il Fatto Quotidiano, 10 marzo 2021
Sanguineti nel ’79 già scrisse il testamento
Il “colore testamentario di questa lettera non sarà gradevole, ma è fatale: e questa lettera implica che, di fatto, affido a te la tutela delle mie carte, e dunque, assai più che la tutela del compiuto, come avrai compreso, la distruzione del privato”.
È il 26 marzo 1979 quando Edoardo Sanguineti (Genova 1930-2010) scrive quella lunga lettera al figlio Federico che ha un “colore testamentario”. Poeta principe della neoavanguardia e narratore, studioso di Dante e critico letterario del ’900 (rivalutò, tra gli altri, Lucini, Gozzano, Soffici, Palazzeschi), traduttore, giornalista, parlamentare del Partito comunista, Sanguineti, cioè uno degli intellettuali di maggiore rilievo a livello europeo del secondo Novecento, all’epoca della lettera non ha ancora compiuto 49 anni. Si sente tuttavia stanco per i tanti impegni, e invecchiato. È in uno stato d’animo che rammenta un verso che comporrà qualche tempo dopo, in Rebus: “ho avuto, a mezzo maggio, inverno e inferno”.
Nella stessa corrispondenza con Federico, che allora aveva 23 anni, aggiunge che “in tutto questo, non c’è altro che il desiderio, che mi par naturale, di rimanere, tanto o poco, nel ricordo altrui, per quel che ho voluto responsabilmente che rimanesse e avendo molto scritto, in vita mia, ce n’è quel che basta, e ne avanza: (…) in generale, saggi sparsi, recensioni, prefazioni, sono ripubblicabili tutti, ove fossero raccolti, perché non rinnego quel che ho stampato; dunque, ogni cosa stampata è, per principio, ristampabile”.
Il “testamento” del marzo 1979, che intreccia in modo straordinariamente significativo il Sanguineti privato e il Sanguineti pubblico, è del tutto inedito. Fa parte del corpus di oltre 500 lettere, anche queste non note, che l’autore di Laborintus e di Capriccio italiano inviò a Federico, oggi filologo e dantista di vaglia, fra il 1978 e il 1979. Su questo materiale imponente sta lavorando Eleonisia Mandola per il suo dottorato di ricerca, presso il Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Salerno (la responsabile per l’italianistica è Rosa Giulio; Laura Paolino è la tutor della ricercatrice).
Una parte delle lettere sarà pubblicata, in ottobre, in volume.
Tutto ciò è stato reso possibile dalla famiglia Sanguineti, ossia dai figli Federico, Giulia e Michele, che ha messo a disposizione del Centro studi interuniversitario Edoardo Sanguineti di Torino il carteggio, oltre a molte altre carte del padre. Voluto da Donato Pirovano, direttore del Dipartimento di Studi umanistici dell’ateneo subalpino, e dalla italianista Clara Allasia, che lo guida, il Centro Sanguineti, a cui danno il loro apporto le Università di Torino, Salerno, Genova e Milano, è un archivio in cui sta confluendo un patrimonio cospicuo di documenti inediti o dispersi.
Grazie soprattutto ad alcune donne, dunque, a undici anni dalla morte Edoardo Sanguineti riemerge dall’oblio in cui la grande industria editoriale, i mass media e un certo mondo culturale, lo avevano affondato. Intellettuale scomodo, comunista non ortodosso e mai pentito, il poeta e critico genovese era infatti scomparso dalla scena: i suoi libri non più pubblicati, rimossi la sua presenza e il suo peso nella cultura italiana. A differenza, invece, ricorda Eleonisia Mandola, “della Francia e della Germania, dove Sanguineti non è dimenticato”.
Ora, grazie alle studiose (e anche agli studiosi) di Torino, di Salerno, di Genova e di Milano, qualcosa si muove. Tanto che, a quanto sembra, la casa editrice Feltrinelli avrebbe intenzione di ristampare alcune sue opere ormai introvabili.
La ricchezza del laboratorio umano e culturale di Sanguineti, intanto, è testimoniata dalle lettere a Federico, quel dialogo fra un padre quasi cinquantenne e un figlio poco più che ventenne. Spiega la Mandola che “Sanguineti sembra a volte dialogare non con un figlio giovanissimo, ma con un suo coetaneo o un suo collega di studi”. E in questo “accarezzarsi senza toccarsi” vengono fuori benissimo la sua figura di intellettuale poliedrico, il respiro decisamente internazionale (una eccezione tra gli intellettuali di casa nostra), la coerenza del suo marxismo.
È quel Sanguineti che, nel “testamento” del 1979, scriveva a Federico: “è anche mio desiderio che tu consulti costantemente la mamma, nelle decisioni che possano riguardare stampe e ristampe dei miei scritti; nell’occasione, così, posso anche dire che non desidero, anzi non voglio che ci siano prefazioni, introduzioni o commenti che le accompagnino: vadano nude, come nacquero, ché così, infine, hanno pur da morire, senza vestiti altrui”.