Tuttolibri, 13 marzo 2021
135QQAFA10 Otto nuovi racconti di Murakami Haruki
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Vivevo in Giappone da un anno. Avevo appena chiuso una relazione molto lunga e travagliata con un ragazzo italiano che abitava a due ore di shinkansen da Tokyo. Quella primavera, durante un breve viaggio in Italia, incontrai un altro ragazzo. Una relazione da nulla di cui mi rimase giusto il nome e cognome. Dopo un anno, avanzò solo il cognome che, abbinato a un nome sbagliato, cercai per curiosità su Facebook. Fu un errore, eppure venne fuori il volto del primo ragazzo, il volto identico, il sorriso, la forma del corpo nella foto del profilo. Rimasi di sasso, ossessionata da allora da quello sconosciuto in cui convogliava il volto di un uomo amato e il cognome di un altro. Talvolta mi capita di ricercarlo, e scopro che si è sposato, che ha avuto un figlio. Quella connessione impossibile con uno sconosciuto mi riporta ogni volta, dritto dritto, a Murakami Haruki. E mai così tanto quanto all’ultima raccolta Prima persona singolare che di questi enigmi è fitto.
Nella vita di chiunque ci sono uno o più misteri insoluti, avvenimenti così curiosi che ne resta il rimbombo, come qualcosa di cui ci sfugge il nesso profondo. Si tratta degli stessi accadimenti cui ci affezioniamo, convinti in fondo che sia proprio nel regno dell’irrazionale, che si consumi l’esistenza di ognuno. Le cose raramente hanno un inizio netto e una fine, due innamorati parlano apparentemente di un progetto comune e invece nella testa di entrambi fioriscono due futuri diversi. Per questo, chi dice che la prosa di Murakami è irreale sbaglia di grosso. Può non piacere, certo, e magari lo stile può risultare semplice. Ma sull’irrealtà non ha ragione: la vita è proprio quella cosa che non ci spiega nulla, ma su cui ci affanniamo a ricavare un senso, una logica, un modo (quasi sempre fallimentare) di evitarci di ripetere l’ennesimo errore. Anzi, è precisamente quella cosa che cerchiamo di delimitare per bene in un racconto, di chiudere da brava in un romanzo - perché il lettore si senta contento di aver assistito alla parte più significativa della storia, di aver mangiato della torta la fetta più buona – e che invece, in realtà, il più delle volte ci lascia inebetiti, accasciati a terra, a domandarci cosa diamine sia successo e perché.
In questi otto racconti di Prima persona singolare – ognuno dei quali lascia una scia ferma nella memoria - Murakami affascina (o dà sui nervi) perché la spiegazione non solo non la fornisce, confessando candidamente di non saperla in prima persona, ma apre ulteriori parentesi. Dove può aggiunge persino incertezza.
Mi spingo oltre. Quella semplicità nello stile ha anzi lo strano effetto di sottolineare come le cose più straordinarie possano capitare a chiunque. È lo stupore della persona comune che viene scombinata dalla vita, dal caso che pare giocare con lei, tanto che l’unica cosa che quella persona può fare, è prendersi una rivincita sugli altri. Accade così alla donna del bar nell’ultimo racconto «Prima persona singolare» (che dà il nome alla raccolta) che confonde il protagonista con un altro e lo copre ingiustamente di insulti, oppure alla ragazza che in «La crema della vita» invita l’io narrante a un concerto che tuttavia non si terrà mai e per cui lui consuma non solo il tempo di un giorno ma anche tutti i risparmi per comprare un mazzo di fiori rossi, abbandonati infine sulla panchina di un parchetto («Esitai un poco, poi decisi di lasciarlo su quella panchina. Mi parve la cosa più saggia da fare»).
Spesso la prima volta coincide con l’ultima. La vita – nei momenti che, a posteriori e spesso dopo averli definitivamente perduti, consideriamo fondamentali – ci sfugge tra le mani. Come l’incontro che stranamente avviene solo una volta con quella giovane donna, nei corridoi del liceo statale sulla collina K?be, nel racconto forse più affascinante della raccolta («With The Beatles»), «quella ragazza di cui non so il nome, che si stringeva al petto il disco With the Beatles» e che diviene l’imprinting del sentimento d’amore, la sensazione che il protagonista ricercherà sempre nelle relazioni romantiche di lì in poi.
In Prima persona singolare Murakami mescola autobiografia e bugia. Grandi confessioni e grandi menzogne. E poi tutto vero tranne qualcosa. Ed ecco l’ennesima domanda. L’affermazione, la smentita, la costante messa in dubbio. Eppure, ogni avvenimento, persino il dialogo con una scimmia in «La confessione della scimmia di Shinagawa», è descritto in modo talmente realistico e semplice che, se non proprio vero, suona perlomeno verosimile. E poi il tipo che ce lo racconta è così tranquillo...
Trovo per questo assai affascinante, ogni volta che esce in Giappone un suo nuovo libro, non solo leggere Murakami Haruki ma leggere le recensioni su Murakami Haruki. Escono in concomitanza interi volumi dedicati, in cui critici, scrittori, artisti, versano fiumi di inchiostro proponendo ipotesi, alcune davvero fantasiose. E lo scrittore? Lo scrittore tace. Pare quasi stia lì in silenzio a osservare tutti scervellarsi sui rompicapi che lancia.
Quando sento discutere sulla sua maggiore o minore aderenza alla realtà mi viene da sorridere. Ma la realtà dà davvero tutte le risposte? Ce l’ha un plot la nostra vita? Possiamo dire veramente perché un amore sia finito? E il ricordo? Chi può essere certo di ricordare se la propria madre lo coccolasse davvero così poco come la sua memoria sussurra astiosa o fosse semplicemente molto stanca? I ricordi si modificano con il tempo, la luce cade su di loro in modo diverso. Oltretutto, come Murakami racconta ne «Il cuscino di pietra», non serve evaporare per sparire dalla vita delle persone, basta non ricordarsi più un nome, anche se con quella ragazza si è trascorsa una notte d’amore e si sono lette le sue poesie waka. Eppure, l’intensità del momento vissuto insieme fa sperare, anche a distanza di decenni, che quella donna stia bene, che sia stata felice. È il momento, insomma, che conta. Serve trattenere delle esperienze la polpa, scartare la buccia.
Come era stato nel recente Abbandonare un gatto, l’ultimo Murakami dà la priorità ai concetti, alla chiarezza di certe idee che gli preme arrivino al lettore. «A questo mondo non c’è nulla che abbia valore e si possa ottenere senza sforzo, non una singola cosa, non ti illudere! Ma se ce la fai, se mettendoci tempo ed energia realizzi un obiettivo quasi inarrivabile, diventerà la crema della tua vita». O ancora: «A volte succedono, queste cose. Cose senza senso e senza spiegazione, che riescono però a turbarti profondamente. Quando capitano, bisogna chiudere gli occhi e lasciarle passare senza pensare a nulla, senza fare nulla. Come se scivolassimo sotto una grossa onda». Così, la prima persona singolare – che, in giapponese, Murakami rappresenta nel testo tramite tre diversi pronomi soggetto (boku – sei volte in hiragana, una in kanji - e una soltanto con il più formale watashi) – ci trascina magicamente dentro la Prima Persona Singolare.
Allo stesso modo io, che leggo, mi trovo dentro quegli otto «io» e girandomi indietro, prima di cliccare sulla x che chiude la pagina Facebook di quello sconosciuto, crocevia di due incontri importanti della mia storia, penso che la vita è davvero uno spettacolo. Perché? Proprio perché, in fondo, non la capisco.