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 2021  marzo 11 Giovedì calendario

QQAN10 E se i due marò fossero davvero innocenti?

QQAN10

La rappresentazione politica e mediatica della vicenda detta “dei due marò” è gravemente fallace. Già a partire dalla definizione dell’attività svolta da Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Che non sono affatto due marò, bensì due fucilieri della Marina militare italiana. In ragione del loro mestiere – “fuciliere” suona perfino peggio di marò, che al più evoca i controversi marines – sui due è calata sin dal primo momento un’atmosfera, diciamo così, “di destra”. Inoltre, pesava e pesa lo scenario ideologico: due militari di un paese occidentale, accusati di aver ucciso due pescatori di un paese asiatico, occupati in un’attività assai faticosa e precaria, esposta a mille insidie. Infine, la sensazione che l’affaire di Latorre e Girone venisse gestito da una parte dello schieramento politico italiano (rappresentato da Fratelli d’Italia) e addirittura contrapposto polemicamente (e confusamente) a un’altra terribile vicenda internazionale, quella dell’assassinio di Giulio Regeni in Egitto.
Con queste premesse è stato in qualche misura fatale che dei due fucilieri e dei due pescatori indiani rimasti uccisi si parlasse per successive ondate emotive, fino a che sull’intera vicenda è calato il silenzio. Poi, il 21 maggio del 2020, la Corte Permanente di Arbitrato dell’Aja alla quale l’Italia e l’India avevano affidato la soluzione della controversia, si è espressa riconoscendo ai due militari italiani l’immunità funzionale e precludendo all’India l’esercizio della propria giurisdizione nei loro confronti. È stato riconosciuto, cioè, che Latorre e Girone erano funzionari dello Stato italiano, impegnati nello svolgimento della loro missione (difendere un mercantile da eventuali abbordaggi di pirati). Pertanto, sarà compito dell’Italia esercitare la propria giurisdizione penale e risarcire l’India per i danni fisici, materiali e morali causati all’equipaggio e all’imbarcazione del peschereccio St. Antony, dove si trovavano le due vittime.
Tutto inizia il 15 febbraio del 2012, intorno alle ore 16.30, quando la petroliera italiana Enrica Lexie incrocia un peschereccio e lo identifica come una imbarcazione di pirati. Latorre e Girone, secondo le regole di ingaggio – questa è la loro versione – sparano alcune raffiche, a scopo intimidatorio, in acqua, davanti alla prua del peschereccio, senza mirare ai membri dell’equipaggio. Poco dopo, un peschereccio denominato St. Antony comunicherà che due pescatori, Ajeesh Pink e Valentine Jelestine, sono rimasti uccisi in una sparatoria avvenuta al largo della costa del Kerala. Successivamente, il 19 febbraio, Latorre e Girone verranno arrestati. Partirà da qui una lunga storia confusa e per tanti versi indecifrabile, fatta di molti colpi di scena, spostamenti dell’attenzione tra Nuova Delhi e Roma, attività di servizi di spionaggio e controspionaggio, speculazioni politiche e complicatissime relazioni internazionali. Non solo tra il nostro paese e l’India, ma tra diversi attori geo-politici presenti nell’area, variamente interessati alla soluzione o alla non soluzione della vicenda. Al momento si attende un processo davanti un tribunale italiano per valutare finalmente le responsabilità dei due militari e acquisire la verità giudiziaria su fatti che tanto dolore e turbamento hanno prodotto in quattro famiglie e nelle opinioni pubbliche dei rispettivi paesi.
Oggi mi sento di dire che l’orientamento prevalente è quello di dare per scontata la responsabilità dei due fucilieri e, allo stesso tempo, di giustificarla come fosse la conseguenza di uno stato di concitazione; oppure l’effetto di una doverosa difesa da assalitori veri o presunti. E così sembrerebbe interesse di tutti lasciar cadere nell’oblio l’intera vicenda, attraverso il proscioglimento dei due militari; oppure attraverso una condanna mite che riconoscesse tutte le attenuanti del caso. Ma è proprio questa la soluzione che non va bene a Massimiliano Latorre, luogotenente e responsabile dei sei militari presenti sul mercantile italiano. Latorre intende battersi perché il processo si celebri regolarmente, perché l’opinione pubblica possa seguirlo e perché egli abbia modo, in quella sede, di dimostrare la propria innocenza. Le sue parole, l’esame della documentazione disponibile fatta da Alessandro Paccione per conto di A Buon Diritto Onlus, un libro molto rigoroso di Toni Capuozzo, edito da Mursia e altre verifiche inducono, a questo punto, a porre la domanda: e se fossero innocenti? Esaminiamo i passaggi essenziali della tesi dell’accusa rappresentata dagli organi di polizia del Kerala. A sostegno di questa vi sono, in primo luogo, le testimonianze dei pescatori della St. Antony, che hanno riconosciuto nella petroliera italiana la nave da cui sono partiti i colpi. Ma va notato che il riconoscimento della Lexie da parte dell’equipaggio del peschereccio è avvenuto solo dopo che erano state ampiamente diffuse, attraverso i media, le immagini della imbarcazione italiana; e ciò nonostante che il nome della Lexie fosse ben visibile, collocato com’era su più parti della stessa imbarcazione. Per quanto riguarda la perizia balistica, che avrebbe ricondotto i proiettili estratti dai corpi dei pescatori a due delle armi in dotazione ai militari, le sue conclusioni vengono smentite dalla precedente autopsia. Le misure dei proiettili, infatti, risultano diverse e non compatibili con il calibro di quelle in dotazione ai fucilieri. Per altro, le misure dei proiettili appaiono tra loro difformi. E la cosa mal si concilia con l’uniformità di armi e munizioni in dotazione ai militari italiani, come verificato dall’esito della perquisizione effettuata sul mercantile. D’altra parte, le stesse risultanze della perizia balistica, contenute in una relazione del 4 aprile 2012, ricollegano i proiettili rinvenuti nei cadaveri delle vittime ad armi il cui numero di matricola è riconducibile a fucilieri altri e diversi rispetto a Latorre e Girone. Oltre ai molti dubbi che hanno reso scarsamente credibile questa perizia, va considerato che le armi di Latorre e Girone – non ricollegate a nessun proiettile – risulterebbero avere il caricatore vuoto, a riprova della circostanza che queste (e non quelle di altri fucilieri) sono state impiegate per sparare i colpi partiti dalla petroliera italiana. Ma c’è un ulteriore elemento controverso relativo ancora una volta ai proiettili sparati in quel tragico pomeriggio: i periti balistici non sono stati in grado di ricondurre i frammenti di proiettili ritrovati sul peschereccio a nessuna delle armi in dotazione ai fucilieri. Resta insoluta, dunque, la questione relativa alla provenienza di questi altri due proiettili.
Detto questo, e accogliendo in ipotesi la linea difensiva di Massimiliano Latorre, rimane una domanda grande e pesante come un macigno: chi ha ucciso i due pescatori? La tipologia dei proiettili rinvenuti e la loro traiettoria possono avvalorare due ipotesi alternative. La prima è quella che attribuisce la sparatoria a imbarcazioni dello Sri Lanka, motovedette della Marina o pescherecci che, notando la St. Antony nelle acque dell’ex Ceylon (particolarmente ricche di tonni), avrebbero fatto fuoco sul peschereccio indiano. Parte della perizia balistica, infatti, rileva la conformità fra i proiettili rinvenuti e quelli in uso alla guardia costiera dello Sri Lanka. La seconda ipotesi considera la presenza di un’altra imbarcazione, battente bandiera greca, in quelle stesse acque. In un dispaccio dell’Ansa del 21 febbraio 2012 si legge che l’ufficio marittimo della Camera di Commercio Internazionale (ICC) aveva denunciato l’avvenuto tentativo di abbordaggio di pirati alla nave greca Olympic Flair, a due miglia e mezzo dalla costa indiana, nello stesso giorno dell’incidente che ha coinvolto l’Enrica Lexie. Quest’ultima e la petroliera italiana risultavano essere assai simili sia per colore che per sagoma, differenziandosi solo per la forma del fumaiolo. Il giorno in cui le autorità internazionali confermavano il presunto attacco dei pirati ai danni della Olympic Flair, la Marina militare ellenica smentiva qualsiasi tipo di coinvolgimento. Ma l’elenco delle contraddizioni, dei buchi neri e delle approssimazioni è assai lungo. Si pensi al fatto che, mentre è definitivamente accertato che l’ora dell’incidente rientra nella fascia tra le 16.00 e le 16.30, il capitano del peschereccio, in un primo momento, ebbe a dichiarare che esso sarebbe avvenuto molte ore dopo, alle 21.30. Un elemento cruciale dell’accusa è quello che attribuisce a Latorre e Girone di aver agito “senza alcun ragionevole motivo o preavviso in conformità con i mandati marittimi prescritti per tale circostanza”, ovvero in piena inosservanza delle regole anti-pirateria. Ma il rapporto redatto a bordo da Latorre illustra puntualmente la sequenza di azioni dissuasive messe in atto verso un natante sospetto in avvicinamento, fino alla scarica di colpi in acqua. Poi, una circostanza davvero rilevante emerge dalle testimonianze dei pescatori superstiti: secondo questi, tutti a bordo dormivano, escluse le due vittime. Il che porta alla conclusione che non esistano reali testimoni oculari dei fatti.
Come si vede, siamo di fronte a un quadro probatorio estremamente complesso, dove è difficile orientarsi. Proprio per questo un regolare processo pubblico è la via migliore per poter mettere a confronto tesi diverse, verificare testimonianze e acquisire una documentazione rimasta in parte secretata. Massimiliano Latorre è convinto di poter dimostrare l’innocenza sua e di Salvatore Girone. Ora, dalla sua parte, c’è un legale che promette battaglia. Chi scrive lo conosce bene e lo apprezza: è Fabio Anselmo, avvocato di cause difficili e di processi vinti, come quelli per la morte di Federico Aldrovandi, per quella di Stefano Cucchi e per la vicenda giudiziaria che ha visto lo stato tedesco condannato a risarcire i danni al figlio di un internato in un lager nazista. In genere, chi mostra un carattere forte e una particolare tenacia di difensore, su un campo di calcio o in tribunale, viene paragonato a un “mastino napoletano”. Non so se esistano in quella città emiliana, ma nel caso di Fabio Anselmo, si potrebbe parlare di “mastino ferrarese”.