La Gazzetta dello Sport, 5 marzo 2021
Platini ricorda Gianni Agnelli
«“Michel, ti passo l’Avvocato”, mi fa Boniperti. E io: “Quale avvocato? Cosa dobbiamo discutere ancora del contratto? Non l’abbiamo appena firmato?”. E Boniperti: “L’Avvocato, Michel, non l’avvocato...”. E che ne sapevo allora, mica conoscevo la famiglia Agnelli nel 1982». Anno magico per la Juve e per Michel Platini. Anno che cambia la storia. Gianni Agnelli s’innamora di quel francese dalla punizione sublime che ha fatto gol all’Italia e lo vuole nella Juve che ha già Boniek. «Aveva parlato con il direttore dell’Équipe che gli disse che c’era un grande giocatore in Francia: io. Così mise in azione Boniperti, che fu bravissimo nella trattativa. Fino alla firma».
E al telefono?
«Poche parole, tanti complimenti e una richiesta: vinciamo la Coppa Campioni».
Lei ha detto: gli devo tutto.
«Sì, perché mi ha dato la possibilità di essere felice nel calcio e nella vita. Mi ha portato in una squadra prestigiosa, fatto giocare ad altissimi livelli e vincere, permesso che fossi un uomo libero di scegliere. Non solo nel calcio. Mi ha dato autonomia finanziaria. Tutte cose che vanno oltre il calcio».
Sivori disse: «Ero il vizio dell’Avvocato, poi ecco Platini».
«Ah! Vizio... no, passione e soddisfazione. Perché mi aveva scelto e dopo poteva dire agli amici, al suo mondo, agli industriali, agli attori, che capiva tanto anche di calcio. In fondo chi ero? Un buon giocatore francese di Nancy e St.Etienne, non del Barcellona. Alla Juve sono diventato Platini. E lui aveva visto lontano, non Boniperti, non Trapattoni. Lui mi voleva. L’ho reso orgoglioso».
Lei ha detto: «È stato il mio padrino».
«Ne ho avuti quattro, Georges, Sastre, Lagardère e lui, dirigenti, persone di trenta o quarant’anni più grandi. Non potevamo essere amici, non potevamo andare in discoteca insieme, ma se avevo bisogno di esperienza potevo chiamarli in ogni momento. Con lui anche dopo aver lasciato la Juventus. Rispondeva, ci teneva. Non so se l’abbia fatto con altri, ma con me sempre. Un suo marinaio mi disse un giorno...».
Cosa?
«Quand’ero a Cassis, l’Avvocato veniva a trovarmi in barca. Ho incontrato quel marinaio al funerale: “Michel, sa che lei era una seccatura? Eravamo lì tranquilli ma una volta all’anno, di mattina presto, l’Avvocato veniva e diceva “andiamo a Cassis”. Tutto il giorno in mare parlando di calcio».
Mattina presto, telefonate alle 6. Verità o leggenda?
«Ma quale leggenda. All’inizio rispondevo sempre, poi non ho più sentito il telefono».
Telefonate importanti?
«No, chiedeva come stavo, se ero pronto per domenica... Aveva richieste a volte originali, ma lo faceva con una simpatia e una semplicità disarmanti. Se devo descriverlo, dico: intelligenza, semplicità, eleganza. Amava scherzare, ma non lasciava trasparire i sentimenti. Semplice pur non essendo una persona semplice, uomo di mondo che viaggiava in elicottero. A Torino la gente lo amava anche senza conoscerlo».
Aneddoti, tipo quando la sfidò a colpire il palo. Lei disse «troppo facile», poi con la palla centrò lo spogliatoio...
«Ma anche quello era troppo facile per me...».
E con gli altri?
«Zoff aveva smesso, era arrivato Tacconi. Il primo anno Dino lo aveva allenato, il secondo se n’era andato e Tacconi non stava giocando bene. Prendeva troppi gol. L’Avvocato venne e disse: “Come sta, Tacconi?”. Stefano subito: “Eh, mi manca Zoff...”. E l’Avvocato: “Sapesse quanto manca a noi”».
Difficile dire addio?
«Era l’87, la stagione stava per finire. Mi invitò a casa sua e gli dissi: “Vado via”. Lui, sorpreso: “Come? Per che squadra?”. Lo tranquillizzai, nessuna squadra: “Smetto”. Sollievo. Subito mi propose di lavorare per lui, ma risposi: “No, grazie, devo tornare al mio porto, sono lontano da tempo, devo riflettere”. Poi ho fatto la tv, il c.t., insomma non è stato possibile. Ma non mi ha dimenticato. E neanch’io. Sa cosa successe alla sua festa per i 70 anni?».
Prego...
«Venne a Parigi a festeggiare. Chez Maxim. C’era John con lui. Andai a trovarlo e gli regalai il mio primo Pallone d’oro. Mi disse: “Grazie, Michel! Ma è d’oro?”. E io: “Scherza, Avvocato? Se fosse stato d’oro me lo sarei tenuto!”. Per i miei 40 anni si presentò con un regalo: un pallone di platino, piccolo, ma quello era platino. Il vero regalo fu il pensiero, non si era dimenticato. Era molto attento ai dettagli umani. Ho ricambiato al Mondiale ’98 facendolo venire all’incontro con Kissinger».
Un difetto?
«Non sono stato così vicino a lui per conoscerlo oltre il pallone. Ma ricordo la tristezza immensa per le sconfitte. Il giorno peggiore al porto di Atene, la mattina dopo l’Amburgo. Era distrutto. Lo incontrai con Antonio (Cabrini, ndr) che gli disse: “Tranquillo, il prossimo anno vinciamo lo scudetto e tra due la Coppa Campioni”. Profetico. Ma quella mattina non riuscimmo a tirarlo su».
Gli sarebbe piaciuto Pirlo?
«Tantissimo. Uno di quei giocatori di cui si innamorava, come avere un Platini arretrato davanti alla difesa. Innamorato di grandi giocatori, non solo juventini: Cruijff, Maradona...».
E le chiedeva consigli.
«Sempre. “Questo è da Juve, Michel? E quello?”. Gli suggerii Zidane, lui voleva prendere Dugarry. Dissi: “Meglio Zizou”. Dopo sei mesi mi chiamò: “Sicuro di aver consigliato bene?”. Moggi poi l’ha venduto a 90 milioni ma non mi ha neanche offerto una pizza...».