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 2021  marzo 12 Venerdì calendario

Vita da fattorino di Amazon

«Pensateci quando suoniamo il campanello di casa e fate storie per scendere a ritirare il pacco. Noi siamo gli schiavi del terzo millennio. Se parcheggiamo male mentre vi portiamo l’acquisto e un vigile ci fa una multa, la paghiamo noi. Se urtiamo lo specchietto del furgone perché dobbiamo correre come dannati e lo rompiamo, paghiamo anche 500 euro di franchigia. Se poi non riusciamo a consegnare tutti i pacchi che ci hanno dato al mattino riceviamo lettere di richiamo».
Alla guida del furgone, diretto verso Torino, Giorgio si sfoga al cellulare. «Allora io stamattina mi sono alzato alle 6,30 per andare a caricare al centro Amazon di Brandizzo. Adesso sono quasi le 17 e non sono ancora in deposito. Se ho mangiato? Un panino mentre ero alla guida: la frittata di mia mamma. In bagno? Ma anche no: chi ha tempo per andarci». Straordinari? «Ma in che mondo vivete lì fuori? Mi pagano otto ore e ne lavoro quasi 9 nove».
Benvenuti nel mondo del 14 mila driver che lavorano per l’universo Amazon. A breve avranno anche le divise arancioni e saranno iper-riconoscibili. Ma, a breve, non cambierà l’algoritmo che scandisce la loro vita ogni sacrosanto giorno di lavoro. Algoritmo che segna tutto: numero di pacchi da consegnare, numero di fermate da fare. Percorso da seguire. Tempi. E per ogni consegna ci sono al massimo 3 minuti Se sgarri son guai.
«È un universo di gente sfruttata» tuona Gerardo Migliacco segretario di Uil trasporti del Piemonte. Lui ha preso carta e penna e ha preparato un esposto. Motivo? «Amazon detta le regole alle aziende appaltatrici. Decide tutto. Non può chiamarsi fuori da questa storia. L’algoritmo è roba sua. I pacchi suoi. Le regole anche. Dai, che modo di fare è?».
La questione è così delicata che a qualunque porta bussi, salta fuori una storia. Una lettera di rischiamo a un driver, un addebito.
Scusi, quanti pacchi dovete consegnare al giorno?La storia dell’ultimo driver a cui una grande società di logistica ha inviato una lettera di richiamo è emblematica. Giorno 5 marzo. Il trentenne, con lavoro part-time a 1200 euro al mese, deve consegnare 177 pacchi e fare 117 fermate. In città e nella prima cintura. Non ce l’ha fatta a fare tutto. La sera ne ha riportati indietro 12. «In ufficio mi hanno sgridato. Ma che colpa ne avevo io? Il device con l’elenco consegne è andato in tilt e ho dovuto usare il mio telefono per trovare le strade» racconta il driver. Gli hanno inviato la lettera di richiamo. Rischia il posto. Perché nelle 8 ore e 30 di lavoro non ha fatto tutto. Non poteva correre di più? «Guardi qualche settimana fa ho preso 130 euro di multa per eccesso di velocità, in zona Vercelli. Andavo veloce perché ci sono i tempi da rispettare. Chi paga la multa? Io ovviamente».
Luca Iacomino, responsabile del dipartimento Trasporti e logistica della Cigl non ha dubbi: «Amazon non può tirarsi fuori da questa storia. Il rispetto delle regole è anche affar suo: troppo comodo dire che i guai riguardano le aziende che si occupano dell’ultimo miglio. Chi è che decide i carichi? Amazon. Chi è che decide i percorsi? L’algoritmo di Amazon. Chi stabilisce i tempi di consegna? Ancora Amazon». E allora che si deve fare? «L’algoritmo non è un totem, deve cambiare. E i lavoratori dell’ultimo miglio non sono schiavi».
Iacomino, ma in epoca di lockdown c’era meno traffico, meno gente per strada, non è andata meglio? «Come no! Anche i bar erano chiusi. Pensi alle driver donne: non avevano neanche un posto dove andare a fare pipì. Parlando con rispetto».