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 2021  marzo 09 Martedì calendario

Intervista a Nada


Sono soddisfazioni, per una come Nada che è nata alla popolarità a Sanremo, a 15 anni, cantando Ma che freddo fa già con il bel vocione che l’ha poi accompagnata in una carriera che si è disegnata a sua misura. Sono soddisfazioni, non solo l’aver passato la vita nella musica, ma anche l’essersi affermata come scrittrice, con vari romanzi anche autobiografici: il primo, Il mio cuore umano, del 2008, dove racconta la sua infanzia, è ora diventato un film per la tv, La bambina che non voleva cantare, in onda domani sera su Raiuno.
Questa storia del film da un suo romanzo sorprenderà solo la gente distratta, cara Nada.
«La vicenda si trascina da qualche anno. La regista Costanza Quatriglio si era innamorata di questo libro e voleva farne un film. Prima girammo un documentario, pensavo che un film fosse esagerato: è solo la mia storia, la storia della mia famiglia. Ma poi lei mi ha convinta dicendo che era universale. Ho dato il mio assenso vedendo quanto Costanza amasse queste vicende: l’ho visto, lei è stata bravissima, ne ha fatto un percorso umano molto critico, con questa mamma particolare, concentrato sul rapporto mio con la mia famiglia».
Scrivere è stata una sorpresa della maturità.
«È un’esigenza, scrivo per me poi le persone intorno spingono. Quello era un viaggio nella mia vita, nella mia memoria. Scrivo sempre, io: anche nel lockdown, è stato terapeutico. Quando scrivi approfondisci e trovi sempre altro in te: mi sono anche conosciuta un po’ di più».
Quanto ha sottratto la scrittura alla musica di questa star indipendente?
«Niente. Anzi mi ha aiutata, nella scrittura c’è anche la musicalità. A volte faccio le due cose insieme. Anche adesso sto scrivendo un’altra storia: mi fa bene e mi aiuta per le canzoni. Con l’ultimo romanzo Leonida è uscita due anni fa È un momento difficile, tesoro».
Lei ha da sempre un marito simbiotico, Gerry Manzoli, musicista. Un tempo con i Camaleonti. Che fa lui, mentre lei si muove fra una canzone a un progetto di romanzo?
«Quest’anno ho scritto un disco. Lui mi aiuta, al computer e a suonare. Tutto quel che faccio, se non ci fosse lui non lo farei. E compone, e registra. Pensi che nel 2019 ho tenuto 60 concerti in estate: noi facciamo tutto da soli, è un lavoro che comporta fatica e combattimento, ma non potrei fare diversamente».
Nel suo lockdown permanente non si è annoiata.
«Son stata sempre a casa: sono ipocondriaca. Dobbiamo proteggerci, siamo qui da soli. Persino nostra figlia Carlotta, che vive a Roma, è venuta poche volte, e tamponata».
Quando uscirà questo disco?
«Mi sono sentita con il mio produttore John Parish e a luglio andremo a registrare a Bristol, sperando finalmente nel vaccino. Lo farò uscire solo quando potrò tenere concerti, l’anno prossimo: questo disco è più positivo di tanti altri miei, malgrado il lockdown c’è speranza».
Il Festival l’ha guardato, lei che artisticamente ci è nata dentro?
«No. Vado a letto presto, ho molto da lavorare, mi sto anche impegnando nella comunità dove vivo qui in Toscana».
E intanto sta uscendo in edicola, allegata a «Sorrisi e canzoni», una compilation con i pezzi più importanti della sua carriera.
«Mi sembrava una cosa bella. Penso sempre di non fare molto ma poi guardando la tracklist mi dicevo: “Quante cose ho fatto?”. Quelle uscite fissano dei momenti. Il titolo, Primavera estate autunno inverno lo trovo bellissimo. Sono contenta del mio percorso artistico, sono riuscita a fare quasi tutto quel che mi piaceva».
Mentre ci parliamo è l’8 marzo. Cosa ne facciamo di questa festa?
«Non è la festa quanto la sostanza che a noi manca. Abbiamo fatto passi avanti ma sempre lenti. Tutti questi femminicidi, le donne oggetto di proprietà degli uomini? Siamo nel 2021, il progresso nelle nostre vite non ha aiutato a progredire gli uomini: si sentono così potenti. Bisogna ripartire dalla scuola e dal senso di comunità. Quando le persone si sentono sole, perdono il senso della realtà, non c’è più quel senso di società che c’era. Uno scambio ti aiuta a tenere a bada certe dinamiche». —