la Repubblica, 13 marzo 2021
Intervista a Gianrico Carofiglio. Parla del Pd
Gianrico Carofiglio, Enrico Letta è la persona giusta per risollevare il Pd?
«Direi di sì. Ha detto che bisogna ripartire da una discussione nei circoli: è quello che avrei detto anch’io al suo posto».
Lo ha sentito?
«Gli ho mandato un messaggio di amicizia».
Nei circoli come la prenderanno?
«Mi capita di frequentarli per incontri e dibattiti. Si percepisce un umore che oscilla tra frustrazione e passione, anzi direi passione frustrata. In tanti si sentono esclusi dai processi decisionali, ma al tempo stesso in tanti muoiono dalla voglia di menare le mani, in senso metaforico, naturalmente».
Come spiega le dimissioni di Zingaretti?
«Ormai non è più importante tornarci su. Zingaretti si è dimesso per una serie di ragioni politiche e personali, ma dalle crisi possono nascere opportunità inattese».
Da dove ripartirebbe?
«La vera politica è fatta da persone che parlano alle persone. C’è un libro attualissimo che è stato appena ristampato, Azione politica, del politologo americano Michael Walzer: andrebbe letto per far rivivere la pratica dell’attivismo politico».
A chi deve parlare questo partito?
«Questo è il punto centrale. La premessa è che destra e sinistra esistono ancora, e sono categorie fondamentali. Faccia caso che chi sostiene il contrario è quasi sempre di destra».
Che vuole dire oggi destra e che vuol dire sinistra?
«Recupererei la riflessione di Norberto Bobbio: la sinistra significa lotta per l’uguaglianza con la pratica della solidarietà. È scritto anche nella Costituzione, all’articolo 3 secondo comma. Sia chiaro che la solidarietà non riguarda i presenti, ma anche gli umani del futuro».
Cosa intende dire?
«Che bisogna pensare alle future generazioni. Purtroppo abbiamo una discussione pubblica tutta schiacciata su un presente ossessivo, che insegue i sondaggi, con leader impegnati a polemizzare su questioni che il giorno dopo vengono dimenticate. Invece dobbiamo dare una risposta a queste domande: chi siamo? Chi vogliamo essere? Ma per farlo non basta l’intelligenza, serve la passione. Senza di essa la buona politica non esiste».
Secondo i sondaggi il partito è ormai al 14 per cento. Ci crede?
«I sondaggi non m’interessano. Sono stati smentiti così tante volte. La politica, ripeto, si fa con la passione per le idee e con l’intelligenza, non con il pallottoliere».
Il Pd ormai parla solo ai ceti borghesi delle grandi città.
«Non c’è dubbio che il problema esista. Un partito di sinistra deve parlare anche, se non soprattutto, ai non garantiti. Tempo fa sono stato a visitare una struttura di Save the Children a Tor di Nona, nella periferia romana. Molti dei ragazzini che ho incontrato non avevano mai visto il Colosseo, vivendo a quindici chilometri di distanza. Bisogna parlare a quei ragazzini e a quei genitori».
Il Pd non le sembra più interessato alle lotte tra correnti che a occuparsi delle periferie?
«E in effetti spesso le periferie votano per i populisti, che intercettano un malessere dando ad esso risposte sbagliate e pericolose».
E le correnti?
«Le correnti in sé non sono un male. Il pluralismo in un partito è un valore, a patto che si rispettino certi limiti.
Letta ha detto una cosa che condivido: “Non voglio l’unanimità”.
Non si può piacere a tutti. Anzi bisogna vederlo come un rischio, perché se si piace a tutti vuol dire che la tua identità è poco definita. Mark Twain diceva: quando ti rendi conto che sei dalla parte della maggioranza, sappi che è ora di cambiare. È un paradosso ma rende l’idea».
Questo vale anche per uno scrittore?
«Certamente. L’idea di poter piacere a tutti è un segno di immaturità».
Angelo Bolaffi ha consigliato a Letta di non accettare perché si ritroverebbe accanto le stesse persone che lo cacciarono da palazzo Chigi.
«Sono passati sette anni e questa è un’altra situazione. Enrico Letta è troppo intelligente per farsi condizionare da certe esperienze ormai archiviate».
Che idea si è fatto del primo mese di Draghi?
«È presto per dirlo, ma sono incline a pensare che farà bene su vaccini e Recovery. Spero poi che abbia la forza di intervenire su due temi cruciali come la riforma della giustizia civile e della pubblica amministrazione. La lentezza dei nostri processi e la farraginosità della pubblica amministrazione tengono lontani dall’Italia molti imprenditori stranieri».
Per Mario Tronti Draghi offre al Pd più opportunità che rischi, mentre Conte offriva più rischi che opportunità.
«Sono d’accordo».
Il Pd al governo non le sembra a disagio rispetto alla destra?
«Distinguerei tra la Lega e Forza Italia. Vedo da parte dei secondi un atteggiamento più responsabile mentre il capo della Lega – come ci si poteva aspettare – fa una politica di lotta e di governo».
I giovani guardano ai verdi, non al Pd. Che farebbe?
«Ambiente è una parola chiave per la sinistra. Non solo nella sua accezione tradizionale di ambiente naturale. La sinistra deve occuparsi degli ambienti fisici e morali in cui si svolge la vita dei cittadini, le città, le periferie, le discriminazioni, certi retaggi culturali ancora difficili da stanare».
Pensa che la sinistra sia in grado di farlo?
«Se non lo fa non c’è. Preciso che la mia idea di una forza del progresso implica radicalità nei valori, moderazione nei toni, e duttilità nell’affrontare i problemi complessi».
Lei fu tra i primi a dire nel 2018 che bisognava fare un’alleanza con i Cinquestelle.
«E mi presi molto pernacchie, poi parecchi spernacchiatori hanno cambiato idea».
Questa alleanza è ancora inevitabile?
«Inevitabili sono poche cose. Serve senso pratico. Sulla base delle regole la legge elettorale innanzitutto – si decide come e quando fare le alleanze».
Spera di rientrare con un ruolo?
«Io un ruolo ce l’ho e mi piace. Siamo qua a parlare di politica, no?».