Sette, 5 marzo 2021
Carlo Calenda padre a 16 anni
«Lei conosce la tecnica delle telefonate a freddo? Ecco, si immagini il vecchio elenco del telefono. Aprivo una pagina a’ caso e da lì cominciavo». La parte meno raccontata della biografia di Carlo Calenda — parlamentare europeo, candidato a sindaco di Roma, leader della formazione politica denominata Azione, ex ministro dei governi Letta, Renzi e Gentiloni, simpaticissimo o antipaticissimo a seconda dei punti di vista che non prevedono la via intermedia, o l’una o l’altra ma forse più la seconda — lo vede diciottenne, padre di una bambina piccola avuta a sedici anni, impegnato in una specie di risalita dopo anni in cui la vita gli aveva dedicato solo discese ardite. Sono i primi anni Novanta. «I miei genitori mi hanno aiutato con mia figlia, ma pretesero che mi mantenessi da solo lavorando durante l’università».
E arriviamo all’elenco del telefono.
«Esatto. Promotore finanziario. Usavo, le dicevo, la tecnica delle telefonate a freddo. Aprivo il vecchio elenco del telefono, sceglievo un abbonato, telefonavo».
Su cento telefonate, quanti appuntamenti riusciva a fissare?
«Su cento, diciamo, novantanove finivano subito con un bel vaffanc..o e una era l’appuntamento fissato».
Una palestra di vita. Soprattutto i novantanove vaffa.
«Anche l’appuntamento preso. Perché poi non tutti gli appuntamenti finivano con un contratto siglato. Chi sottoscriveva, con soddisfazione sia sua che mia, mi segnalava poi altri cinque contatti. E da lì si creava una rete».
Un po’ come Eleonora Giorgi in Borotalco di Carlo Verdone, quando vendeva enciclopedie musicali.
«Il principio è quello».
Era bravo?
«Guadagnai bene. E sì, ero abbastanza bravo. Ma non il migliore. C’era gente che riusciva sempre a vendere al primo appuntamento, magari senza conoscere ciò che vendeva. Un istinto animale per la vendita di cui ero sprovvisto».
Com’era finito il nipote dell’ambasciatore Calenda da un lato, e del regista Luigi Comencini dall’altro, a vendere prodotti finanziari porta a porta?
«Diciamo che un’educazione decisamente inquadrata mi aveva portato a essere un bravissimo bambino e un perfetto pre-adolescente. Tanti libri, molta cultura, bene a scuola, cose così. Ma le troppe aspettative mi hanno fatto sprofondare in una specie di baratro dal quale poi sono uscito».
Raccontiamo il baratro.
«Fino alle medie va tutto benissimo. Arrivato al liceo, il Mamiani di Roma, inizia il disastro. Rimandato in due materie in quarta ginnasio, in quattro materie l’anno dopo, bocciato direttamente l’anno dopo ancora».
Nel frattempo diventa papà, a sedici anni.
«Quando arriva Tay, che oggi ha trentadue anni e fa la fotografa, finisco di essere il ragazzo scapestrato dei tre anni precedenti».
La mamma di Tay?
«Dieci anni in più di me ma la storia finisce rapidamente. Tay ha rapporti con lei, io no».
Sua mamma, la regista Cristina Comencini, diventa nonna a trentatré anni. Come accolgono la novità in casa?
«All’inizio sono disperati. Poi, quando arriva Tay, tutte le cose si rimettono a posto. Io mi occupo tantissimo della bambina, recupero l’anno scolastico perso. Mia madre mi aiuta tantissimo ma a una condizione: devo iniziare a lavorare».
Da lì prenderà in mano l’elenco del telefono.
«Esatto. Mio nonno paterno, che era stato ambasciatore in India e aveva chiuso la carriera da consigliere diplomatico di Pertini al Quirinale, diceva sempre che ogni lavoro ha uguale dignità ma che non tutti i lavori possono portarti alla stessa responsabilità. Un netturbino e un professore universitario hanno le stessa identica dignità; ma non la stessa preparazione. Uno vale uno nella dignità, non nella competenza».
Col nonno materno, Luigi Comencini, poteva aprirsi una strada nel cinema.
«Ho recitato in Cuore, una delle foto a cui tengo di più è stata scattata sul set insieme a Eduardo de Filippo nella sua ultima apparizione. Ero un cane a recitare, non mi interessava fare l’attore, nessuno della mia famiglia ha insistito. Anzi, le dirò, mio nonno era molto felice che non avessi scelto di fare il cinema».
Com’era Luigi Comencini visto dal nipote?
«Schivo, riservato e molto autorevole. Una vita ritirata, l’esatto contrario di quello che uno si aspetterebbe da un regista di quella fama. Vedeva Ettore Scola, Lattuada, poco altro, vita sociale zero».
Lei con i suoi figli è severo? La Playstation, come scrisse su Twitter aprendo un dibattito infinito anche nel Pd, è ancora vietata a casa sua?
«Si. Dopo Tay sono arrivati altri tre figli. Da quattordici anni alla più piccola che ne ha sette. Videogiochi e smartphone possono entrare in casa dopo che i bambini hanno assimilato la lettura come abitudine. E comunque non prima dei 14 anni».
Gli smartphone, nelle case degli italiani, sono nella disponibilità di bambini molto più piccoli di dieci anni.
«Non a casa mia. Dove c’è la regola che lo smartphone ce l’hai a quattordici anni, prima ti devi accontentare di un Nokia senza collegamento a Internet».
La battaglia contro il cancro di sua moglie Violante, di cui avete entrambi parlato pubblicamente che cosa vi ha lasciato?
«La vicinanza di tutti, amici e avversari politici. E anche la consapevolezza politica che il sistema sanitario nazionale italiano è un bene irrinunciabile. Negli Stati Uniti, le cure di mia moglie sarebbero costate un milione di euro, con medici meno preparati. Sa, dentro Azione, che conta oggi ventiduemila iscritti, lavorano trentacinque persone, otto soltanto nell’ufficio studi e analisi. Tre di questi studiano e monitorano solo la sanità italiana».
Dove si vede tra un anno?
«A fare il sindaco di Roma».
Non si farà da parte per agevolare la probabile corsa dell’ex ministro Gualtieri?
«Ho girato tutta la città, incontrato centinaia di associazioni. E ora che cosa racconto, “scusate mi faccio da parte?”. No, sono e rimango candidato».
A volte lei sembra il lato A o B di un disco che sull’altra facciata ha Matteo Renzi.
«Ho detto più volte che lo considero il miglior presidente del Consiglio degli ultimi decenni. Ma abbiamo uno stile molto diverso».
Chi è più spregiudicato?
«Quello tra i due che prima ha detto “mai coi Cinquestelle a costo che governi Salvini” e poi si è alleato coi Cinquestelle per non far andare al governo Salvini; e che oggi governa in una maggioranza con Salvini. Il tutto nello spazio di due anni e mezzo».
Ma questo è Renzi. E poi, cambiare idea è legittimo, a volte auspicabile.
«Ho cambiato idea mille volte anche io. Ma sempre mantenendo una coerenza di fondo e spiegando le ragioni del cambiamento».
Farebbe le conferenze a pagamento che Renzi fa in giro per il mondo?
«Se sei pagato dagli italiani per fare il senatore non puoi prendere soldi da uno Stato straniero. Punto».