La Stampa, 11 marzo 2021
Aborto fuorilegge in Arkansas
L’assalto all’aborto è scattato negli Usa. Non che fosse mai finito, perché dal 1973 è uno dei temi centrali nella battaglia culturale che divide l’America. Ora però c’è un’accelerazione senza precedenti, perché i pro life sono convinti di poter vietare l’interruzione di gravidanza, grazie alla netta maggioranza conservatrice che l’ex presidente Trump ha insediato alla Corte Suprema.
Lo dimostra la legge appena approvata in Arkansas, che proibisce la pratica in tutti i casi, tranne quando far nascere il bambino mette a rischio la sopravvivenza della madre. Lo scopo non è ottenere che il divieto entri in vigore, perché di sicuro verrà bloccato nelle corti minori, ma spingere il massimo tribunale del Paese ad intervenire, per rovesciare la sentenza Roe vs Wade che aveva legalizzato l’aborto nel 1973.
Le interruzioni di gravidanza negli Usa non sono possibili grazie ad una legge o un referendum, ma per la scelta della Corte Suprema nella causa che Norma McCorvey, alias Jane Roe, aveva presentato contro il procuratore di Dallas Henry Wade. Da allora in poi la disputa non è mai finita, per ragioni giuridiche, culturali e politiche. Sul primo punto, i pro life contestano che il popolo non si è mai davvero espresso. Sul secondo, i pro choice mettono l’accento sulla difesa del diritto di scelta delle donne, mentre i pro life, animati da forti convinzioni religiose, rispondono di voler proteggere il diritto alla vita del nascituro. Sul terzo punto, democratici e repubblicani sono ormai schierati di «default» a favore e contro. I cattolici come il presidente Biden distinguono tra la posizione personale, in difesa della vita, e quella pubblica, che non consente allo stato laico di imporre la propria volontà su questa materia. Così attirano le critiche della gerarchia ecclesiale, con la Conferenza episcopale che ha costituito una commissione per decidere se continuare a dare la comunione al capo della Casa Bianca.
Se si tenesse un referendum, l’aborto probabilmente verrebbe legalizzato. Secondo la Gallup, il 48% degli americani è pro choice, contro il 46% pro life, ma il 50% ritiene che la pratica dovrebbero essere consentita in certe circostanze, il 29% sempre, e il 20% mai. Secondo Pew, i favorevoli sono il 61% e i contrari il 38%. Perciò i pro life hanno scelto di seguire anche loro la strada giudiziaria, per cancellare Roe vs. Wade.
Tra gennaio e febbraio sono state presentate 384 leggi contro l’aborto, e 14 Stati vorrebbero bandire la pratica. La più severa è quella dell’Arkansas, che consente di interrompere la gravidanza solo quando la madre rischia di morire, e quindi si tratta di scegliere fra una delle due vite. Firmando il testo, il governatore repubblicano Asa Hutchinson ha riconosciuto che «è in contraddizione con i precedenti vincolanti della Corte Suprema», aggiungendo che avrebbe preferito inserire anche le eccezioni per stupro e incesto. Però ha dato il via libera perché «l’intento della legge è creare le condizioni affinché la Corte Suprema rovesci l’attuale sentenza».
Questa è la vera battaglia. I pro life sperano che la legge dell’Arkansas, come tutte le altre, venga bocciato dalle corti di primo e secondo grado, costringendo il massimo tribunale ad intervenire. Dopo le nomine di Trump dei tre giudici Gorsuch, Kavanaugh e Barrett, i conservatori hanno una maggioranza netta di 6 a 3, e quindi gli oppositori dell’aborto pensano di convincere la Corte Suprema a discutere una delle cause, per cancellare o limitare Roe vs. Wade. I magistrati finora hanno evitato di intervenire, anche perché molti durante le audizioni di conferma hanno dichiarato di considerare Roe come legge del Paese. Cancellare l’aborto motiverebbe i democratici alle urne, spingendo Biden a «pack the court», cioè aumentare i giudici della Corte Suprema aggiungendo liberal per diluire i conservatori. I pro life però vogliono forzare la mano, e quella delle nomine giudiziarie sarà forse l’eredità più duratura di Trump, non solo per l’aborto.