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 2021  marzo 12 Venerdì calendario

La linea Trump di Biden

Ieri mattina accendo la tv e il primo servizio, su Rainews, è una dichiarazione che Joe Biden ha rilasciato nella notte sulla vaccinazione di massa negli Usa: «Ci assicureremo di esserci presi cura prima degli americani, poi cercheremo di aiutare il resto del mondo. Se ne avremo a sufficienza, condivideremo le scorte dei vaccini con il resto del mondo». Inutile girarci intorno: è la stessa linea di Donald Trump, quella dell’America first. Ed è anche la risposta alle illusioni che negli ultimi giorni sono circolate a Bruxelles a proposito di una collaborazione tra Stati Uniti e Unione europea sul fronte dei vaccini, abbondanti a Washington, ma scarsi in Europa. Una collaborazione annunciata da Ursula von der Leyen dopo una telefonata di venerdì scorso con Biden, e celebrata come una vittoria dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, in una lettera aperta, di cui ItaliaOggi ha citato ieri alcuni passaggi, compreso questo: «Il nostro partenariato strategico con gli Stati Uniti, che stiamo rilanciando con la nuova amministrazione, è fondamentale anche nella lotta alla pandemia».Purtroppo per Michel, di questo «partenariato strategico» non c’è alcuna traccia nelle parole di Biden: per bene che vada, l’amministrazione americana prima vaccinerà l’intera popolazione Usa, e soltanto dopo, se le avanzeranno delle fiale, le condividerà con il resto del mondo, Europa compresa. È l’ulteriore conferma del fatto che, nella lotta mondiale alla pandemia, l’Ue è diventata un vaso di coccio, surclassata da Usa, Cina e Russia, che dispongono di propri vaccini anti-Covid-19, e non debbono subire i ritardi nelle forniture delle aziende produttrici, causati dalla gestione fallimentare dei contratti da parte della stessa Ue.
Quello dei vaccini non è però l’unico settore in cui Biden sta portando avanti la stessa politica di Trump, sia pure con uno stile meno aggressivo: il prossimo è quello dei dazi. In linea generale, all’inizio del suo mandato, il nuovo presidente Usa si è impegnato a invertire la guerra commerciale con l’Europa, che era stata iniziata da Trump con l’imposizione di dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio. Un primo segnale di questa linea di pace è l’accordo raggiunto nella telefonata Biden-von der Leyen per la sospensione di quattro mesi dei dazi che Usa e Ue avevano messo in campo su diversi settori e prodotti, l’uno contro l’altro, a seguito della querelle sugli aiuti di stato ai costruttori di aerei Boeing e Airbus, un litigio che va avanti dal 2004.
Problema risolto? Neppure per sogno. Ora è alle viste una nuova partita. In risposta ai dazi di Trump su acciaio e alluminio (25 e 10% rispettivamente), decisi nel 2018 e volti a colpire in primo luogo la Cina, l’Ue (colpita in parte, grazie a una serie di rinvii da parte di Trump) ne aveva poi introdotti altrettanti su particolari beni Usa, dazi che tra poco dovrebbero raddoppiare. L’escalation dovrebbe scattare il primo giugno, quando i dazi Ue del 25% dovrebbero salire in modo automatico al 50% su prodotti americani come bourbon, jeans, tabacco, burro di arachidi, succo d’arancia, yacht e motociclette Harley-Davidson. Secondo le disposizioni Ue, ai 3,2 miliardi di dollari decisi come rappresaglia nel 2018, si dovrebbero così aggiungere altri 3,8 miliardi, a meno che Washington cancelli subito i dazi sull’acciaio e sull’alluminio europei.
Questa cancellazione, però, è tutt’altro che facile. Anzi, per Biden costituisce un dilemma politico di non poco conto. Il dazio sull’acciaio, negli Usa, è ben visto sia dagli operai della «Rust belt», la Cintura della ruggine che comprende Stati come Pennsylvania, Virginia, Ohio, Indiana e Michigan, che nel 2016 votarono in massa Trump proprio per la sua difesa degli impianti siderurgici Usa, attuata con i dazi. Nelle ultime elezioni, però, queste tute blu hanno votato Biden, risultando decisive per la sua vittoria. E abolire i dazi sull’acciaio, per loro, sarebbe un tradimento politico. Non solo. Anche il presidente degli industriali dell’acciaio, Kevin Dempsey, difende a spada tratta il dazio Usa sull’acciaio, che a suo avviso ha svolto «un ruolo moto efficace», per cui Biden non deve cambiare la politica commerciale, anche perché «l’eventuale escalation dei dazi europei sarebbe illegale».
Di segno opposto il parere dei grandi produttori di bourbon, che considerano insostenibile un dazio europeo del 50%: il loro settore è quello che ha già subito il danno maggiore dai dazi Ue, pari al 15% del danno totale Usa. Il singolare contrasto di interessi tra acciaio e bourbon è salito di tono negli ultimi giorni, fino a diventare un tema politico molto caldo. E qui si è scoperto che, anche nella politica commerciale, l’America first di Trump non è finita nel cassetto. La neosegretaria del Commercio, Gina Raimondo, interrogata sui dazi, ha risposto: «Lasciatemi dire che queste tariffe sono state efficaci. I dati lo dimostrano. Il presidente Biden ha detto che avremo un’intera revisione governativa di queste politiche, e decideremo cosa ha senso mantenere».
Per maggiore chiarezza, Khaterine Tai, rappresentante del commercio degli Stati Uniti, in una risposta scritta al Senato, ha detto di capire il dolore che molti proveranno negli Usa a partire da giugno a seguito dell’aumento dei dazi Ue, tuttavia ha sottolineato la «necessità di mantenere una forte industria siderurgica statunitense». Più chiaro di così...