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 2021  marzo 13 Sabato calendario

Intervista a Pat Metheny

Gli amanti della musica di Pat Metheny sono perfettamente consapevoli di come ogni nuovo progetto discografico del chitarrista e compositore americano sposti sempre più in là i traguardi raggiunti in precedenza, per quanto eccezionali possano risultare. Ma questa volta la sorpresa è davvero grande, perché nel nuovo album Road to the Sun – pubblicato da Modern Recordings / Bmg – Metheny abbandona (quasi) del tutto la chitarra e si “limita” a scrivere musica per altri interpreti, come un vero e proprio compositore.
Sui leggii – è proprio il caso di dirlo – due lunghi brani, quasi due suite concepite appositamente per interpreti “classici” come Jason Vieaux e il Los Angeles Guitar Quartet, a cui si aggiunge una sorpresa finale, una «bonus track» la definisce lui. E così, a 66 anni, dopo quasi mezzo secolo di carriera, 20 Grammy Awards, decine e decine di dischi realizzati alla testa del suo leggendario Pat Metheny Group e collaborando con i più grandi artisti della scena internazionale, il musicista sente ancora la voglia – e la necessità – di mettersi in gioco e di raccontarci come è nato questo insolito progetto, che allarga ulteriormente i confini del suo orizzonte artistico.
Mr Metheny, che cosa l’ha spinta a scrivere musica per altri interpreti?
Buona parte della musica che ho creato in questi anni è stata guidata dai particolari talenti delle persone che ho invitato a far parte dei diversi gruppi o progetti in cui si riflettevano via via i miei interessi in determinati momenti della mia carriera. Essere un band leader è stata un’esperienza formativa, ma anche delicata, che mi ha portato a scrivere la maggior parte della musica sfruttando i punti di forza delle persone che si sono unite a me lungo la strada. Riguardo sia al Lagq (Los Angeles Guitar Quartet) che a Jason Vieaux, ero assolutamente consapevole non solo del loro stile e del loro modo di suonare, ma anche del fatto che la natura delle loro incredibili abilità richiedeva materiale scritto e non improvvisato, secondo quell’antica tradizione che impone al compositore di dettagliare ogni singolo aspetto di ciò che deve essere riprodotto sulla pagina, prevedendo5 "> precise notazioni che potranno poi essere eventualmente utilizzate in futuro da altri esecutori. In pratica ciò che la maggior parte delle persone chiamerebbe «musica classica».
Come è riuscito a mediare la sua grande anima di improvvisatore con la scrittura sul pentagramma?
Il mio rapporto con la musica è molto “ecumenico”. Prima di questo disco ho scritto tonnellate di musica, ma destinata perlopiù a creare ambienti adatti all’improvvisazione, che in realtà è un processo molto simile alla composizione, ma avviene a una temperatura molto più alta e in tempo reale; viceversa, i migliori compositori devono aver creato le idee iniziali dei loro lavori secondo modalità che dovevano avere una relazione molto stretta con ciò che è l’improvvisazione. Per questo quando ascolto Bach mi viene in mente Charlie Parker, penso a Béla Bartók insieme a Herbie Hancock, Bill Evans mi richiama Claude Debussy e così via; nella musica ci sono tantissime connessioni che fluiscono in totale libertà e alla fine buone note sono sempre buone note...
Perché ha scelto proprio il Los Angeles Guitar Quartet?
Quei ragazzi sono tutti grandi musicisti, una vera band con un potenziale infinito: tre chitarre classiche tradizionali a cui si aggiunge uno strumento a 7 corde che permette di ottenere voci più ampie e il supporto di note extra “laggiù”, tra le frequenze basse. Mi avevano suggerito di scrivere un pezzo di 5 minuti circa e io, prima che me ne rendessi conto, mi sono trovato nel bel mezzo di una suite di quasi 30 minuti, articolata in sei movimenti; completamente immerso in questa incredibile opportunità di immaginare come potevano suonare quei quattro eccezionali chitarristi alle prese con queste mie note. Ma, pur avendo ben in mente
la loro identità artistica, per me era ugualmente importante mantenere la tipica impronta narrativa della mia musica.
Jason Vieaux è un grande chitarrista classico, ma è anche autore di interessanti trascrizioni della sua musica; perché l’ha scelto, è stato una sorta di “premio”?
Seguo da sempre i nuovi esecutori che si presentano sulla scena; circa vent’anni fa ho ascoltato per la prima volta una delle sue registrazioni e sono rimasto impressionato da tutto ciò che riguarda il suo approccio, il suo tocco e la sua sensibilità. Ricordo poi una sua esibizione in una piccola sala da concerto a circa un’ora da New York; il suo modo di suonare Bach, in particolare, fu assolutamente spettacolare, e penso che in quell’istante è stato piantato il seme che mi ha ispirato a scrivere un giorno qualcosa per lui, nella speranza che di riflesso... abbia ispirato anche lui nel suonarlo.
A proposito di fonti di ispirazione, quali sono state quelle per i brani del disco
Road to the Sun?
Più di ogni altra cosa, trovo che l’ispirazione arrivi sempre dalla stessa musica, ed è più che sufficiente per me. So che ci sono artisti che escono di casa, vedono un tramonto e poi ci scrivono sopra una sinfonia, ma io non sono così. Di solito penso a tutti i dettagli della musica mentre la scrivo: come passare da un accordo a un altro nel modo più coerente ed efficace possibile, come fare in modo che la melodia dia la sensazione di essere formata da quella particolare successione di note e di dover essere formata unicamente da quella successione di note...
In una sorta di gioco di specchi, nell’unico brano in cui compare lei, non suona però la sua musica; perché ha scelto un brano di un altro compositore e perché proprio Alina di Arvo Pärt?
Pärt è semplicemente unico ed è un ottimo esempio di musicista che trascende ogni categoria; ha la capacità di connettersi con le persone in modo profondo, creando ambienti sonori, emotivi e spirituali in cui si notano cose di cui non ci si era mai accorti prima. Sebbene Alina sia un famoso brano per pianoforte, quando l’ho sentito per la prima volta alcuni anni fa l’ho subito immaginato sulla mia Pikasso a 42 corde (una sorta di chitarra/ arpa realizzata appositamente per lui,
ndr); una sera ho deciso di provare a farne una versione solo per me stesso, senza pensare poi di pubblicarla. Ma dopo tutte le complessità strutturali, le modulazioni e i cambiamenti dei pezzi del disco Road to the Sun, c’è qualcosa nella scrittura diatonica, semplice e inquietante, di questo lavoro che lo mette in netto contrasto con il resto del programma; mi è sembrato il “luogo” migliore per concludere la registrazione.