Il Sole 24 Ore, 7 marzo 2021
Nel salotto della «femme savante»
I «maneggi per maritare una figlia» iniziarono nel 1705. La nubenda è la marchesina Clelia Grillo, rampolla di una ricca famiglia genovese con salde entrature presso la corte di Spagna. Il candidato sposo, invece, è nientemeno che l’«herede di tutto il Pingue Patrimonio della Casa» Borromeo Arese, il conte Giovanni Benedetto, figlio di Carlo IV. Nozze, dunque, da soppesare bene. La famiglia milanese vuole chiarimenti e promuove “segrete” indagini per raccogliere informazioni. Gli scambi epistolari tra parenti e conoscenti rassicurano della solida consistenza del patrimonio familiare della giovane, dei suoi «costumi angelici», l’«avvenenza di fattezze» e il «tratto molto entrante e signorile»; per non dire dell’ottima educazione che sta ricevendo al Monastero della Misericordia di Genova. Tuttavia una perplessità serpeggia: la ragazza – diremmo oggi – è fin troppo sveglia. Si legge che è di «umore gagliardo» ed è dotata di «pronta facondia infiorata da motti argutissimi». E poi «ha molto letto e si compiace di studio». I Borromeo sono un pochino preoccupati di questa esuberanza e prendono tempo. Gli «sponsali» arriveranno solo tre anni più tardi, dopo aver prodotto un rimarchevole spessore di lettere e documenti, oggi perfettamente conservati e schedati nell’Archivio Borromeo dell’Isola Bella.
Approdata a Milano e convolata finalmente a nozze con Giovanni Benedetto nel marzo del 1708, Clelia Grillo Borromeo Arese si ritrovò inserita nel severo contesto di una famiglia tradizionalista e ossequiosa al potere. Tuttavia riuscì egualmente a far emergere le sue doti: personalità colta e brillante, imparò diverse lingue, praticò spiccati interessi per la scienza e divenne uno dei punti di riferimento della cultura e della mondanità milanese del Settecento, al punto che sino a tarda età ricevette nel suo salotto personaggi illustri e intellettuali del Grand Tour che desideravano omaggiarla e conversare con lei. Mentre i Borromeo, rassegnati, alzavano gli occhi al cielo.
È evidente che una personalità del genere non è potuta sfuggire alla curiosità degli storici moderni: dagli studi di Alessandro Giulini nel 1919 alla monografia di Anna Maria Serralunga Bardazza del 2005, agli atti di un apposito convegno organizzato nel 2007, la figura di Clelia Grillo Borromeo Arese è stata indagata da varie angolature. Ma a rendere oltremodo utile la nuova biografia che ora Adele Buratti Mazzotta ha dedicato alla singolare nobildonna è il fatto che essa si basa sostanzialmente sulle carte dell’Archivio Borromeo, che appaiono un’autentica miniera di informazioni (molto spesso inedite) sugli aspetti della vita privata e familiare della donna, dai «maneggi» prematrimoniali sino alla morte, sopraggiunta nel 1777.
Dalle carte Borromeo si evince che la vita con il marito non fu monotona: Giovanni Benedetto è un militare e un diplomatico, viaggia in Italia (e la moglie lo segue), riceve personalità (e la moglie gli è accanto) ed ha anche importanti doveri di ospitalità, come quando accompagna in visita all’Isola Bella Elisabetta Cristina di Brunswick, moglie del re di Spagna (riconoscente, la regina regalerà per l’occasione preziosi gioielli). Ma Clelia non sempre accetta di essere diplomatica: per una banale questione di precedenze con le carrozze, la contessa offende la moglie del governatore austriaco di Milano Girolamo di Colloredo, mettendo in grave imbarazzo la famiglia e il suocero, Carlo IV. Sarà l’inizio di un aspro dissidio familiare. Il suocero non concorda sull’educazione dei nipoti che nel frattempo hanno allietato il matrimonio, e tuona sul fatto che Clelia voglia educare i primogeniti a «massime tanto stravolte quali quelle della madre». Poi, non sopporta che la nuora tenga in casa un “pericoloso” salotto: «Donna Clelia, governata dal suo malgenio, ha aperto la sera per una conversazione libera alla quale admette forestieri non conosciuti, ministri sospetti, ed altri diffidenti della Augusta Casa».
Il salotto di donna Clelia sarà in realtà uno dei cenacoli intellettuali più aperti e all’avanguardia della Milano settecentesca. Verrà frequentato dai massimi ingegni della città (prefetti dell’Ambrosiana, professori delle Scuole di Brera e dell’Università di Pavia, il grande naturalista Antonio Vallisneri, eccetera) e diventerà luogo di libero dibattito non solo su questioni di storia, letteratura e lingua (Clelia, tra l’altro, padroneggia latino, greco e arabo), ma anche di scienze naturali, di fisica, di matematica e di politica (di norma si criticano l’Austria e gli Asburgo). Incuriosito dalla personalità di questa «femme savante» che parla arabo, nel settembre del 1728 Montesquieu fa visita al salotto di donna Clelia. Ne esce davvero «enchanté» ma anche alquanto stupito del fatto che, invece del gatto, la contessa tenga in casa una lince. Però, ad animare le serate, non ci sono solo le dotte discussioni culturali, c’è anche lo svago del gioco, e i contabili di Casa Borromeo registrano (con rassegnata precisione) le considerevoli somme che la contessa gioca (e perde) alla grande.
Nel 1744, alla morte del marito Giovanni Benedetto, Clelia ebbe un nuovo contrasto familiare, stavolta con il figlio primogenito Renato III e per questioni legate all’eredità. Ma un’ulteriore e assai pesante controversia attende la contessa, e la contrappone nientemeno che a Maria Teresa d’Austria. Nel 1746 gli spagnoli avevano occupato la Milano austriaca e Clelia Borromeo aveva accolto a braccia aperte il nuovo venuto, Filippo di Borbone. Ma l’occupazione spagnola durò solo due mesi, le sorti cambiarono e gli austriaci tornarono in città. Fulminata dalla «Reale Indignazione» dell’imperatrice d’Austria, la contessa Borromeo è costretta a fuggire negli Stati veneti per il suo grave atto di fellonia. Dovrà attendere il 1749 per riottenere i beni confiscati e il perdono della sovrana. Tutto si appianerà e per il resto della sua lunga vita la nobildonna potrà tornare agli interessi scientifici e culturali, ai giochi di società e ai suoi amatissimi libri: alla sua morte, nel 1777, ne verranno inventariati più di mille.