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 2021  marzo 11 Giovedì calendario

La sfida nascosta nel Mediterraneo

Noi italiani siamo stati abituati a credere che il Bel Paese abbia solo una frontiera terrestre. L’alpina. Corona montuosa che ci separa da Francia, Svizzera, Austria e Slovenia – e insieme ci congiunge al resto d’Europa. Circa 1.200 chilometri. L’idea che il nostro spazio sia delimitato soprattutto dal mare ci è aliena. Eppure le coste italiane, naturali e artificiali, corrono per circa 8.300 chilometri. Siamo quasi un’isola. Penisola, appunto.
Fin qui la geografia fisica, che determina nel rapporto di 7 a 1 l’estensione delle frontiere di mare rispetto a quelle di terra. La geopolitica aggiunge stacco ulteriore: mentre lungo l’arco alpino certo non mancano tensioni (ricorrenti schermaglie al valico di Ventimiglia, diatribe latenti al Brennero, porosità informale del confine sloveno) ma in un contesto di pace e di relativa cooperazione, lo stesso non si può stabilire guardando alle coste. Specie le meridionali e insulari. La nostra soglia strategica non è più a Gorizia, come nel quasi mezzo secolo di guerra fredda (in realtà la cortina di ferro era sulla Drava: in caso di attacco sovietico avremmo scoperto nella Jugoslavia un alleato). Oggi è lungo lo Stretto di Sicilia. Qui s’incrociano due dinamiche geopolitiche di cruciale rilievo.
Anzitutto, la Sicilia, chiave del Mediterraneo, è italiana pro forma, o poco più. Non tanto per la storica impronta mafiosa, declinante. Quanto perché vuota di poteri. Allo sbando. L’Italia sembra aver rinunciato a occuparsene e i siciliani ad attendersi qualcosa da Roma. Cosa nostra non può né ha mai voluto farsi Stato. Delle istituzioni è parassita per vocazione, come il pidocchio dell’uomo. Non sopporta la luce del potere palese, responsabile.
Poi, a poche decine di miglia dagli scali siculi si apre lo sconfinato spazio di Caoslandia. Terre a bassa quando non inesistente pressione istituzionale, dove si concentrano conflitti, traffici informali d’ogni genere, gruppi terroristici, potenziali migranti disperati. Qui, sulla “quarta sponda”, il vuoto è stato in parte riempito. Non da noi, ma da turchi e russi. Dirimpetto alla Sicilia e alla Calabria troviamo due Stati potenti, ambiziosi e soprattutto disponibili a usare la forza. Per noi, abituati a considerarci nemici di nessuno, sembra non cambi nulla.Non basta. Il Mediterraneo sta diventando terra. Tutti i Paesi che vi si affacciano vi piantano non troppo simbolici paletti, vere e proprie sfere marittime d’influenza. Tattica espressa con la dichiarazione di Zone economiche esclusive che coprono gran parte di quel mare che per noi dev’essere libero. Noi siamo ancora in attesa del via libera parlamentare per poterne delimitare una, con i turchi ben dentro lo Stretto di Sicilia e gli algerini in vista di Oristano. Quanto alla flotta che dovrebbe eventualmente vigilarla, fra dieci anni rischiamo di perderla vista l’obsolescenza delle unità in servizio e la carenza di nuove in costruzione. Né per le altre Forze armate va molto meglio. Mentre intorno a noi tutti riarmano. Anche con armi nostre, perché siamo popolo generoso. Non stupirebbe che un giorno ci trovassimo attaccati con armi – ad esempio, navi – italiane da Paesi stranieri.
Che cosa potrebbe diventare l’Italia se nel Mediterraneo si accendessero scontri armati? Che vita potrebbe darsi nel Bel Paese se il Canale di Suez, dove già troviamo cinesi e russi, fosse chiuso o anche solo disputato? Infine, ma non per importanza. La sfida fra Stati Uniti e Cina si svolge anche nel Mediterraneo. Le vie marittime della seta che partono da quel mediterraneo asiatico che è il Mar Cinese Meridionale per puntare verso il fu mare nostro, connettore inaggirabile fra Indo-Pacifico e Atlantico, sono considerate minaccia di grado massimo dal nostro impero di riferimento, l’americano. Eppure abbiamo firmato un memorandum d’intesa che può essere letto come adesione al campo del nemico del nostro capocordata. E non risulta sia oggetto di revisione da parte del governo. D’accordo, siamo celebri per i cambi di campo in corsa, ma forse qualcosa la storia dovrebbe averci insegnato.