Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  marzo 07 Domenica calendario

Coltivare l’unisex in giardino

Ha ancora senso oggi fare differenza di genere tra giardinieri e giardiniere? Forse no: ormai resta un retaggio di quando per botanica al femminile si intendeva solo il linguaggio dei fiori e se un uomo era appassionato di giardinaggio lo si definiva effemminato. Io sono cresciuto in una famiglia di donne e ho passato la mia infanzia ad accompagnare la mamma alle manifestazioni femministe. Sono addirittura finito in foto su un importante quotidiano mentre reggevo con una mano lo striscione stilato da mia madre: «Io sono mia!», e nell’altra un mazzolino di fiori raccolti per strada. Devo la mia passione per il giardino ai cortei femministi e a mia madre che era capace di passare con disinvoltura dalle accese battaglie per i diritti, ai fiori. Sembra incredibile ma proprio durante le manifestazioni si è accesa in me l’interesse per la flora pioniera delle città, nella quale mi immergevo per distrarmi durante le interminabili marce.Il femminile in famiglia era molto diverso dagli stereotipi: da una parte c’era la mamma tutta femminismo e giardini inaddomesticabili, dall’altra mia zia Oriana, così tenacemente concentrata nella scrittura o nel preparare le interviste da non lasciar spazio neppure al corso della natura. Come darle torto? Quando riesci a intervistare Komeini e a tirargli addosso lo scialle che sei costretta a indossare in quanto donna, viene spontaneo ritenere che anche la natura debba obbedirti. Mi ha sempre incuriosito come l’Oriana considerasse ogni cosa presente nelle sue proprietà come sempre pronta e a sua disposizione: persone, piante, animali. Le rose dovevano sbocciare in continuo per diventare fiori da taglio e gli alberi da frutto produrre tutto l’anno, pena decapitazione immediata. Ma forse anche lei, come la mamma recitava solo una parte: praticava un radicalismo di facciata per non sembrare troppo sensibile.Me ne sono convinto una volta che mi cadde l’occhio su un piccolo post-it che campeggiava sulla bacheca dietro alla sua scrivania: si era annotata il nome Geltrude Jeckyll. La Jeckyll è stata la più influente progettista di giardini dei primi del Novecento, aveva una conoscenza dei fiori talmente approfondita: del loro accostamento e della loro coltivazione, che se potessimo fare un paragone con Piet Oudolf, il più grande plantsman contemporaneo, lui ne uscirebbe sminuito. La Jeckyll aveva studiato arte, pittura, ebanisteria e perfino ricamo: dal suo incontro con l’artista William Morris apprese che il giardino valorizza l’artigianato e rappresenta la stessa unitarietà di arti professata dal movimento Arts and Crafts. Rappresentava i suoi progetti ad acquerello con schemi di colori a forma di nuvola, dentro cui erano riportati i nomi delle piante che una volta messe in terra, prendendo vita e forma, erano in grado di assumere la grazia delle ombre di un cielo di Turner o le atmosfere magiche di Carl Larsson. Malgrado la Jeckyll sia molto famosa, pochi sanno che la passione per i giardini non era priorità esclusiva di Geltrude ma anche di tutta la famiglia. Per il fratello Walter si parla di un giardino tropicale nelle Blue Mountains giamaicane, Herbert si occupò tutta la vita di quello di famiglia a Munstead House, mentre la sorella Caroline, insieme a suo marito Frederic Eden, fece il giardino Eden della Giudecca, meta di numerose personalità come Marcel Proust, Rainer Maria Rilke, Walter Sickert, Henry James, Jean Cocteau e molti altri, fino a che non chiuse per volontà del suo ultimo proprietario. Nel 1979 infatti, venne acquistato da Friedensreich Hundertwasser, il celebre artista anticonformista austriaco, che permise, per scelta, alla natura di fare il suo corso incoraggiando la formazione della vegetazione spontanea a scapito delle piante da giardino.Tra le amiche migliori di Geltrude Jeckyll ci fu Ellen Anne Willmott, la prima e la più grande giardiniera inglese di tutti i tempi. Vissuta quasi un secolo prima della più contemporanea Beth Chatto, scomparsa nel 2018, venne insignita come lei (ma per prima) della Victory Medal of Honour, ovvero la più alta onorificenza dedicata agli orticoltori britannici. La Willmott nacque nel 1858 e trascorse la sua infanzia a Venon House, vicino a Kew Gardens, nel grande giardino posseduto in precedenza dal botanico Joseph Banks. Dopo pochi anni la sua famiglia comprò la proprietà di Warley Place nell’Essex che era stata di John Evelyn che oltre ad essere uno scrittore aveva la passione dei giardini e degli alberi. A Warley la Willmott iniziò un lavoro appassionato mettendo in piedi una delle più grandi collezioni di narcisi di tutti i tempi, oltre agli ibridi di tulipani e le rose. Con lei il parco divenne grandioso e gli venne aggiunto un celebre giardino alpino curato dal famoso specialista svizzero Jakob Mauret. Ellen era famosa perché oltre ad aver assoldato decine di giardinieri (si dice 104) lavorava indefessamente al giardino in prima persona e quando veniva buio proseguiva la sua opera scrivendo libri di piante e giardino. Ha coltivato con successo centinaia di migliaia di piante diverse, la Linnean Society, in cui fu la prima donna ad essere accettata, la descrisse come la più grande collezionista privata di alberi e cespugli, infatti non sapeva resistere al procurarsi tutte le piante che la affascinavano, tanto da finanziare addirittura alcune delle spedizioni dei più celebri plant hunters. Grande appassionata di rose, tra il 1910 e il 14 ha scritto la monografia The Genus Rosa illustrata da Alfred Parsons e ci sono almeno sei rose che portano il suo nome o quello del suo giardino di Warley, oltre a tante altre piante tra cui il bellissimo Ceratostigma willmottianum che si adatta benissimo ai nostri giardini. Gli inglesi definiscono affettuosamente figure come la Willmott: garden heroes.Tra i miei garden heroes italiani c’è una giardiniera straordinaria che stimo molto: si chiama Ursula Salghetti. Ursula ha almeno due cose in comune con Ellen: la prima che insieme al marito Guido Piacenza possiede il giardino di Boccanegra che fu creato proprio dalla plantswoman inglese in Liguria, e l’altra che, come lei, se ne occupa con grande sapienza in prima persona. «Ormai sento la presenza della Willmott in ogni pianta: mi accorgo come piantava e scopro i trucchi che escogitava per acclimatare le piante». Così mi racconta al telefono la Salghetti interrompendosi solo per dare qualche indicazione a un giardiniere munito di auto-gru chiamato a potare una imponente Lonicera hildebrandiana. Che bello, Boccanegra sta seguendo un destino felice e opposto rispetto al giardino Eden/Hundertwasser: da quando la coppia Salghetti-Piacenza se ne occupa sta tornando alla sua bellezza originaria, senza nulla invidiare al confinante Giardino Hanbury di Ventimiglia. E il segreto sta proprio nell’aver formato insieme al marito una squadra formidabile di giardinieri senza gerarchia alcuna dove maschile e femminile si sostengono a vicenda.