Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  marzo 13 Sabato calendario

Il sì Letta al Pd

Giovanna Vitale per la Repubblica
Raccontano che la spinta decisiva a varcare il Rubicone, in fondo a giorni di tormento e riflessione, sia venuta da una telefonata del tutto inaspettata. È solo quando Mario Draghi lo ha chiamato per rappresentagli quanto rischioso fosse per la stabilità del governo avere un Pd debole e senza guida in un momento tanto drammatico per il Paese, che Enrico Letta ha davvero realizzato di non potersi tirare indietro. Far prevalere ragioni personali sullo spirito di servizio, avrebbe significato smentire sé stesso e la sua storia. Perciò ha chiuso la casa di Parigi, si è congedato da Sciences Po ed è tornato a Roma, per accettare di candidarsi alla guida dei Democratici.Impiega un minuto e 19 secondi, l’ex presidente del Consiglio, per caricarsi sulle spalle il peso di un partito traumatizzato da mesi di guerriglia interna, a cui lui adesso chiede lealtà, non una finta unità troppo spesso utilizzata per coprire trame e lotte di potere. Nel breve video-messaggio postato su Twitter per sciogliere la riserva, Letta lo dice chiaro quando chiede all’assemblea nazionale che domani lo eleggerà segretario di ascoltare bene le sue parole, «sapendo – scandisce – che io non cerco l’unanimità, cerco la verità nei rapporti tra di noi per uscire da questa crisi e guardare lontano». Una stoccata alle correnti che oggi fanno a gara per sostenerlo, ma domani chissà: pronte, e lui che ci è già passato lo sa, a voltargli le spalle appena sarà più conveniente. «Nell’unanimità si nascondono i non detti e alle prime difficoltà ognuno fa per conto suo», l’interpretazione autentica fornita a sera a Propaganda Live.Ha «idee nette e forti», Letta, ma non intende strappare il filo tessuto fin qui dal leader uscente. Per questo nel pomeriggio dà l’ok al documento con cui l’attuale maggioranza dem (Zingaretti-Orlando- Franceschini) lancerà la sua candidatura alla guida del Nazareno. Due cartelle, sottoscritte anche dai delegati di Ascani e Delrio, per spiegare perché il segretario si è dimesso, ringraziarlo per il lavoro svolto, proporre Letta al suo posto e soprattutto confermare la linea politica: ossia l’alleanza con 5S e Leu, l’ipotesi di un congresso tematico e Primarie nel 2023. Quella illustrata da Zingaretti all’ultima Direzione, ma subito contestata da Base riformista. La corrente di Guerini e Lotti che ieri si è riunita e ha deciso di votare per l’ex premier. Facendo sparire la parola «congresso», mai pronunciata in tre ore di discussione.«Sono venuto per raccogliere i cocci», scherza Letta con Zoro su La7. Però attenzione: «Non arrivo a questa nuova avventura con l’idea di vivacchiare, ma di provare a dare una svolta al Pd, di tenerlo unito, allargarlo, di aprire la porte e fare entrare tante persone, farne il baricentro di una politica riformista e progressista». Ricominciando dalle sezioni, che già da lunedì inizieranno a vedersi per discutere le idee contenute nel suo discorso che terrà in Assemblea.Appuntamento alle 11,45 di domenica: tutti in streaming, lui collegato dal Nazareno declinerà la sua idea di partito ma anche di Paese perché «il partito è uno strumento del Paese, quindi prima di dire che idea si ha del partito bisogna dire che idea si ha di Paese». Due mondi che nel tempo si sono allontanati e devono tornare a parlarsi. Con un avvertenza, che certo non farà dormire sonni tranquilli allo stato maggiore dem: «La politica è fatta dalla gente, non dai dirigenti», specifica Letta, «voglio aprire due settimane di dibattito nei circoli, poi lanceremo una serie di idee nuove, con persone nuove e nuove forme di stare insieme in modo trasparente, nella verità e nella lealtà dei rapporti».Lo dirà ai mille chiamati a votarlo. «Penso che la pandemia ci abbia cambiato tutti, questo anno ci ha fatto rendere conto che la comunità conta. Trovare le giuste soluzioni insieme, questo alla fine è la politica». A cui è tornato, dopo un lungo esilio. Ma da «persona diversa» rispetto al premier che nel 2014 passava a denti stretti la campanella a Renzi, che lo aveva appena defenestrato. «Diversa da quella che se ne è andata», scandisce: «I ragazzi che ho incontrato mi hanno cambiato». E lui, promette, li porterà con sé al Nazareno. Dove, se manterrà fede alle promesse, da domani inizierà un’altra storia.


Annalisa Cuzzocrea per la Repubblica

Non torna come se questi sette anni fossero passati invano, Enrico Letta. Soprattutto, non torna per vendicarsi. Lo dirà all’assemblea del Pd. Lo ha già fatto capire, nelle conversazioni private. Niente è dimenticato: non il tradimento di Matteo Renzi e dei dem, non i voltafaccia subìti dopo quel passaggio, non la voglia di fuggire lontano, lasciare la politica attiva, il seggio in Parlamento, poter dire: ho un mestiere. Ma quel che ripete ora, l’ex premier e prossimo segretario dem, è quel che ha scritto nel titolo del suo ultimo libro: «Ho imparato».
Imparare significa cambiare. Guardare il mondo da un’ottica diversa. Voler portare - ora - quella visione completamente nuova in dote al Pd. Nell’ultima intervista a Repubblica , ha detto: se i partiti si metteranno in panchina, al tempo del governo Draghi, se non ne approfitteranno per cambiare il sistema dal punto di vista istituzionale, la terza ondata del populismo li travolgerà. Le riforme saranno quindi alla base del programma per il Pd: una nuova legge elettorale, che non sia fatta per favorire il partito forte di turno, ma garantisca stabilità e rinnovamento. Una revisione dei regolamenti che eviti il trasformismo parlamentare, disincentivando i passaggi al gruppo misto, invece che il contrario. Poi c’è la questione Recovery Fund. Sono due le ossessioni dell’ex premier: lo sviluppo sostenibile, ambiente e giustizia sociale insieme, su cui ha lavorato moltissimo nella sua esperienza internazionale attraverso i contatti con Undp, il dipartimento sviluppo delle Nazioni Unite. E il futuro, la formazione, l’istruzione: non è un caso sia andato a fare il professore. A Parigi, a San Diego, a Sidney. E non è un caso se molti dei suoi allievi li abbia poi portati con sé: all’istituto Jacques Delors, alla fondazione Italia-Asean, alla Scuola di politiche di Cesenatico, fondata con l’aiuto dell’ex deputato Marco Meloni, di Grazia Iadarola e del giovane filosofo Alessandro Aresu, ora consigliere nel gabinetto di Mario Draghi, fino a poche settimane fa capo della segretaria tecnica di Peppe Provenzano al ministero del Sud. Formazione, quindi. E futuro. Una delle proposte avanzata negli ultimi anni, è stato il voto ai sedicenni: non per bruciare i tempi, ma per costringere la politica - che non lo fa - a occuparsi di loro. Dopo l’esperienza a Palazzo Chigi, Letta non ha ripreso il network di Vedrò, si è scrollato di dosso l’aria del riformista liberal, e anche se i suoi rapporti con le imprese restano tutti - a Vedrò era legato l’attuale direttore generale della Rai Alberto Matassino - le sue riflessioni politiche sono andate al di là. Del patto di stabilità oggi dice: «Deve tornare in una nuova veste che metta allo stesso livello criteri finanziari e di sostenibilità, verde e sociale». Chi lavora con lui dice che sì, semplificando, è diventato «più di sinistra». E non per tattica, non per un posizionamento anti-renziano. Letta ha avallato la scelta dell’alleanza con il Movimento 5 stelle con l’idea di tornare a parlare a mondi cui il Pd non parlava più. Ha sostenuto forme innovative di democrazia diretta, come quelle sperimentate da Emmanuel Macron. È amico tanto del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg che dello scrittore parigino Daniel Pennac. Ha fatto arrivare SciencesPo fino in Africa, con un ufficio a Nairobi, perché ritiene centrali i rapporti con quei Paesi, come quelli con l’Est Europa, che non vuole abbandonare al sovranismo. Ha difeso senza cedimenti Mare Nostrum, la missione con cui l’Italia salvava vite nel Mediterraneo, rivendicando le politiche di accoglienza e accusando gli Stati di non volere gestire il fenomeno migratorio. Ha invitato il catalano Oscar Camps, fondatore di Open Arms, a fare lezione a Parigi. Come ha fatto con Giuliano Amato, Romano Prodi, Emma Bonino, la nuova presidente del Wto Ngozi Okonjo-Iweala, l’attuale capo della Cia Bill Burns. Al suo fianco c’è sempre Monica Nardi, portavoce. Ci sarà Michele Bellini, ex allievo proprio a Parigi. La sua rete non dimentica i figli del mentore Beniamino Andreatta, Tinny e Filippo. E comprende tanto l’ambasciatore Giampiero Massolo, ora in Fincantieri, che il mondo cattolico: Letta è amico del cardinale Zuppi, ha legami con le Acli, con l’Azione cattolica, in cui si è formato. Ha storici rapporti con la Cisl, ma anche col segretario Cgil Landini. E siccome ama divertirsi più di quanto non si sospetti, e non ha - dicono i collaboratori - «la spocchia dell’intellettuale», ha giocato ancora ieri a dare la voce al “vaso degli Esteri” a Propaganda Live : «Chi me l’ha fatto fare? Eh, c’erano da raccogliere cocci», ha detto doppiando il soprammobile. E chissà che non torni a ingaggiare gare di subbuteo per tentare di battere Diego Bianchi, alias Zoro. Rigorosamente, senza “schicchera”.