Corriere della Sera, 12 marzo 2021
Intervista a Luna Berlusconi (che s’è messa a scolpire statuine di donne)
Le otto statue sono esposte su un lungo tavolo nero nello studio d’artista che Luna Berlusconi ha aperto tre anni fa a Milano. Sono otto donne in ceramica dai corpi boteriani e ognuna incarna un modo di femminilità. Lei le presenta come se fossero le sue figlie: la Rinascente, che sembra sorgere dalle acque; la Lottatrice, che intimorisce solo a guardarla; l’Osservatrice che sembra un Buddha al femminile; la Provocatrice; la Meditatrice; l’Onnisciente; la Riflessiva; infine, la Vitruviana. Luna scherza: «Un uomo vitruviano, donna e curvy, non l’aveva mai fatto nessuno». Sono le sue prime sculture, fra tanti quadri già protagonisti di mostre, inclusa una personale alla Fondazione Maimeri di Milano nel 2019. Dopo essere stata manager e aver fondato una società di produzioni tv, questa è la seconda o terza vita della secondogenita di Paolo Berlusconi, lei dice «l’ultima». Forse perché, dal principio, sognava fosse l’unica. «Volevo fare il Liceo Artistico», racconta, «ma erano gli Anni ‘90 e da una Berlusconi ci si aspettava altro». Per terra, c’è un ritratto di Mario Draghi.
Quando l’ha fatto?
«Il giorno in cui, al Quirinale, ha annunciato di aver accettato l’incarico. L’ho dipinto in niente: ero stramotivata. Quello sguardo dice: sono arrivato, sono qui».
Finora ha fatto o ritratti o nudi femminili.
«Ho cominciato dai ritratti, poi, ho iniziato a lavorare sui corpi di donne per denunciare che oggi si parla tanto di emancipazione femminile, ma tv e social propongono soprattutto donne provocanti, poco vestite, ipersessualizzate. Nei miei nudi, ci sono donne perfette che ti sbattono in faccia la loro sensualità, ma per vedere davvero chi sono, dovresti poterle guardare in viso e i volti non si vedono».
La tv di cui parla non è quella che, in parte, fa anche la sua famiglia?
«Quel tipo di immagine è ciò che fa audience: se la gente la guarda, vuol dire che la vuole. È lo stesso meccanismo della sensualità proposta dalla moda: impone canoni estetici di perfezione, che poi condizionano le persone e generano fenomeni come il body shaming. Ma la bellezza non è un seno perfetto: è uno sguardo, un modo di porsi».
Volevo fare l’Artistico ma erano gli anni Novanta e da una Berlusconi ci si aspettava altro
Lei è magra, perfetta. Sa qualcosa di body shaming?
«L’ho sofferto da bambina. Ho una malattia della pelle, l’epidermolisi bollosa, e spesso ero coperta di bolle: sono stata emarginata e bullizzata per questo. L’esigenza di raccontare corpi imperfetti, forse, nasce anche da lì».
Quale scintilla le ha ispirato le Divine?
«Mi hanno chiesto un quadro per una sfilata di moda curvy e ho dipinto la mia prima divina. Quella che poi sarebbe diventata la mia musa l’ha visto e mi ha cercata. Si chiama Simona Tassoni, è una modella e un’attrice impegnata contro le discriminazioni sull’aspetto fisico. Sono nate queste statue. Me le hanno già chieste per una mostra in un museo e una al Forte Village in Sardegna».
Come si è decisa a tornare all’arte?
«Il bisogno mi era rimasto dentro ed è stato un ritorno obbligato: se no, sarei rimasta frustrata. Correvo, dovevo sempre dimostrare qualcosa, ma mi sentivo incompleta».
Quando ho detto in famiglia che chiudevo la società di produzione per dipingere mi hanno sostenuto
A vent’anni, però, era stata assistente di Gino De Dominicis. Com’era andata?
«Studiavo Storia dell’Arte a Roma e sentivo il bisogno di frequentare una bottega. De Dominicis cercava un’assistente. Mi presentai con tre acquerelli, mi disse: non hai creatività, ma hai la mano giusta. Ho fatto di tutto: da pulire i pennelli a dipingere al posto suo. Purtroppo, dopo sei mesi, morì. Mi sono sempre chiesta come sarebbe andata se non fosse morto. Ma si vede che in questi vent’anni dovevo fare altro: diventare mamma, per dire».
Non si può essere madre e artista?
«La creatività non la accendi e la spegni quando vuoi. Io ho due figlie di 16 e 9 anni e ogni sera, alle 19, devo staccare per stare loro. De Dominicis si svegliava all’una e lavorava fino a notte».
Il suo primo quadro?
«Pochi anni fa, dipinto di notte. Era il primo che finivo. L’ha visto una gallerista di Pietrasanta mi ha chiesto di esporre da lei. Ho detto sì anche se avevo solo tre opere. Poi, la Fondazione Maimeri mi ha proposto una personale e servivano tanti quadri. Per cui, lavoravo di giorno, dipingevo di notte e avevo sempre due figlie. Tre anni fa mi sono guardata allo specchio e ho detto: che faccio, aspetto di andare in pensione per fare quello che ho sempre desiderato? Temevo la reazione della mia famiglia, ma in un giorno ho fatto il giro di tutti: mio padre, i miei fratelli, mio zio Silvio e mia cugina Marina sono stati subito felici per me. Ho chiuso la società di produzione e, da allora, vivo di arte, perché i quadri vanno anche venduti e io li vendo».
Perché si firma solo Luna?
«Sono fiera del mio cognome, però il quadro deve parlare da solo: un quadro lo compri solo se ti emoziona».