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 2021  marzo 08 Lunedì calendario

Il Candido del 2021 fa il rider in città

Chi legge romanzi colleziona prese di posizione problematiche e stupefacenti. Una tra le migliori arriva alla fine del fantascientifico Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1932), quando il Selvaggio, un personaggio-chiave, dice al governatore Mustafà Mond che il suo regno livellato, comodo, in cui la felicità è indotta perché obbligatoria, gli ripugna. L’altro, fedele all’ideologia, strabuzza gli occhi: «Insomma», provoca, «voi reclamate il diritto di essere infelice». «Ebbene, sì», risponde il Selvaggio, «io reclamo il diritto d’essere infelice».
Questa ambizione a una vita screziata, imperfetta e quindi propria, libera, è il carburante storico di molti racconti distopici, e come tale fa capolino anche nel nuovo Candido concepito da Guido Maria Brera e dal collettivo I Diavoli per La nave di Teseo – più vicino ad Huxley che all’originale di Voltaire; più affine al Noi di Evgenij Zamjatin che alla rielaborazione del 1977 (Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia) a firma di Leonardo Sciascia. D’altronde, se Candido, o l’ottimismo (1759) era una risposta razionalista a Gottfried Wilhelm von Leibniz e a quello che, in seguito, sarebbe stato identificato come «panglossismo» – la convinzione di vivere nel miglior mondo possibile – una riscrittura datata 2021 non poteva che incrociarsi con la distopia e aggiornare il problema: accettata l’importanza dell’infelicità, si tratterà di poterla ammettere pubblicamente, e dunque di saperla usare.
Brera ruba a Voltaire il suo ragazzo dal «carattere dolcissimo» e lo mette in sella a una bicicletta, ripensandolo rider. Lo sfondo del romanzo, infatti, non è più il castello del barone Thunder-ten-Tronckh, in Vestfalia, ma una Milano innominata rialzatasi a fatica dalla crisi post pandemia, e nella quale: a) tutto è controllato dall’algoritmo alla base del «social network della città, indispensabile per fare qualsiasi cosa»; b) il denaro è stato sostituito da crediti sociali sanitari, alimentari e ricreativi. Una sfida niente male, per il patrono letterario dell’ottimismo.
Candido vive con sua madre in un quartiere escluso, ovvero di periferia, lambito dalla macchia d’olio della gentrificazione. Ha un migliore amico, Spillo, deputato a fargli il contraddittorio realista, e una fidanzata virtuale, Cunegonda, che «sembra capirlo al volo, anticipando i suoi bisogni e i suoi desideri». A illuminare ulteriormente le cose, poi, c’è la fede nel verbo di Pangloss, il filosofo ufficiale della città, che da mini, medi e maxi schermi ripete: «Tutto è bene, tutto va bene. Tutto va nel miglior modo possibile». E Candido ci crede. Da una vita. Finché, vittima di un’ingiustizia, si trova obbligato a scegliere fra l’ammissione della propria sofferenza e la fiducia cieca nel sistema. Che fare, di fronte a una tale contraddizione?
Chiunque intenda il romanzo come «metodo di conoscenza» che ci mostra «l’interconnessione di ciascuno con tutti, e di tutti con uno» (la definizione è della sociologa Gabriella Turnaturi), concorderà che, per gli scrittori di oggi, è quasi impossibile ignorare la figura del rider. Le ragioni, sia civili che formali, oscillano tra la voglia di dare voce a una categoria centrale ma estremamente sofferente della nostra economia e quella di sfruttarne l’innegabile potenza evocativa. Il fattorino in bicicletta, infatti, ingloba da solo quattro dimensioni importantissime per il romanzo contemporaneo: città, corpo, aneddotica dell’incontro fugace e, soprattutto, questione di classe.
Distopia post pandemica
Scenario è una Milano mai nominata dove un algoritmo controlla tutto e il denaro è sostituito da crediti sociali
Candido, che ai rider è dedicato esplicitamente e sentitamente, arriva in libreria pochi giorni dopo la notizia che la Procura di Milano ha sollecitato alcune società (Uber Eats, Glovo, Deliveroo e Just Eat) a regolarizzare 60 mila fattorini con contratti di collaborazione – e a riconoscere loro, cioè, lo status di dipendenti. Da adesso le aziende dovranno ricorrere, come minimo, ai cosiddetti «co.co.co.» (ovvero i contratti di collaborazione coordinata e continuativa), al fine di garantire ai rider il versamento dei contribuiti, il diritto a periodi di ferie e malattia e le più elementari tutele in materia di sicurezza sul lavoro.
Nel tempo del romanzo, la questione non è ancora risolta: «Con la liberazione dai contratti collettivi», spiega un personaggio, «abbiamo potuto trasformare i dipendenti in lavoratori autonomi, e quindi in imprenditori di sé stessi, riuscendo così (…) a creare una società di uguali, dove tutti sono imprenditori». Ma a Guido Maria Brera il leggero ritardo (camuffabile, peraltro, da tempismo perfetto) non peserà. Anche perché, con Candido, esaudisce ugualmente un doppio desiderio: da un lato, chiarire la propria posizione rispetto al mondo dei libri, su cui si è affacciato col popolarissimo, persuasivo I diavoli (Rizzoli, 2015) e nel quale, adesso, comincia a muoversi al ritmo della narrativa di denuncia; dall’altro, servirsi della sua insolita ma autorevole prospettiva di imprenditore/ex-banker/scrittore per lanciare un allarme, e affermare che l’attuale sistema economico sta privando i giovani non tanto del lavoro sicuro, quanto di quella che l’antropologo Arjun Appadurai ha chiamato «capacità di aspirare». «Siamo la prima generazione cui non solo è stato tolto il futuro, ma è stata rubata la possibilità stessa di poterlo anche solo immaginare», dice una ragazza, un’altra rider, a Candido. Ma lui – ebbro degli slogan di Pangloss e del proprio benaltrismo – le risponde così: «Cosa dici? Siamo davvero fortunati (…). Pensate a quanti il lavoro non ce l’hanno».
Se I diavoli, trascinando il thriller verso un esotico inabissamento nel mondo della finanza, offriva l’idea che l’economia fosse la scienza su cui concentrarsi per prevedere il futuro, Candido un futuro lo delinea direttamente: metropoli piagate dalla pandemia e cittadini soggiogati dalla gig economy. Certo, il tono della narrazione è volutamente divulgativo, esplicito, da parabola, ma allo stesso tempo debitore delle più angoscianti distopie sulla coercizione silenziosa (dopo Huxley, soprattutto Il cerchio di Dave Eggers), miscela che rende il romanzo capace di parlare pressoché a chiunque senza disattenderne la voglia di conoscenza e di sofferenza. Il messaggio finale, infatti, è chiaro e potente: così come la tristezza è il più autorevole tra i distintivi di umanità, l’insoddisfazione dichiarata è il miglior motore per guidare verso l’equità.
Il nuovo Candido non è solo ottimista, ma allineato, moralista, critico con chiunque non mostri gratitudine per le briciole: una pedina del sentimento verticale di colpevolizzazione nei confronti dei giovani (ma promettenti), dei poveri (ma sani), dei disoccupati (ma vivi). Già respirate, sottintende: che altro volete? Ed è quasi impossibile, incontrandolo nel pieno della pandemia, non pensare alla frase del filosofo russo Nikolaj Berdjaev che Huxley, ancora lui, pone in apertura a Il mondo nuovo: «Le utopie appaiono oggi assai più realizzabili di quanto non si credesse un tempo. E noi ci troviamo attualmente davanti a una questione ben più angosciosa: come evitare la loro realizzazione definitiva?».