Corriere della Sera, 12 marzo 2021
Intervista a Franca Nuti
Da un anno Franca Nuti, che è nel patrimonio delle nostre eccellenze d’attrice, si prepara a un grande impegno d’attrice e anche morale: a giugno, al Piccolo Teatro (e in streaming), regia di Claudio Beccari, sarà Brunhilde Pomsel nel monologo di Christopher Hampton (Oscar per Le relazioni pericolose) A German life che testimonia non solo la banalità e la normalità, ma anche la mediocrità del Male. Lo spettacolo fu un trionfo nel 2019 a Londra con Maggie Smith, la matriarca di Downton Abbey. Ma chi si cela dietro quel nome wagneriano? Una ragazza nella Berlino anni ’30, impiegata da un broker assicurativo ebreo, poi per la German Broadcasting e dal ’42 al ’45 segretaria personale di Joseph Goebbels, gerarca nazista e ministro della propaganda del Terzo Reich, teorico dello sterminio e a sua volta suicida con la famiglia.
Racconta l’attrice: «Il testo nasce dalle testimonianze rilasciate dalla donna a un gruppo di cineasti nel 2016, poco prima di morire a 105 anni. Era del 1911 e si porta dentro la memoria dell’orrore ma dice che non aveva idea di cosa stesse succedendo, e si assolve. Ma il testo è come un’anguilla che sguscia nella psicologia di una natura semplice, fragile, inadeguata».
Come si entra nel mistero di una coscienza?
«Pensando, interrogandosi, soffrendo, facendo lo slalom tra le contraddizioni. È interessante e difficile. Ogni tanto la paragono a me che ho vissuto la guerra, sono del ’29, ho avuto un fratello in campo di concentramento, so di cosa si parla. Mi chiedo: io cosa avrei fatto? Così mi specchio in lei, anch’io a volte ho vissuto il fascino fascista di adunate, discorsi, divise».
Cosa non le perdona?
«La linea di condotta: non sapeva di quelle atrocità. Eppure sono 60 milioni i morti in guerra e 6 milioni gli ebrei nelle camere a gas. Il giudizio dipende molto dalle generazioni: Brunhilde ogni tanto sospetta la follia ma poi vince la sua natura leggera e inconsapevole, ripete che non poteva scegliere, solo subire. Ma non le importa di nulla, non vede il Male, non sa da dove venga, come si combatta: la viltà è diffusa ovunque, l’umanità pensa molto a se stessa».
Non ha mai avuto rimorsi?
«Lei rifiuta in modo totale il complesso di colpa, dice che non aveva scelta, ma dimentica che la scelta è dentro di noi. A 105 anni restò una paladina dell’indifferenza. E questo soliloquio spaventoso è l’esposizione di una vita umanamente al ribasso: non c’è un attimo in cui parla d’amore. Lei e il popolo tedesco non volevano sapere».
Poi le cose precipitano…
«Quando si accorgono di Hitler è tardi, lei non pensa che si possa perdere la guerra. Quando, dopo gli anni passati in prigionia, torna a casa, tutto è come prima. Vince la sua disarmata, ignorante ingenuità e se la vedi così devi tentare di capirla, il che non vuol dire giustificarla».
Invidia
«Ho scelto questo testo per invidia nei confronti di Maggie Smith che
lo interpretò a Londra»
Perché questo testo?
«L’ho scelto per invidia nei confronti di Maggie Smith».
Nello spettacolo ci sono molte diapositive.
«Siamo andati dentro la testa di questa donna, nella confusione della sua memoria che vede il nazismo felice e abbiamo scelto immagini serene, cose belle che capitavano al popolo tedesco».
Pomsel è una spettatrice?
«Sta in un angolo, in un non luogo, elegante, con una collana di perle, un libro, le caramelle, parla con se stessa o comunque con qualcuno della sua e nostra eternità. Un mare di parole qualche musica d’epoca mentre sostiene di non sapere che avessero ucciso uomini per ragioni ideali».
Se fosse parte di una giuria considererebbe questa donna colpevole o innocente?
«Sarei tormentata, ma poi la proclamerei innocente».