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 2021  marzo 12 Venerdì calendario

I sindacati entrano nella Silicon Valley

I sindacati entrano nella Silicon Valley, ma stavolta hanno un alleato di ferro alla Casa Bianca. Ora si tratta di vedere se la Silicon Valley può sopravvivere all’arrivo delle "union", e magari migliorare le proprie pratiche in campi non circoscritti solo alla retribuzione o l’orario, ma allargati all’etica e al ruolo nella società del futuro.
La valle a Sud di San Francisco dove è nata la rivoluzione digitale era un tempo famosa per i campi di frutta. Le aziende tecnologiche hanno cambiato non solo il suo aspetto fisico, ma soprattutto la sua cultura. I pionieri del computer e poi di internet avevano bisogno della massima flessibilità, e quindi non solo dipendenti di talento appassionati alla missione di evangelizzazione digitale, ma anche disposti a non guardare l’orologio mentre inventavano, e accettare di perdere il lavoro quando i progetti non funzionavano. Tanto ci sarebbe sempre stato qualcun altro pronto ad ingaggiarli per realizzare una pazza idea. In cambio le compagnie digitali offrivano retribuzioni senza pari, benefit, mense che sembravano ristoranti, e una linea di comunicazione diretta con i manager che rendeva superflui i sindacati.
Questa storia sta finendo, per varie ragioni. Quella contingente è la pandemia, che ha cambiato molte cose. La gente lavora da casa, non si sa quanti torneranno negli uffici. La Silicon Valley però ne ha beneficiato con un’esplosione dei ricavi, e Amazon ha dovuto aggiungere mezzo milione di dipendenti, salendo a 1,3 milioni in totale, per fare fronte alla domanda crescente degli acquisti digitali al riparo dall’infezione.
Così sono nate due esigenze, che stanno aprendo la porta ai sindacati. La prima riguarda i "colletti blu" della compagnia fondata da Jeff Bezos, che forse ha lasciato la carica di amministratore delegato proprio per non gestire questa fase complicata. Sono lavoratori più tradizionali che vogliono maggiore sicurezza del posto, paghe migliori, orari meno stressanti, protezione dal Covid che ne ha contagiati a centinaia. Molti hanno posizioni temporanee.
Qualche tentativo di sindacalizzare i dipendenti di Amazon era stato fatto in passato, da Seattle a Rugeley in Gran Bretagna, ma l’azienda era riuscita a bloccarli con tattiche aggressive. Ora però i 5.805 lavoratori del magazzino di Bessemer, Alabama, stanno votando via posta per costituire un sindacato affiliato alla Retail, Wholesale and Department Storie Union, che in caso di vittoria avrebbe il potere di sedersi al tavolo con l’azienda per negoziare il contratto collettivo. Amazon ha fatto il possibile per fermarli, inclusa l’offerta di bonus da mille dollari per i lavoratori scontenti che vogliono andare via, finalizzata all’uscita di chi voterebbe in favore. Il presidente Biden però è intervenuto, avvertendo che la consultazione deve avvenire senza interferenze, e il 29 marzo si saprà il risultato.
Fonti della compagnia ammettono che non voglio i sindacati per due motivi: primo, avere la flessibilità per assumere e licenziare in base all’oscillazione della domanda; secondo, la libertà di innovare, partendo dalla prossima sostituzione degli esseri umani con i robot ovunque la tecnologia lo renderà possibile.
A gennaio però è nato un sindacato anche a Google, l’Alphabet Workers Union affiliato a Communications Workers of America, che risponde ad altre esigenze. Raccoglie circa 400 ingegneri, e quindi è minoranza dentro una compagnia con 260.000 dipendenti. Sono "colletti bianchi" già trattati coi guanti, che però si pongono altri problemi. Hanno contestato il licenziamento della guru nera dell’intelligenza artificiale Timnit Gebru, mettono in discussione il ruolo etico dell’azienda nella società, lamentano discriminazioni o molestie sessuali e razziali. Un po’ come i dipendenti di Twitter e Facebook che chiedevano ai loro capi di essere più attivi contro le fake news, fino alla cacciata di Donald Trump dai social.
Il fenomeno dunque è doppio: da una parte ci sono rimostranze tradizionali, e dall’altra urgenze di cui fino a poco fa non immaginavamo neppure l’esistenza. Come sempre la Silicon Valley fa da pioniere, ammesso però che così non perda proprio le qualità con cui ha dominato la rivoluzione digitale e battuto la Cina, finora.