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 2021  marzo 09 Martedì calendario

Che cosa vuol dire «sostenibilità»

E’ stato linguista Uwe Porksen a coniare la definizione: la parola ameba. Quelle parole che come un’ameba, strisciando, col tempo e l’uso, hanno acquisito tali e tanti significati da aver perso infine del tutto la loro vera identità. In genere la parola ameba fa sentire importante chi la pronuncia ma non è detto che a questa parola corrisponde un’azione o una pratica altrettanto importante. Allora, andiamo subito al punto: sostenibilità. Non rischiamo (Dio non voglia) che si trasformi in una parola ameba? Per esempio, alcune grandi aziende sono specializzate a pubblicizzare la parola ogni volta che possono, ma poi nella pratica non sanno bene come misurarla, non esiste un parametro fisso per tutti, insomma navigano un po’ a vista. E questo è per l’industria. E in agricoltura? C’è un metro per misurala?
Cosa di preciso sia in agricoltura la sostenibilità è difficile dire, però, sì, certo- ci dice Sergio Saia (da anni molto concentrato sulla definizione realistica di questa pratica) - esistono modi per misurare alcuni aspetti della sostenibilità. In sintesi, vanno analizzati tre componenti: gli impatti ambientali, economici e sociali. Ora, alcuni di questi vengono misurati con molta precisione (ad esempio le voci di impatto ambientale del Life Cycle Assessment o della Water Footprint, perdona i termini).
Per altri la misura è più complessa. Appunto, non è scontato analizzare gli aspetti economici o sociali su scala territoriale. E ancora, tutte queste misure possono essere dirette, oppure frutto di complicate stime con vari modelli più o meno buoni.
E questo crea aspetti problematici. Vediamone alcuni. Pur misurando la sostenibilità di un sistema (agricolo o meno), non ha grosso senso fornirla tal quale. L’unica cosa davvero interessante è fornire le differenze nelle stime per condizioni diverse in modo da poter scegliere.
Questo, in pratica, vuol dire che non è facile garantire un bollino di sostenibilità, perché non c’è un riferimento che valga per tutti i luoghi e contesti: alcuni possono favorire alcuni aspetti e sfavorirne altri e viceversa. E poi, i fattori sociali ed economici, possono cambiare nel giro di un tot tempo o di un tot di spazio.
Quindi, la sostenibilità dichiarata e sbandierata a volte rischia di non essere sostenibile: una parola ameba. Non va bene, perché è un concetto importante che ci permette di fare i conti della serva.
Cerchiamo di capirne alcuni aspetti pratici, però prima, a proposito di aspetti pratici, un po’ di numeri sull’agricoltura italiana. Quante aziende, quanta terra, e le fasce di età degli imprenditori? La capacità di innovare? Insomma, un po’ di numeri per disegnare la base di partenza, sulla quale poggiare i piedi e provare a spiccare il volo: in maniera sostenibile, ovvio.
Si parla di ritorno alla terra, e si insiste, giustamente, che questa nuova e benvenuta ondata, proprio perché giovane sarà innovativa e dunque anche sostenibile. Bene, ma i dati? In Italia, quante sono le aziende agricole condotte da under 35? Sono tante? Sono poche. I dati Nomisma ci dicono che sono 46 mila.
Valore assoluto alto, quello relativo così e così, appena il 4% sul totale. Il totale è costituto da aziende condotte in gran parte da agricoltori over 65, con una bassa scolarità (i dati complessivi sono questi: 8% è laureato, il 61% ha diploma elementare o di scuola media, il 29% diploma di scuola superiore, il 2% non ha titoli di studio).
Comunque (dato positivo) le nuove aziende, condotte dagli under 35, hanno una superficie agricola intorno ai 20 ettari, rispetto agli 11 di media italiana.
Giusto per leggere in dati nell’insieme e confrontarli. Rispetto ai paesi confinanti, come siamo messi? Non bene. La Spagna ha più aziende giovani e soprattutto hanno una superficie di 32 ha, contro i 25 ha di media nazionale. In Germania gli under 35 conducono aziende di 62 h , contro i 61 ha di media nazionale (in sostanza vecchi e giovani giocano lo stesso campionato sullo stesso campo di calcio).  La Francia 83 ha (i giovani) contro i 62 ha di media nazionale.
La nostra agricoltura, dicono i numeri, soffre di problemi antichi: nanismo e frammentazione. Dai tempi degli studi universitari, al dipartimento economia di Agraria, Portici, nella sala intitolata a Rossi Doria, da allora, dicevo, sento queste lamentazioni, sacrosante. Le aziende sono piccole e frammentate, un pezzo qua, un pezzo là. Prendi la macchina lavora la terra, poi riprendi la macchina, scavalla una collina e raggiungi l’altro appezzamento, consumi tutto in gasolio: l’agricoltura italiana rischia di non essere sostenibile.

Difatti –dicono i dati Ismea- in Italia i comparti fondamentali, cerealicolo, frutticolo, olivicolo sono sotto dimensionati. Alcuni, poi, quello olivicolo, per esempio, davvero messi male. Piccole quote di terreno, pochi ettari, a volte condotti da agricoltori part time, un po’ impiegati e un po’ contadini, quindi i campi a olivo sono lasciati lì, giusto una potatura per ottenere un po’ di prodotto da portare al frantoio.
Va bene, ma in fondo si lavora con quello che si ha, quindi concentriamoci sulle cose buone. Le aziende giovani stanno crescendo (e 1 su 4 è condotta da una donna).
Le 5 regioni che si contraddistinguono per la presenza del maggior numero di aziende condotte da giovani agricoltori sono Sicilia, Puglia, Campania, Calabria e Lazio.
Quelle che invece presentano la maggior estensione poderale sono Sardegna (46,5 ettari di media per azienda), Valle d’Aosta (42,8 ettari). Buon dato, però poi coltivano prati e pascoli, quindi mangime per animali.
I giovani agricoltori del Nord, invece, sono più produttivi: Lombardia prima di tutto (409 mila euro di valore della produzione media per azienda), seguite da Veneto (305 mila), Emilia-Romagna (180 mila), Piemonte (135 mila) e Friuli Venezia Giulia (97 mila euro).
Cosa producono i giovani? I settori produttivi che vedono la maggior presenza di giovani sono quello avicolo e del latte (10%) poi l’orticolo (8%), il suinicolo (6%), il frutticolo e il vitivinicolo (5%). Le imprese cerealicole ed olivicole sono marginali.