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 2021  marzo 11 Giovedì calendario

Tania Cagnotto parla di sport e maternità

Tania Cagnotto è appena diventata mamma per la seconda volta. Nel giorno in cui Lara Lugli, la pallavolista che si è ritrovata in causa con il Pordenone Volley dopo la gravidanza, pubblicava la sua storia su Facebook, l’ex tuffatrice rientrava dall’ospedale con Lisa e non avrebbe avuto tempo di occuparsi d’altro. Invece si è messa a leggere e ha scoperto che un’atleta, come lei, si è ritrovata il suo aborto rinfacciato in un’ordinanza. Senza poterci credere.
Che cosa ha pensato?
«Ogni male. Che lo sport non può essere ancora fermo qui e che era un racconto troppo triste per essere vero. Invece è successo e potrebbe succedere ancora».
Per molte sportive dilettanti aspettare un bambino significa rescindere gli accordi con la propria società.
«Ecco, nel 2021 non può essere. Esistono molte federazioni che hanno dei fondi maternità e pur in assenza di un contratto stipulano accordi per delle forme di tutela. Non conosco il mondo della pallavolo e so che la giocatrice stava in serie B, dove forse è diverso, ma bisogna trovare un modo per cui chiunque faccia sport per lavoro abbia almeno i diritti essenziali riconosciuti. Poi che vuol dire "ha taciuto sulla intenzione di avere figli"? ».
Che cosa vuol dire?
«Guardi, un conto è se avesse firmato quando era già incinta. Non mi risulta sia così e certe cose capitano, può succedere anche se non lo hai pianificato. Non è un reato. Usarlo come pretesto per un provvedimento è scandaloso».
Quale messaggio vuole mandare a Lara?
«Prima di tutto mi spiace immensamente che la sua gravidanza si sia interrotta, avrebbero dovuto almeno rispettare il suo dolore. E poi le vorrei dire "tieni duro". Ha fatto quello che sentiva, ha reso pubblico un problema che non viene considerato. È stata coraggiosa».
In Italia non esiste uno sport al femminile che preveda il professionismo.
«Non è logico. Se non siamo professioniste noi chi lo è? Sono poche pure le federazioni che prevedono il professionismo al maschile: manca proprio la cultura dello sport».
Lei ha temuto di perdere qualcosa quando ha avuto la sua prima figlia?
«Ci sono stati momenti della mia carriera in cui ho pensato di abbandonare la Guardia di Finanza, il corpo militare per cui ho gareggiato. Ma mi sarei trovata senza sostegno. Pensavo: "Se mi infortuno? ". E quando sono rimasta incinta avrei voluto proprio lasciare tutto per godermi il momento, anche l’arma che mi ha sempre supportato. Comunque quando sono rimasta incinta un po’ di entrate fisse le ho perse e non posso dare colpe alla Federnuoto perché purtroppo è come funziona in assenza di veri contratti di lavoro».
Ha avuto Maya nel 2018, a 33 anni, quando era convinta di essersi ritirata. Mai pensato di avere dei figli mentre era in attività?
«No. Però il binomio mamma-atleta è molto recente. Prima non si osava neanche immaginarlo e già questo è indicativo. Nei tuffi la prima a risalire sul trampolino dopo un figlio è stata Anne Lindberg, a Londra, nel 2012».
Lei veniva da un quarto posto a un passo dal podio, una gara frustrante. Non ha pensato mi fermo un po?
«Ho pensato se mi fermo è definitivo e ho continuato. Dopo Rio invece avevo tutto, le medaglie, le soddisfazioni e volevo fare la mamma a tempo pieno».
Per un attimo però ci ha ripensato.
«Una parentesi, senza Covid non so come sarebbe andata e se sarei riuscita ad avere il sostegno necessario per curare Maya e allenarmi. Ora sono felice e sicura di aver cambiato capitolo. Però quando penso a un futuro da allenatrice mi chiedo. E con le figlie come faccio? Il dilemma resta».
Due figlie femmine. Dovranno lottare per i loro diritti?
«Quando sono rimasta incinta la seconda volta per un istante ho pensato: ma in che mondo la metto? Però ne ho fatte due, almeno si sosterranno».
La protesta di Lara Lugli arriva proprio dopo il tanto celebrato 8 marzo. Solo parole?
«Certo che sì. La parità è lontana e in tanti non la vogliono. Prendiamo i femminicidi, non fanno che aumentare e dietro ogni squallido caso c’è una donna che ha denunciato e non è stata creduta o non è stata aiutata. Che cosa è cambiato in tutti questi 8 marzo di grandi proclami? Niente, le donne continuano a morire per capriccio».
Nello sport che cosa si può fare in concreto per dare più sostegno alle atlete?
«In attesa del professionismo, su cui è necessario accelerare, non si può essere dilettanti e basta. Servono tutele, ma per ogni disciplina. Tocca alla politica occuparsene».
Se ci fosse un movimento che porta avanti queste istanze vorrebbe farne parte?
«Mi piacerebbe. L’indignazione sollevata dal caso di Lara può essere una spinta».
Quando le sue figlie cresceranno e potranno decidere se dedicarsi allo sport il professionismo ci sarà?
«Se ci lavorano da oggi può essere. Se si sta un po’ a far polemica e al solito poi ci si dimentica, no».