di siti per la vaccinazione di massa. Terzo: la necessità di raggiungere le comunità più isolate. Quarto: l’impellenza di far arrivare il vaccino anche a chi non lo vuole. Per aggredire queste vulnerabilità la Casa Bianca si basa su una strategia nazionale di difesa dal virus che prevede la centralità di Pentagono e Fema (la protezione civile), include uno stretto raccordo con i singoli Stati dell’Unione e alcune iniziative specifiche. Ad esempio: per vaccinare il ricorso a dentisti, veterinari, tecnici medici e studenti di medicina; la creazione di siti federali per la vaccinazione di massa come a Detroit, dove potranno essere inoculate 6 mila dosi al giorno; ricorso a 20 mila farmacie e a una moltitudine di unità mobili per rendere accessibili le dosi nelle località più remote e rurali. Resta da sciogliere il dubbio sull’obbligatorietà del vaccino ma per raggiungere potenzialmente ogni cittadino il piano economico da 1,9 trilioni di dollari approvato dal Congresso di Washington mette intanto a disposizione risorse significative: 7,5 miliardi per distribuire le dosi, 48 miliardi per test e tracciamento elettronico, 160 miliardi per scuole e università inclusi 650 milioni solo per le elementari al fine di eseguire test a insegnanti, dipendenti e alunni per poter riaprire in fretta tutte le classi.
Ovvero, Biden in meno di due mesi ha rivoluzionato la logistica e impegnato quantità di risorse – umane e finanziarie – imponenti puntando a portare il vaccino potenzialmente a ogni cittadino entro il 30 maggio. Se è vero che non tutte le nazioni possono contare su simili risorse – a cominciare dal fatto che Pfizer e Moderna sono società farmaceutiche americane – la determinazione nell’identificare e aggredire in fretta, simultaneamente e con ogni strumento a disposizione, le quattro maggiori debolezze strutturali interne è un metodo che può essere utile per l’Unione Europea valutare.
Poi c’è il fronte della cooperazione internazionale contro il Covid 19. Sebbene Biden abbia chiarito che la priorità è vaccinare i propri cittadini, parallelamente all’offensiva domestica contro la pandemia ne sta disegnando un’altra, globale. Prima ha chiarito che «la lotta deve essere collettiva» per i principi espressi da Blinken, poi ha stanziato 4 miliardi di dollari per il programma Covax dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Wto) teso a fornire vaccini ai Paesi poveri, quindi ha promesso che «se avremo un surplus di dosi le condivideremo con il mondo» e infine, venerdì, ha messo la lotta al virus in cima all’agenda del summit del Quad con Giappone, India e Australia impegnandosi a porre New Delhi in condizione di produrre un miliardo di dosi entro il 2022 per far fronte alla grave mancanza di fiale in Asia del Sud ed Estremo Oriente. Ciò significa che, con il 13,5 per cento della propria popolazione già vaccinato, Biden vede per l’America un ruolo di fornitore di vaccini non solo a paesi partner e alleati – come lascia intendere Ivo Daalder, ex ambasciatore alla Nato – ma anche alle nazioni in Asia, Africa e America Latina che hanno meno risorse e vengono bersagliate dalle offerte di vaccini russi e cinesi a prezzi stracciati. Ovvero, è in pieno svolgimento il match geopolitico sul vaccino che potrebbe contribuire a determinare i nuovi equilibri globali e l’Europa deve fare in fretta nel creare unapartnership rafforzata con gli Stati Uniti.
È interessante notare che, nella pianificazione della sfida strategica a Cina e Russia sui vaccini nei Paesi in via di sviluppo, Biden guardi al precedente di George W. Bush, il presidente repubblicano che all’inizio degli anni Duemila finanziò con 85 miliardi la lotta all’Aids in Africa riuscendo a salvare in più nazioni oltre 20 milioni di vite, creando un legame di valori e solidarietà che oggi è fra le migliori carte Usa per arginare la determinata penetrazione di Pechino e Mosca.
Insomma, per l’Europa afflitta da scarsità di vaccini e aumenti di contagi nonché impegnata a trovare la formula più efficace per aggredire il virus di Wuhan, l’America di Biden si presenta come un importante partner: per condividere nell’immediato le tattiche anti Covid e per pianificare un intervento globale – magari anche attraverso il G20 a guida italiana – al fine di impedire alla pandemia di sopravvivere nei Paesi con meno risorse.