Il Sole 24 Ore, 12 marzo 2021
La sospensione dei dazi sul cibo italiano incentiva la corsa a fare magazzino
Soltanto poche ore sono passate dall’entrata in vigore della sospensione dei dazi Usa sui formaggi, i salumi e i liquori italiani, ma nei magazzini americani di importatori e distributori già circola l’ordine di fare scorta. Obiettivo: approfittare di questi quattro mesi di moratoria per rimpinguare gli scaffali, nel caso i negoziati Ue-Usa dovessero andare male e, a partire da luglio, i dazi al 25% si ripresentassero alla porta. «Noi speriamo in un’intesa – ha dichiarato il dg del Consorzio del Grana Padano, Stefano Berni – intanto i nostri partner commerciali negli Usa hanno aumentato gli ordini, perché essendo un formaggio stagionato, il Grana Padano Dop può essere facilmente stoccato. I dazi aggiuntivi del 25% sui costi di ingresso di 160mila forme di Grana Padano esportato negli Stati Uniti hanno pesato per oltre 16 milioni di euro sul prezzo complessivo del prodotto».
Fare magazzino, insomma. Peccato che sia più facile a dirsi che a farsi: «In questo momento dobbiamo fare i conti con difficoltà logistiche molto rilevanti», racconta Micaela Pallini, presidente del gruppo Spiriti di Federvini. Ai liquori italiani i dazi sono costati un crollo delle esportazioni verso gli Usa del 40%. L’azienda della famiglia Pallini, negli Stati Uniti, vende soprattutto limoncello: «Il fatto è che, con la Cina che monopolizza il traffico merci mondiale via nave, non si trova un nolo libero per spedire le casse. Di solito le mie bottiglie partono da Livorno o da Napoli, e in quattro settimane sbarcano alla dogane americane. Ora, invece, bisogna mettere in conto anche sette settimane di tempo, più la difficoltà di trovare una nave con posti ancora disponibili. Per spedire l’ultimo carico, ho dovuto rivolgermi a Rotterdam. E ancora non mi hanno confermato le date». Senza contare che la scarsità di noli porta con sé un aumento dei costi di spedizione. «La ripartenza del mercato americano per noi è fondamentale – dice Micaela Pallini – negli ultimi tre anni prima della pandemia i liquori italiani erano cresciuti del 50%».
Dal punto di vista quantitativo, è senza dubbio quello dei formaggi il settore del made in Italy che ha accusato il colpo più grosso da un anno e mezzo di dazi: «Associati alle chiusure per Covid, al deprezzamento del dollaro e all’aumento dei costi di nolo, in un anno abbiamo perso più di 60 milioni di euro – ricorda il presidente di Assolatte, Paolo Zanetti -. Le scelte di Trump hanno colpito però anche tante imprese statunitensi: sono migliaia le persone che lavorano alla filiera dei formaggi italiani negli Usa, dove abbiamo aperto società e magazzini con centinaia di dipendenti e trasportatori. Per questo bisogna continuare a lavorare perché si arrivi al completo annullamento della misura». La fine dei dazi, insomma, sarebbe una festa anche per gli stessi importatori americani: «Noi per primi abbiamo scritto lettere al governo americano chiedendo di non coinvolgere i formaggi italiani nella disputa – sostiene Phil Marfuggi, che è stato il presidente della Cheese importer Association durante i mesi delle discussioni con l’amministrazione americana -. Il problema principale riguarda soprattutto chi ha i magazzini pieni: molti clienti ci stanno già chiedendo di abbassare i prezzi dei prodotti».
Per il mondo dei salumi, invece, il mantra della corsa al magazzino è più complesso: «Per il mercato americano ci vogliono specifiche precise, bisogna fare una produzione ad hoc e non è detto che ce ne sia il tempo», spiega Davide Calderone, direttore di Assica. I prezzi, però, non è detto che subiranno oscillazioni: «Aziende come la mia – racconta Nicola Levoni – non li hanno mai alzati, ma hanno deciso di sobbarcarsi l’extra-costo dei dazi senza farlo ricadere sul consumatore». Il vero ottimismo, per il presidente Levoni, viene soprattutto dal ritmo delle vaccinazioni negli Stati Uniti: «Serviamo principalmente la ristorazione e la Florida ha già i ristoranti in overbooking. Mi aspetto una rapida ripresa dei consumi».