la Repubblica, 9 marzo 2021
1QQAFM10 L’America nel romanzo di Monda
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Che cos’èun vero americano? Secondo Il principe del mondo,
l’ultimo romanzo di Antonio Monda in uscita per Mondadori, è un europeo che, spesso forzato dagli eventi, ha reciso le proprie radici per trapiantarle in una terra selvaggia e libera, nella quale è possibile esprimere e realizzare le ambizioni più azzardate, portandosi peròdietro i traumi di quel salto di luoghi e di culture.
Il protagonista del libro si chiama Jacob. Etimologicamente, lo si spiega nelle ultime pagine, Jacob significa «colui che segue», e si tratta in effetti di un gregario, di un assistente: dopo aver lavorato per il produttore Sam Warner,passa alledipendenze di Joseph Kennedy, il padre di John e Bob.
Il libro parte nel 1927, con la fastosa anteprima de Il cantante di jazz, e si sviluppa fino all’inizio dei Trenta: Jacob assiste così dietro quinte privilegiate alla nascita del cinema sonoro, al crollo di Wall Street, all’ascesa di Franklin Delano Roosevelt, all’impennata del nazifascismo che si riverbera dalla lontana Europa.
La trama è minima, giusto la linea rosadi un amore contrastato. In una ricercata forma di understatement, Monda evita la piatta descrizione cinematografica (come lo è molta odierna narrativa sia italiana sia statunitense, ansiosa di rivendersi come sceneggiatura): il suo vero interesse è l’affresco storico, il ritrovare e concatenare territori e figure del Novecento obbedendo alle proprie preferenze e ai propri palpiti. Che sono intanto geografici, intorno a quei luoghi d’America, soprattutto New York, che lui stesso frequenta e abita. E poi culturali, nel descrivere appunto quel particolare tipo di europeo che ha dato origine all’America: Jacob e la sua famiglia vengono da Varsavia, Sam Warner da Krasnosielc (ancora Polonia), il patriarca Kennedy dall’Irlanda, e s’incontrano anche greci, italiani, austriaci, sempre legati a storie difficili, spesso dolorose.
Sono tutti specchi dell’autore, italiano di origini meridionali, naturalizzato americano, sposato con una giamaicana, che da anni va costruendo una cosmogonia letteraria dedicata alla sua America: Il principe del mondo è l’ottavo pezzo di un polittico pensato fin dall’inizio come decalogia, in cui personaggi storici incontrano comprimari fittizi, su e giù per il Novecento, dentro romanzi che s’incrociano e sovrappongono ma restano fruibili singolarmente (alla fine del libro c’è comunque un dizionarietto dei personaggi, veri e non, che compaiono nei volumi usciti fino ad oggi).
Monda ama profondamente l’America, con accenti lirici nella descrizione di città e sobborghi, nella sua capacità di dar corpo ai desideri, senza però dimenticarne i lati oscuri: il principe del titolo potrebbe essere il vecchio Kennedy, marito fedifrago, intrallazzatore politico, antisemita e filonazista, ma è in effetti un altro. «Il principe del mondo è il diavolo», dice a Jacob proprio Kennedy, «e la vita è una Via Crucis». È un’America che per affermarsi smania di combattere, possibilmente su un palco, e la sua metafora perfetta è la boxe, sport di sopraffazione e spettacolo, il cui momento determinante avviene però prima e fuori dal match, «quando i contendenti si guardano negli occhi e promettono dolore». Perciò il volume è scandito da incontri di pugilato, e la copertina riprende un quadro di George Bellows che compare nella pinacoteca di Kennedy, a immortalare un incontro fra Jack Dempsey e Luis Ángel Firpo.
Chiaro che poi dentro il libro di un professore di cinema e direttore di festival passano ricordi di molti film e di tanta letteratura, a volte senza annunciarlo esplicitamente (a un certo punto compare una Ms. Kubelik, il ruolo di Shirley MacLaine nell’immortale L’appartamento di Billy Wilder), a volte dichiaratamente (Jacob è cugino di Isaac Bashevis Singer, uno degli scrittori preferiti di Monda).
Ma il libro è godibile anche come centone di aforismi, spesso storici. Ecco SamWarner che cerca di convincere i fratelli a investire nel cinema: «Potete levare tutto, alla gente, ma non lo svago: è l’unica cosa per cui ci sarà sempre richiesta». Dorothy Parker che scherza a pranzo con gli amici: «Se vuoi sapere cosa pensa Dio del denaro guarda a chi lo ha dato». La lezione del magnate William Randolph Hearst: «Una cosa che ho imparato con i miei giornali è che non bisogna aver paura di sbagliare: i lettori potrebbero apprezzare i tuoi errori». Isaac Bashevis Singer che condanna gli sperimentalismi: «Ogni forma d’arte va avanti e si evolve, tranne una sola che rimane uguale a se stessa: l’avanguardia». E poi il proverbio del domestico dei Kennedy, riportato in quarta di copertina: «Non chiedere mai la strada a chi la conosce: rischi di non perderti», ambiguo elogio di chi lascia la via vecchia per la nuova, un salto nel buio che può guadagnarti una nuova esistenza ma perderti l’anima.