la Repubblica, 9 marzo 2021
QQAN80YDONNE Intervista a Elisa Di Francisca. Parla delle violenze subite
QQAN80YDONNE
C’è tutto: la fatica che si fa a crescere, la ribellione al padre, alla scuola, l’arroganza, l’impero dei sensi, la violenza confusa con l’amore, la ragazza che vuole prendersi tutto, la confusione che non trova un porto, la libertà del piacere, l’atleta che vince, la donna che perde, la madre. Ma soprattutto: l’impossibilità di essere normale, i pezzi che non vanno a posto, la difficoltà di cercarsi. Se fosse Paul Newman sarebbe «Hud il selvaggio», invece è Elisa Di Francisca, 38 anni, due ori e un argento olimpici, in Giù la maschera. Confessioni di una campionessa imperfetta. Libro scritto con Gaia Piccardi per Solferino.Da dove s’inizia?«Dal fatto che credo di averla scampata. Sono sopravvissuta alla violenza maschile. Forse lui mi avrebbe sfigurata, forse sarei finita nel lungo elenco delle donne vittime di un rapporto sbagliato. Invece sono qui, perché ho detto basta, grazie anche a una madre che mi è stata vicina, non solo quando lui con un pugno mi ha spaccato il labbro».Aveva 18 anni.«E sono rimasta incinta dello stesso fidanzato geloso e manesco, che mi aveva allontanato anche dalla scherma. Ho interrotto la gravidanza, cercando di cancellare quel momento. Ne ho parlato con pochissime persone, ma il dolore lo provi comunque, mi ha fatto molto male, è un pensiero che torna».Il suo carattere non è tra i più concilianti.«È un altro modo per dire che me le cerco? Non so, di sicuro sono una che sfida, gli altri e me stessa, sono arrogante e strafottente, con me arrabbiarsi è facile, provoco, non indietreggio, non cerco di calmare le acque, le agito. Le voglio sempre più mosse, calma piatta mai. Mi sono messa contro la scuola, gli insegnanti, contro ogni forma di regole che mio padre mi voleva inculcare. A forza.Sono fatta così: devo toccare il fondo, farmi male, sentire con la mia pelle. Le mie esperienze, belle e brutte, non potevo fare a meno di farle».C’è tutto: la scoperta della sessualità, l’amicizia femminile, il rapporto con gli uomini, la relazione con l’allenatore, che poi diventa il tecnico dell’avversaria.«Non sono tipa da maschere, se non in pedana. Sì, qualcuno mi ha chiesto di non raccontare, ma non c’è nulla di cui debba vergognarmi. Io sono sincera, le cose sono successe, e io non mi sono mai nascosta. C’è stato un momento in cui ho avuto il rigetto degli uomini, almeno di quelli che capitavano a me, così è stato normale avere una relazione con Claudia, una mia compagna di squadra. Nel senso che eravamo molto intime, pensavamo allo stesso modo, avevamo una sensibilità comune e c’è stata una pulsione fisica. Le ho sempre detto: a me piacciono gli uomini, ma se proprio dovessi baciare una donna quella saresti tu. È iniziata così, è durata un anno, lei voleva discrezione, io la provocavo davanti a tutti: dai, amore, sali, che ti aspetto in camera.La seduzione mi piace. Per me era un’esperienza nuova, per lei no, tanto che voleva farmi cambiare idea sugli uomini. Intanto c’è chi mi faceva domande sceme: ma tu per strada chi guardi? Io guardo tutti, perché penso che tutto abbia qualcosa da darmi».Da ribelle a poliziotta delle Fiamme Oro.«Sembra un controsenso, ma in Polizia ho scoperto che le regole servono. E per la prima volta ho imparato ad apprezzarle. Non è stato facile seguire il corso completo, ho sofferto, ho pianto, mi chiedevo: ma a cosa mi serve studiare il diritto civile e penale, e fare gli inseguimenti in auto? Io per natura contesto, vado nell’altra direzione, controvento. Ma lì a 22 anni ho sentito un senso di appartenenza, con in più la responsabilità di avere un’arma, e tra l’altro la mia mira è ottima.Tranquilli, la pistola è in caserma».Non ha parole amichevoli verso le compagne-avversarie.«Rispetto Valentina Vezzali con cui dividevo palestra e Jesi, ma per quello che mi ha detto e fatto proprio no, abbiamo caratteri diversi. E la battuta sul mio aborto mentre ci sfidavamo in pedana poteva risparmiarsela. Con Arianna Errigo ero amica, dividevamo la stanza, uscivamo insieme, ci confidavamo i segreti».Ma dalla finale olimpica a Londra 2012 è sceso il gelo.«Sì. Ero sotto 8-11, ho recuperato, 11 pari, e all’ultimo secondo ho piazzato la stoccata vincente. Da quel momento Arianna ha iniziato a dire che russavo, che non voleva più spartire nulla con me. Sono diventata la nemica, quella che le aveva tolto l’oro, come se fosse stata l’amicizia a farla perdere e non la mia abilità nel fioretto. Da lì tutto si è interrotto».Al suo posto forse anche lei si sarebbe comportata così.«Non credo. Le avrei detto: sei stata la più brava. Però finalmente ho capito: vita e sport non possono stare insieme. Lasciamo stare la retorica delle compagne che sono contente se vince l’altra. Ci vuole la giusta distanza. Non puoi sconfiggere l’atleta e poi andare a cena allegramente con la persona. È innaturale. E più fai finta di niente, più non affronti l’argomento, più il solco si allarga. Chi ha perso si sente derubata, chi ha vinto si sente in colpa. Così non c’è pace per nessuno. La competizione è onesta, ma è brutale» Lei si è messa con Stefano Cerioni, ex schermidore, suo maestro, ex ct azzurro del fioretto.«Sì. 18 anni di differenza. Lui sposato, separato, con due figli. Sembra scontato, lo so. Ti metti con la persona che sa tutto di te, che si prende cura di te, che ci tiene a te. Rapporto consenziente, è stato lui a dichiararsi.C’era un rapporto di fiducia, ma è innegabile che tendi a ricompensare il tuo tecnico-uomo con i risultati sportivi. Ricordo che a un europeo aveva perso al secondo assalto e dovevo presentarmi per la cena. Ho fatto dire che avevo mal di testa pur di non scendere. Mi sembrava di aver tradito la sua stima, di averlo deluso.Lui si è arrabbiato, è venuto a prendermi, io sono scesa, con il broncio, ma ho cenato con gli altri».E Cerioni è andato ad allenare la Russia.«Sì. Per me èstato un doppio tradimento. Perdevo l’uomo e l’allenatore che sapeva tutti i miei segreti. E dove andava? Ad assistere la mia nemicaDeriglazova. Mi sono infuriata, ho fatto a botte, ero così fuori di me che mi sono fatta un taglio di capelli pazzo. Devo dire che anche le miecompagnedisquadrahanno vissuto la sfida contro le russe come uno scontro. Punire le avversarie, per fare male al ct che aveva scelto di andarsene.Ma èstato un momento brutto e faticoso, la scherma non si fa con rabbia. Era una sofferenza e io non ero più fluida».A Rio lei si è presentata in pedana assistita da Giovanna Trillini.«Un’altra grande della scherma e di Jesi, alla prima esperienza olimpica in questa veste. Mi ha dato quello che poteva darmi, ma Giovanna è timida, ha una voce bassa e io a Rio in pedana non riuscivo a sentirla. Noi siamo burattini, lo dico in senso buono, abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a tirare i fili. E io in finale combattevo contro Deriglazova, allenata da Cerioni, con cui mi ero già lasciata. E sul 3-0 per me ho ceduto alla paura».Di perdere?«No, di vincere. Mi ha fatto più paura dover rivincere le Olimpiadi che perderle. Lì mi sono annebbiata, black-out completo, avrei avuto bisogno di qualcuno che mi svegliasse, che mi urlasse, ma Giovanna non è quel tipo. A Rio mi sentivo pesante, forse perché non c’era la gara a squadre, che serve ad allentare la tensione, forse per i 34 anni, forse per la responsabilità.Tanto che due giorni prima della finale ho avuto una crisi di nervi e ho pianto nelle braccia di mia madre.Com’è finita si sa, 12-11 per la russa.Come a Londra, ma stavolta la stoccata finale non è la mia».E poi la cena da regolamento dei conti.«Mi sfogo. Giovanna, non sei capace di stare accanto alla tua atleta. Cipressa, come ct non funzioni. Sono sincera, non ne posso più. E sì, penso che con Cerioni a fianco avrei vinto. Parlo del tecnico, non dell’uomo. Anche perché a Rio sono andata con Ivan che poi ho sposato e con cui ho avuto Ettore».Non andrà a Tokyo.«Mi sarebbe piaciuto far vedere a mio figlio, che ha tre anni e mezzo, la mamma in pedana. Ma sono incinta di Brando. E tutta questa incertezza sui Giochi mi ha scombussolata, come l’anno senza gare. Io non voglio stare sul filo, l’idea di vivere un’Olimpiade segregata, con la paura di prendere il virus, non fa per me, anche perché sono claustrofobica».Lei è andata in analisi a Pesaro.«È stata una fatica, allenarmi e lavorare su me stessa. Sfidavo la psicoterapeuta: ma lei sta sempre zitta, non parla mai? Una volta mi sono rifiutata di parlare e sono tornata indietro. Ma ci sono tempeste interne che lo sport non può risolvere. Una competizione la vinci con la forza, la tua vita invece la capisci se ti concedi la debolezza. A mio figlio spiego sempre tutto, gli parlo moltissimo, perché non voglio si senta comandato come me con mio padre, che ho perdonato, e con cui ora ho un bel rapporto perché ci siamo trovati».Per chi è l’invito a togliersi la maschera?«Per quelli che pensano: beata lei. E credono che tutto sia semplice.Prendere per mano la propria vita significa soffrire, faticare, avere brutte esperienze. La perfezione è finta. Non cercatela. Non arrabbiatevi se non la raggiungete. Ci stanno i momenti no.Non smettete, non arrendetevi.Nutriamoci anche degli sbagli. Non dico che rifarei tutto, ma i temporali nonmi mancano più, soprattuttonon li cerco, finalmente mi piace il sereno».