il Giornale, 7 marzo 2021
Tutto il mondo di Malaparte
Quando nel 2009 l’archivio di Curzio Malaparte fu acquistato dalla Biblioteca di via Senato, a Milano, se ne parlò molto. Per il nome dell’autore, un diamante del ’900. Per il nome dell’acquirente, il senatore Marcello Dell’Utri. Per l’assegno firmato agli eredi Suckert-Malaparte: 700mila euro. E per la curiosità di scoprire cosa contenesse il patrimonio di carta di un uomo che dal fascismo al maoismo, dal giornalismo al cinema, due guerre mondiali comprese, attraversò il suo secolo.
Oggi che la Biblioteca di via Senato ha concluso la descrizione analitica del fondo dell’archivio e si appresta a rendere disponibile l’inventario attraverso il sito della Fondazione (www.bibliotecadiviasenato.it) la notizia dovrebbe fare ancora più rumore. Se non fosse che la regola è la stessa dei casi giudiziari: prima pagina per l’avviso di garanzia, una breve per l’assoluzione. A proposito di sentenze. Marcello Dell’Utri, scontata la pena e tornato in libertà nel dicembre 2019, passa le mattinate tra i libri della sua Biblioteca, in via Senato, ha parecchi progetti bibliofili in testa, e ha dato l’impulso fondamentale per mettere a disposizione degli studiosi l’immensa proprietà culturale malapartiana. Due armadi blindati, 245 faldoni ognuno contenente centinaia di fogli, 28 metri lineari di documenti, uno staff di tre persone per l’inventario - il responsabile del Fondo Malaparte, Matteo Noja; una dottoressa di ricerca specializzata sui rapporti tra Malaparte e la Russia, Carla Maria Giacobbe; un archivista, Federico Oneta - e una volontà testamentaria da salvaguardare. Quando Kurt Erich Suckert, in arte Curzio Malaparte, sul letto di morte, nel luglio 1957, consegnò alle sorelle tutte le sue carte, sentenziò: «Sono la cosa più preziosa che ho». È curioso, l’intellettuale che dissipò così tante idee, libri e progetti, aveva invece l’ossessione di conservare tutto. Manoscritti, dattiloscritti - ma non i libri della sua biblioteca, che sono invece custoditi a Casa Malaparte a Capri - i quaderni del confino a Lipari, documenti di famiglia (gli scritti di agronomia del fratello Ezio nella Somalia degli anni ’50, ad esempio), stesure di lavori teatrali e cinematografici, un migliaio di fotografie (come quelle dei suoi funerali, a Prato), e poi contratti, agendine, diari, ricevute di alberghi, persino copertine disegnate a mano per libri futuri, decine di lettere di protesta per conti non pagati (di sarti: chissà perché, ma Malaparte non voleva mai pagare abiti e scarpe...), foglietti volanti (che offrono spunti inediti sul suo spirito di osservazione e l’istinto di narratore), santini e biglietti, come quelli, a centinaia, che gli arrivarono persino dalla Cina durante i mesi di malattia, prima della morte. Una massa di carte impressionante. Furono proprio le sorelle, Edda Suckert Ronchi e Maria Suckert, la prima morta a 96 anni nel 1995, la seconda a 97 nel Duemila, a conservare e arricchire l’archivio, viaggiando in mezzo mondo per recuperare e trascrivere testi e lettere del fratello (completando ad esempio il carteggio con Aldo Borelli, direttore del fascistizzato Corriere della Sera, o quello con Prezzolini, prima diviso tra l’Italia e Lugano...). Ma le due sorelle Suckert, Edda in particolare, più che studiose erano delle vestali, e comunque difettavano - diciamo così - delle competenze filologiche necessarie. Qualcosa così si è perso, altro è stato cancellato, alcune trascrizioni appaiono lacunose, e la monumentale raccolta di Opere, 12 volumi usciti negli anni ’90 in parte da Ponte alle Grazie in parte autopubblicati, risulta meritoria ma agiografica e con troppe omissioni... Del resto, per quanto affollata di opere, polemiche, donne, amicizie, duelli e viaggi, la vita di Malaparte - uomo che raccontò molto più del reale - è costellata di vuoti: del suo rapporto con Virginia Agnelli, ad esempio, a parte le pubblicazioni di matrimonio che furono pubblicate nel ’36 a Pisa, non si sa nulla: la famiglia Agnelli rastrellò lettere e foto; del viaggio a Mosca e Leningrado nel ’29, di cui pure l’autore scrisse sulla Stampa, non esistono visti o permessi, né date esatte, né testimonianze degli incontri con Gorkij, Bulgakov e Majakovskij... Ma per tanto che manca, molto di più è conservato. «L’inventario dimostra che il ruolo di catalizzatore intellettuale che Malaparte ebbe per trent’anni, fra le due guerre, per più di una generazione, è persino superiore a quanto si sospettasse», nota Carla Maria Giacobbe. Le lettere dell’archivio sono migliaia. Amici e collaboratori della rivista Prospettive che Malaparte fondò nel 1937 a Firenze. Politici. Pittori come Orfeo Tamburi e Massimo Campigli (qui c’è la riproduzione di un suo celebre ritratto, e anche un’incisione di Leonor Fini). Irregolari come Carlo Coccioli e Ezra Pound. Gadda e Montale. Praz e Landolfi... Tutti chiedono collaborazioni, consigli, aiuto, come Moravia, che nel ’41 scrive una lettera al Duce per riottenere il suo lavoro da giornalista, e Malaparte annota di suo pugno: «Non approvo questa lettera. Meglio non inviarla». Pratese di Strapaese e cosmopolita di Stracittà - in realtà un arcitaliano nel mondo - Malaparte fu davvero il crocevia di personaggi e movimenti diversissimi tra loro, da Gobetti al surrealismo. «Siamo arrivati a contare più di tremila nomi di corrispondenti diversi», spiega Matteo Noja. «Ma ciò che più colpisce non sono i carteggi con i grandi nomi della cultura, ma le lettere inviate da semplici cittadini nel periodo 1953-57 quando Malaparte curava la rubrica Battibecco sulla rivista Il Tempo Illustrato: raccontano l’Italia tra la ricostruzione e il boom meglio di un saggio sociologico. In quegli anni Malaparte si interessava ai problemi della gente, casi di invalidità, pensioni, processi... Aveva persino organizzato un ufficio aperto al pubblico dentro il ministero dell’Interno quando c’era Tambroni. A Malaparte stava a cuore quell’Italia, contadina, povera, arcaica. Come accadrà a Pasolini. Oggi esiste uno scrittore del genere?». Scrittore sui generis i cui atteggiamenti spettacolari conferivano al personaggio-Malaparte l’aurea di superomismo che mancava all’uomo-Suckert, è proprio qui dentro che - archiviate le singole maschere del romanziere, giornalista, poeta, regista, polemista - mostra il suo unico, vero volto.