Il Sole 24 Ore, 10 marzo 2021
La liquidità record delle banche centrali non basta
È pari a 28mila e 800 miliardi di dollari il controvalore degli asset nei bilanci delle principali banche centrali: Fed, Bce, Bank of Japan e People’s Bank of China. In media la crescita annuale è stata del 44% secondo i calcoli di Yardeni Research. Un incremento record che fotografa l’enorme sforzo fatto per sostenere l’economia e stabilizzare i mercati finanziari travolti dallo shock della pandemia. I piani straordinari di acquisto titoli, al pari degli stimoli fiscali varati dai governi, hanno contribuito a tenere in vita l’economia durante i lockdown. In modo diverso sono stati una terapia d’urto necessaria ad evitare che una crisi sanitaria si trasformasse in una crisi finanziaria. Qualora, ad esempio, il blocco delle attività avesse dato luogo a un’ondata di insolvenze sui debiti pubblici e privati.
Non è un caso che, quando esplose l’emergenza, furono i bond dei debitori a maggior rischio a finire nell’occhio del ciclone. Italia compresa a giudicare dalla fiammata messa a segno dallo spread tra l’esplosione del focolaio a Codogno e il lockdown nazionale. La Bce, a dir la verità, non fu prontissima a correre in soccorso del nostro Paese. Anzi furono proprio alcune improvvide dichiarazioni di Christine Lagarde («Non è nostro compito chiudere gli spread») ad amplificare la speculazione contro i BTp. Ma la Bce avrebbe fatto presto a rimettersi in carreggiata con il varo del piano di acquisti pandemici “Pepp”. Un «bazooka» decisivo nell’allentare la tensione e spegnere la speculazione. Non solo sui debiti sovrani ma anche e soprattutto sul debito societario. Grazie al mix di politiche fiscali e monetarie le aziende hanno potuto rifinanziare il loro debito e, con lo scudo delle banche centrali, i governi hanno potuto finanziare le costose politiche anti-Covid. Non era scontato.
Se siamo stati in grado di limitare i danni finora insomma bisogna ringraziare anche i banchieri centrali e la loro capacità di inventarsi soluzioni innovative a fronte di una crisi inedita. Nonostante la pandemia continui a colpire duro forzando gli Stati a imporre restrizioni è indubbio che oggi ci troviamo in una condizione molto più favorevole rispetto a un anno fa. Grazie a migliori strumenti di contenimento e gestione del contagio e soprattutto grazie all’arma del vaccino che, si spera, potrà portarci presto fuori dall’incubo della pandemia. Non solo. L’economia promette di ripartire a pieno ritmo. Grazie ai maxi-piani di investimenti pubblici che sia l’Europa, con il piano Next Generation Eu, sia Stati Uniti, con i 1900 miliardi di dollari del piano Biden, si apprestano a varare.
Tutto bene quindi? Non proprio. La tanto attesa ripartenza dell’economia mondiale si è accompagnata a colli di bottiglia nella catena globale di forniture. La macchina è ripartita troppo veloce e troppo in fretta. E questo ha avuto l’effetto collaterale di generare inflazione. Che è stata favorita anche dal forte rialzo dei prezzi delle materie prime. E molti credono che piani di stimolo non faranno altro che consolidare queste pressioni.
Fondati o meno che siano questi timori un effetto concreto lo hanno avuto: scontando l’inflazione in arrivo i tassi nominali dei bond sono risaliti in maniera marcata. Una fiammata che è partita dai Treasury americani i cui rendimenti, poco sopra l’1% un mese e mezzo fa, si sono riportati all’1,6% come non accadeva da gennaio 2020. Con effetti a cascata sui tassi di tutto il mercato obbligazionario globale. BTp compresi i cui tassi, scesi sotto i mezzo punto percentuale dopo l’incarico a Draghi, ieri quotavano 0,68 per cento.
L’instabilità del mercato dei bond non è la benvenuta in un’economia ancora convalescente per l’emergenza Covid. E da più parti, recentemente, si torna a chiedere l’intervento delle banche centrali. A partire dalla Fed che, per ora, ha risposto picche a chi, in questa fase, ha chiesto interventi più decisi (leggasi “controllo della curva dei rendimenti”). E anche sulla Bce non mancano le pressioni. Le aste del Tesoro Usa, che collocherà 120 miliardi di nuovo debito, saranno un test chiave per capire chi l’avrà vinta. Una cosa è certa: nonostante l’enorme liquidità in circolazione i mercati continuano ad avere sete.