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 2021  marzo 10 Mercoledì calendario

Cottarelli vuole rilanciale la via liberale. Intervista

Ha ricoperto ruoli di responsabilità al Fondo monetario internazionale, è stato commissario per la revisione della spesa pubblica ai tempi del governo di Enrico Letta, un po’ Edward Mani di Forbice, un po’ esploratore con lo zainetto, quando salì al Quirinale su richiesta di Mattarella nel tentativo di formare un governo dopo le elezioni politiche del 2018. Quando, nei primi mesi dopo il voto, nessun governo sembrava possibile.
Economista, docente alla Bocconi, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici, consulente del ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta, Carlo Cottarelli è chiamato ora a un compito nuovo. Scrivere un programma per il centro liberaldemocratico che verrà. Il Pd è in crisi, i 5 Stelle sono altro, la destra sovranista va combattuta, così — i liberali — ripartono da lui. Che però — da un treno che lo porta da Milano e Roma — nega risolutamente: «Questa non è una discesa in campo».
Ci spiega cos’è che nasce oggi?
«A nascere è il comitato scientifico per un programma per l’Italia che mi è stato commissionato da alcuni gruppi e partiti di area liberaldemocratica: Azione di Carlo Calenda, Più Europa con Emma Bonino, il Partito repubblicano italiano, Ali (alleanza liberaldemocratica per l’Italia), i Liberali. L’idea è fare un comitato che possa fornire idee, un futuro programma per risanare, ridare vigore nel medio periodo al nostro Paese. Dal punto di vista economico e sociale».
Lei sarà il presidente?
«Sono stato chiamato a presiedere questo comitato che avrà dentro una ventina di membri, ma resterà aperto a nuove associazioni che potranno unirsi in base a valori comuni».
Quali?
«Prima di tutto la fede nella democrazia parlamentare; un ancoraggio europeo e atlantico; l’uguaglianza di possibilità, che è cardine della nostra Costituzione; il merito, la solidarietà, senza cadere nell’assistenzialismo».
È passato da riserva della Repubblica a protagonista di una nuova coalizione di centro.
L’obiettivo sono le prossime elezioni?
«Per me scendere in politica significa candidarsi. Quel che faremo invece è soltanto fornire idee che potranno essere utilizzate dalla politica. Se sono buone, possono usarle tutti. So che tanti ricameranno su questa cosa, ma non posso farci nulla».
Perché il raggruppamento di cui parla sembra il germe di un’alleanza elettorale che punta a staccare il Pd dal M5S.
«Questo va chiesto ai rappresentati dei partiti che mi hanno chiamato, io mi occupo delle idee. Anche perché bisogna capire cos’è il centrosinistra, vedere cosa succede nel Pd. Sono tanti ad auspicare che i partiti dell’area democratica si mettano insieme. Da cittadino, posso dirle che c’è una tradizione liberal-democratica nell’Italia unitaria che la frammentazione in atto ha un po’ oscurato, riducendone l’importanza».
I liberali non le paiono abbastanza rappresentati?
«Dico solo che quest’area esiste e ha un ruolo in tutti i Paesi. A me interessa fornire idee perché sono deluso da quel che ho visto nei partiti negli ultimi anni».
Cos’è che la delude?
«È come se avessero difficoltà a chiarire quali sono gli ideali a cui si ispirano, quali le àncore del loro pensiero politico. Dicono al massimo centrodestra, centrosinistra, ma che significa?».
Non è abbastanza chiaro?
«Per farle un esempio, non si comprende quale sia il concetto di giustizia sociale che intendono propugnare. Noi parliamo di “uguaglianza di possibilità”, tutti devono avere le stesse, un progetto profondamente democratico che dovrebbe essere condiviso da tutti».
Crede, come ha accennato prima, che ci sia stato un eccesso di assistenzialismo?
«Si è pensato molto di più a redistribuire ricchezza che a crearla.
La solidarietà è fondamentale in un Paese come il nostro, ma prima — la ricchezza — bisogna crearla. Luigi Einaudi, nel 1948, parlava di uguaglianza delle opportunità chiedendo: quanti talenti vengono sprecati perché non si dà a tutti, nei primi anni di vita, la possibilità di migliorare, di crescere? Per questo pubblica istruzione, sanità, formazione, sono capisaldi fondamentali del nostro progetto ».
Il Recovery Fund non doveva servire anche a questo?
«Certo, insieme al tentativo di rendere il nostro Paese un posto dove le aziende straniere tornino a investire. Ma parliamo di 200 miliardi in 6 anni. Sono 35 miliardi all’anno.
Noi abbiamo, già adesso, una spesa pubblica di 870 miliardi l’anno. È quindi chiaro che non tutto si potrà fare col Recovery Fund. Aggiungo che questa coalizione, molto eterogenea, punterà per forza di cose a un minimo comun denominatore».
Renzi ha chiamato? Le ha fatto una scenata di gelosia? Italia Viva è stata tagliata fuori.
«No, no, ho sentito solo i committenti. Il mio è un altro lavoro».