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 2021  marzo 13 Sabato calendario

Fine di una dittatura oltre Messi e CR7 c’è ancora bellezza


Leo Messi e Cristiano Ronaldo vinceranno ancora. Nei rispettivi campionati, per esempio, Barcellona e Juventus sono staccate da Atletico Madrid e Inter ma non ancora tagliate fuori, e nelle coppe nazionali si sono già conquistate il diritto di giocare una finale da favorite contro l’Athletic Bilbao e l’Atalanta. Il loro sarà un lungo addio come sempre succede ai giocatori di gran classe, e dovunque li porti il tramonto ci faranno vivere altri momenti nei quali dubiteremo della loro mortalità sportiva. Ma la strada è segnata, con la contemporanea esclusione dalla Champions all’altezza degli ottavi la diarchia più importante nella storia del gioco è finita. E alla domanda che tutti ci poniamo in questi giorni – se Kylian Mbappé ed Erling Haaland, gli eredi più accreditati, riusciranno a sviluppare una rivalità paragonabile – noi vorremmo aggiungerne un’altra. È augurabile che succeda?
Il dubbio presuppone un diverso punto di vista sugli ultimi 15 anni, quello degli altri giocatori. Leo Messi non è stato soltanto il calciatore più dotato della sua generazione, ma un credibile aspirante al trono assoluto disputato fin qui soltanto da Maradona, Pelé e – giurano gli osservatori più stagionati – Di Stefano. Ronaldo l’ha inseguito da vicino, spinto da un orgoglio smisurato, e a fine carriera verrà ricordato fra i dieci migliori di sempre con l’altro Ronaldo, Cruyff, Van Basten, Platini e aggiungete voi a piacere il decimo nome (Baggio, per esempio). Quello tra Messi e Ronaldo, a differenza degli altri nomi citati, è stato e continua a essere uno scontro diretto di incredibile durata: risale in sostanza al 2006, l’anno della prima delle nove Champions vinte dai due. A furia di sfidarsi, costretti di continuo a superarsi perché il rivale scavalcato si metteva ogni volta in scia per risorpassare, i due hanno fatto sparire in una nuvola di polvere il resto del calcio, che pure in quindici anni ha offerto molti altri magnifici campioni. Il pensiero corre subito al Pallone d’oro, il massimo premio individuale che i due hanno cannibalizzato: nel 2006 il Mondiale azzurro diede il premio a Fabio Cannavaro, l’anno dopo fu la volta di Kakà grazie alla Champions del Milan, poi nessuna chance fuori dalla diarchia fino al 2018 di Luka Modric, vicecampione del mondo con la Croazia e alla terza Champions consecutiva col Real. Ma do po la discutibile affermazione di Messi nel 2019, il Pallone d’oro del 2020 – cancellato da France Football per la pandemia – sarebbe certamente andato a Robert Lewandowski. E pure quest’anno, a meno di un improbabile bis del Portogallo nell’Europeo che rilancerebbe le ambizioni di Cristiano, prenderà altre strade.
Il potere del gol è sempre stato dominante, ma forse qui si è esagerato. Una volta i penalizzati erano soltanto portieri e difensori: Yashin è rimasto l’unico numero uno insignito del premio (nel 1963, qualche mondo fa), Cannavaro fu il secondo difensore a trionfare dopo Franz Beckenbauer (Sammer lo vinse giocando da libero, ma era un centrocampista). Con Messi e Ronaldo sono spariti di scena tutti gli altri, e non è soltanto questione di premi ma di una trama collettiva che ha visto intaccata la sua tradizionale polifonia. Come se il Trono di Spade si fosse ridotto per quindici anni alla narrazione di una sola rivalità – tipo John Snow e la regina Cersei – lasciando nell’ombra le decine di altri personaggi che hanno dato alla serie il suo spessore unico. Prendete ad esempio queste tre stagioni juventine di Ronaldo, e la valanga di record individuali – il più delle volte insulsi – che hanno tolto dal cono di luce i suoi compagni: Paulo Dybala, non certo un giocatore qualunque, è sostanzialmente sparito dai radar se non per i ciclici sondaggi sulla sua compatibilità col portoghese. Non che a Madrid andasse diversamente: per accorgersi della grandezza di Karim Benzema è stato necessario che Ronaldo cambiasse club (si parla di grande pubblico, è ovvio che voi ve ne eravate accorti). Ma gli spogliatoi delle squadre di vertice vivono su equilibri delicati, il riflettore costantemente illuminato su un uomo solo alla lunga crea guasti. Ronaldo al Real è sopravvissuto alla gelosia di Sergio Ramos e alle ambizioni presto frustrate di Bale perché il suo volume di gol garantiva i successi collettivi. Ora che alla Juve non li garantisce più, perché il prezzo tattico che il suo impiego richiede è divenuto troppo alto, sarebbe interessante sapere quanti dei suoi compagni leggano avidamente le statistiche sul fatto che CR7 abbia segnato trecento gol dopo aver dormito sul lato destro e duecento dopo averlo fatto sul lato sinistro.
Messi, se vogliamo, si è macchiato di crimini anche peggiori. Ha costretto nell’ombra – l’outing richiede la prima persona – il più bel centrocampista che abbia visto nella mia carriera di suiveur: Andrés Iniesta, il cavaliere pallido. Così cavaliere da accettare che l’intera gloria finisse sul conto di Leo, così pallido da non reclamare nemmeno negli anni in cui il suo genio (e pure i suoi gol) portava la Spagna al titolo mondiale e a quelli europei. Quando Guardiola, appena sedutosi sulla panchina catalana, si rende conto di quanto Messi sia qualcosa di mai visto, impone al presidente Laporta la cessione di Ronaldinho per liberare spazio al talento argentino. Ronaldinho! Crepuscolare già a 28 anni per la dissennata vita fuori dal campo, ma pur sempre uno dei più grandi mai ammirati. Per non parlare di Xavi, di Puyol, di Henry. Di Neymar, c he a un certo punto ha giustamente pensato di andarsene per diventare altrove l’uomo-franchigia, e guadagnare la meritata rilevanza. Di Griezmann, una star retrocessa a gregario e, ultimamente, a riserva.
L’antologia di Spoon River dei campioni scomparsi in questi 15 anni, tanto abbagliante era la luce dei due fenomeni, parla di Didier Drogba e della sua incredibile finale di Champions 2012, di Franck Ribery campione di tutto un anno dopo col Bayern, del magistero difensivo di Van Dijk, del grandioso 2010 di Sneijder (triplete con l’Inter più finale mondiale), delle parate sublimi di Neuer e Buffon, di Zlatan che in Europa non è stato quasi mai Zlatan, epperò che spettacolo ragazzi. Ed è in ossequio a queste generazioni sacrificate sull’altare dei divini duellanti che l’ultima risposta è no. Non soltanto la rivalità Mbappé-Haaland, se davvero ci sarà, sarà longeva, totalizzante ed esaustiva come quella fra Leo e Cristiano. Non ce lo auguriamo nemmeno.