Tuttolibri, 13 marzo 2021
12QQAFM10YDONNE Mary Gaitskill scrive di sesso per parlare di altro
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Mary Gaitskill ha sempre scritto di sesso per parlare di altro. Dopo una gioventù in fuga da Detroit, l’avvicendarsi di lavori di fortuna e il ritorno per studiare, era diventata famosa per il racconto da cui era stato tratto Secretary, il film del 2002 con James Spader e Maggie Gyllenhaal. Le sue storie, numerosi racconti (in Italia con il titolo Oggi sono tua) e tre romanzi (Veronica, Velvet e Two Girls, Fat and Thin da noi inedito), sono piene di donne erotiche e un po’ masochiste e di uomini arroganti e prepotenti. Raccontando di loro, e dei loro legami che passano sempre per la cruna del sesso, Gaitskill tenta di esplorare qualcosa che sta sul fondo ed è pieno di sfumature, e cioè la relazione tra intimità e dolore, tra dolore e piacere, tra sessualità e potere. Questa ricerca si fa ancora più evidente in Questo è il piacere, il romanzo breve nel quale l’autrice, che ha 66 anni e dopo avere abitato un po’ ovunque si è fermata Upstate New York, ha tentato di distillare una disamina del movimento MeToo attraverso i punti di vista di Quinn, denunciato da numerose donne per comportamenti inappropriati, e di Margot, una sua amica.
Di quale tipo di piacere parla il titolo?
«Si riferisce a una fantasia di Quinn. Nella prospettiva del romanzo però è ironico, perché il tipo di piacere che lui cerca dalle donne non è propriamente sessuale, ma molto più ambiguo».
Quale impatto ha avuto il movimento MeToo su di lei?
«All’inizio attutito, perché in quel periodo mia madre stava morendo. Poi, la mia percezione è stata filtrata dal fatto di avere un amico coinvolto nelle accuse. È a lui che mi sono ispirata per il personaggio di Quinn».
Che rapporto avevate?
«Già prima del MeToo, avevo incominciato a provare rabbia per come si comportava con le donne. Le faccio un esempio. Se alla fine di un reading mi fermavo a parlare con alcune ragazze, lui ascoltava e poi, quando avevamo finito, le seguiva e iniziava a parlarci. A un certo punto mi sono messa ad ascoltare le loro conversazioni: sempre temi sessuali. Io non sono una persona che si scandalizza quando si parla di sesso, ma lui sceglieva sempre persone vulnerabili e questa cosa ha iniziato a infastidirmi. È difficile da spiegare, ma in un certo senso ho iniziato a sentirmi urtata nella mia stessa vulnerabilità. Ne abbiamo anche parlato l’estate prima del MeToo. Penso sia stato uno scambio positivo, e io gli ho anche suggerito di provare ad avere conversazioni su argomenti che non fossero intimi. Questo lo aveva colpito molto e qualche tempo dopo mi aveva mandato un messaggio dicendomi che ci era riuscito».
Pensa di averlo aiutato?
«Era già troppo tardi, perché poco dopo è scoppiato tutto. Sapevo di una donna che si era lamentata dei suoi comportamenti e che poi, dopo il caso Weinstein, gli aveva fatto causa. Tutto questo mi ha lasciato molto confusa, perché io stessa avevo notato quelle cose e non mi erano piaciute».
È stato difficile rimanere sua amica?
«No, sarebbe stato più difficile scaricarlo, anche se ora non ci sentiamo più spesso. Alla fine, però, credo che sia stato trattato in modo ingiusto. Voglio dire: è giusto che le donne si siano arrabbiate e lo abbiano denunciato, è giusto che sia stato licenziato, ma non penso sia stato giusto averne fatto un paria tale da non riuscire più a trovare un lavoro. Questa è stata una cosa crudele, anche perché non è più giovane. Ha commesso dei crimini sociali, ma non è un "criminale"».
Quale sarebbe stata una giusta pena? Una sorta di «rieducazione»?
«Non saprei, anche perché nel suo caso sarebbe stato difficile per via dell’età. La verità è che, come molti uomini, viene da una cultura che, negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, non vedeva la sua condotta come qualcosa di orribile, magari di eccentrico».
Nel suo libro riesce mantenersi su una linea sottilissima: quello per cui Quinn è accusato non è violenza sessuale vera e propria, ma qualcosa di molto più sfumato. Come ci è riuscita?
«Con difficoltà, chiedendomi in continuazione se lo stessi rendendo migliore di quello che era, o peggiore. Quando mi sono messa a scrivere mi ero detta che avrei dovuto essere empatica, ma quando ho finito ho pensato: "Oddio, ma è orrendo quello che fa". Ho cercato di essere non tanto neutrale, ma giusta, per quanto possibile».
Scrivendo ha capito che cosa lo spinge a comportarsi in quel modo?
«Penso si tratti di un uomo aggressivo che canalizza la propria aggressività in una maniera che lui pensa essere socialmente ammissibile e innocua. Desidera così tanto l’attenzione e l’approvazione delle donne che, allo stesso tempo, deve dominarle per non esserne troppo dipendente».
Ha pensato di scrivere una storia che avesse al centro il confronto tra un oppressore e la sua vittima?
«Sì, sarà probabilmente il sequel di Questo è il piacere che intitolerò E questo è il dolore».
Si definisce femminista?
«Sì, ma non "scrittrice femminista", perché per me il femminismo è una posizione politica mentre i miei libri non sono politici, anche se leggendoli le mie idee si intuiscono chiaramente. Mi definirei però una femminista della vecchia scuola».
In che senso?
«Nei confronti del MeToo, per esempio, ho una mia opinione: penso si sia focalizzato troppo sul fattore sesso, mentre molta della violenza sperimentata dalle donne ha più a che fare con l’essere svalutate come persone, giudicate per il proprio aspetto e, in generale, per comportamenti per i quali gli uomini non verrebbero giudicati. Pensi a come è stata trattata Hillary Clinton, pur non avendo fatto nulla che un politico maschio non avesse fatto. Le hanno dato dell’aggressiva, della stronza, della fredda, di non essere abbastanza carina. Tutto questo non ha niente a che fare con il sesso, e se certi uomini si rivolgono alle donne in modo volgare spesso il desiderio non c’entra niente: il problema è il mancato riconoscimento delle donne come esseri umani. Mettendola solo su quel piano, invece, molte del movimento MeToo mi sono sembrate quasi offese dal sesso in sé, moraliste».
Come ha vissuto l’era Trump?
«Sono stati anni orribili, come un brutto sogno quando hai la febbre. Ricordo che quando venne eletto mi sentii spaventata come non mi ero sentita nemmeno con Bush padre. Allora ero infelice e depressa, ma non spaventata. In ogni momento mi aspettavo che i suoi supporter impazzissero e facessero qualcosa di folle, e quando è successo non mi ha sorpreso. Ora ci siamo allontanati dall’orlo del precipizio, ma non ne siamo così lontani. Credo che Biden proverà a fare del suo meglio e che Trump non riuscirà a rivincere le elezioni, ma la mia paura più grande è che possa emergere una persona molto peggiore di lui».
Quali sono invece le cose che la rendono felice?
«Vivere in mezzo alla natura, camminare, parlare con gli amici, stare con mio marito, i miei gatti. Insegnare: di recente ho tenuto un corso bellissimo sul romanzo di Ben Lerner Topeka School. Poi, mi piace ballare, seguo delle lezioni su Zoom».
C’è stato un momento in cui ha sentito che la sua vita stava per cambiare?
«Quando il mio primo libro era appena stato acquistato, venni invitata a una cena con il mio editor, la sua fidanzata e il mio agente. Non sono mai stata una che, quando è in gruppo, parla molto e per questo molti mi ritenevano un po’ stupida. Durante la cena a un certo punto l’editor si è rivolto a me chiedendomi, non ricordo più in merito a cosa: "Mary, tu cosa ne pensi?". Tutti mi guardavano in silenzio. È stato lì, mentre rispondevo, che improvvisamente ho pensato: questo è il futuro, queste persone stanno chiedendo la mia opinione e stanno annuendo, e questo significa che non sono stupida. Mi sono detta: da ora in poi sarò percepita in modo diverso. E quel modo mi piaceva».