Il Sole 24 Ore, 13 marzo 2021
L’Italia e la transizione libica
È una sorta di “metodo post-gheddafiano transattivo” quello che secondo attenti osservatori delle questioni libiche si affermerà sempre di più nei prossimi mesi fino alle elezioni del 24 dicembre alle quali sta lavorando il Governo di transizione presieduto da Abdul Hamid Dbeibah. Un sistema che cerca di accontentare popolazione e diversi centri di interesse mettendo insieme le ragioni dell’Est, del Sud e dell’Ovest. E che cercherà di utilizzare le risorse pubbliche derivanti dai proventi del petrolio in maniera sempre più trasparente. Un sistema, in definitiva, che ha già mostrato tutte le sue “potenzialità” in quella sorta di plebiscito con 132 sì su 132 votanti con cui è passata giovedì scorso la fiducia al Governo di unità nazionale guidato da Dbeibah.
Chiuso il capitolo della guerra civile per procura tra l’Egitto di Al Sisi da una parte e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan dall’altra, si sta aprendo una nuova fase in cui la Libia cercherà di affrancarsi dalle logiche geopolitiche per assumere uno sua connotazione da Stato non più fallito.
Certo, sul terreno si contano molti “perdenti” che non rinunceranno facilmente a far sentire la loro voce, forti anche del controllo su milizie quasi personali. Due per tutti: l’ex ministro dell’Interno di Serraj, Fhati Bashaga misuratino come il nuovo presidente Dbeibah e molto vicino ai turchi, e il generale di Bengasi Khalifa Haftar. Bashaga è sempre più marginalizzato ma punta a una rivincita nelle prossime elezioni dove, annuncia minaccioso, «io mi farò valere».
Quanto ad Haftar e gli egiziani lo hanno ormai scaricato a tutto vantaggio di Aguila Saleh, presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk.
E si terrà lunedì prossimo proprio nella sede temporanea della Camera dei rappresentanti di Tobruk, invece che a Bengasi, (come annunciato in precedenza), il giuramento dei ministri del nuovo Governo di Dbeibah. Uno spostamento dovuto probabilmente all’attacco condotto da «uomini armati al quartiere generale della Camera dei rappresentanti a Bengasi» e soprattutto alla diffidenza di Haftar verso il nuovo esecutivo. Ciò nonostante un portavoce ha sostenuto che lo spostamento «non è legato alla sicurezza ma solo a motivi logistici e organizzativi».
È comunque un fatto che dentro e fuori la Libia abbiano un ruolo preponderante interessi convergenti a una stabilità per tornare a fare affari nel Paese. I turchi hanno fretta di riprendere i contratti anche perché hanno già accumulato molti insoluti di pagamento con la presidenza Serraj. Basti pensare che già prima della guerra civile, subito dopo la caduta di Gheddafi, se le commesse italiane ammontavano a 4 miliardi di dollari quelle turche arrivavano a 16 miliardi.
«Questo Governo di transizione – spiega Arturo Varvelli, direttore dello European Council for Foreign Relations di Roma – nasce come conseguenza delle prove di dialogo tra Al Sisi ed Erdogan, i presidenti egiziano e turco si sono seduti al tavolo negoziale e non si fanno più guerra apertamente ma pensano ai vantaggi economici di una Libia stabile».
L’Ambasciatore Pasquale Ferrara, Inviato speciale per la Libia del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in un intervista a un quotidiano egiziano ha affermato che «la vera transizione libica comincia ora» e «faremo tutto quello che ci sarà possibile sia a livello bilaterale che nel quadro dell’Unione Europea per sostenere con rispetto e amicizia questo processo che può aprire un nuovo capitolo nella storia della Libia».
Dbeibah è un uomo di affari e si rende conto che le condizioni di sicurezza e la puntualità nei pagamenti sono la precondizione per attrarre nuovi investimenti nel Paese. Il primo passo per l’unificazione, oltre agli aspetti amministrativi e di sicurezza con forze armate uniche per tutto il Paese, sarà il bilancio unificato per i proventi del petrolio da far confluire su un conto della Noc. Quanto ai rapporti bilaterali il nuovo Governo ad interim creerà anche una nuova commissione mista italo-libica per risolvere gli insoluti dei pagamenti alle imprese italiane valutati in 324 milioni di dollari.
Ma la vera incognita del futuro restano i russi, ancora presenti a Sirte con i contractors della Wagner. Mosca non ha interessi economici immediati sulla Libia. Vuole però usare il Paese come trampolino di lancio per una penetrazione sempre più consistente nell’area centroafricana. Per questo una fase di instabilità duratura in Libia sarebbe stata gradita ai rusjsi che si devono accontentare ora di sostenere un’affermazione della componente gheddafiana radicale alle prossime elezioni, alleato forte delle loro ambizioni egemoniche.
Stabilità che sigjnifica anche superamento delle criticità tra Italia e Francia sulla sorte del Paese. L’idea di Parigi che solo un uomo forte come Haftar avrebbe potuto unificare di nuovo il Paese si è rivelata una pericolosa illusione, alimentata anche dal fatto che dal 2013 la Francia non era presente in Libia a differenza delle strutture italiane diplomatiche e di intelligence.
Il nuovo approccio del presidente americano Joe Biden e di tutta l’Unione europea premia alla fine gli sforzi dell’Italia che si è spesa per il dialogo e non ha fornito armi a nessuno. Il primo contatto telefonico di giovedì del premier Mario Draghi con Dbeibah ha aperto un dialogo che proseguirà nei prossimi mesi e che riguarderà naturalmente anche la questione migratoria e il rispetto dei diritti umani nei centri di detenzione libici per i migranti. Draghi, complimentadosi per il voto di fiducia «ha esortato Dbeibah e il suo governo a concentrarsi sugli obiettivi prioritari quali la sicurezza e la prosperità del popolo libico e dell’intera regione».