Il Sole 24 Ore, 7 marzo 2021
Biografia di Marguerite Caetani QQAN20 Signora di Ninfa e del «Gattopardo»
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Marguerite Caetani, tornata dopo la guerra a Roma, volle subito prendere parte attiva alla ricostruzione, promuovendo la rivista «Botteghe Oscure», che uscì dal 1948 al 1960. Gli fu preziosa l’assidua collaborazione di Giorgio Bassani. Ma la partecipazione italiana fu corale. Per semplificare è sufficiente trarre alcuni nomi dal “taccuino” in cui lei registrava i suoi ospiti a Ninfa, in una domenica dell’aprile 1951: Ignazio Silone, Alberto Moravia, Gore Vidal, Mario Soldati, Elsa Morante, Attilio Bertolucci, Alberto Carocci e altri ancora. Per dare un solo esempio della qualità delle collaborazioni valga la pubblicazione, nell’ultimo numero, di un capitolo del Gattopardo, di un autore allora del tutto ignoto, il principe di Lampedusa, il cui manoscritto era stato recato a Marguerite da Elena Croce. Ma «Botteghe Oscure» non dismise il carattere internazionale che aveva già avuto «Commerce», uscì anzi in più lingue e ruppe, per molti aspetti, il cerchio provinciale della letteratura italiana, essendo inoltre ampiamente diffusa all’estero. I numeri delle collaborazioni sono, infatti, straordinari, così da poter concludere, con Archibald MacLeish, che la rivista, «in un’epoca di fanatismo ed odio politico diffuso, diede a centinaia di giovani scrittori, d’ogni paese e senza alcuna riserva ideologica, la speranza che anch’essi avrebbero potuto diventare una generazione, forse la prima, a rendere credibile la globalità del mondo».
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Una personalità come quella di Marguerite Caetani, che nel corso del ‘900 ha avuto un ruolo di primo piano nelle vicende della letteratura francese ed italiana, nonché in quella americana e di altri paesi, pur non essendo stata una letterata, non scrivendo, né esibendo nulla di sé, anche per un tratto aristocratico del suo carattere, richiede oggi, per intenderla veramente, di rievocare un mondo definitivamente scomparso, assai lontano dal presente. Dobbiamo affidarci così ai molti ricordi che sono rimasti, ripercorrendo la sua biografia, su cui di recente è uscito il libro accurato e denso di Laurie Dennet, La principessa americana.
Marguerite era nata infatti nel Connecticut da un’antica e ricca famiglia del New England, i Chapin, proprietari di strade ferrate e banchieri. Da giovanissima aveva ricevuto una buona formazione culturale e presto orfana di entrambi i genitori, con la maggiore età, avrebbe lasciato New York per Parigi. E non può dirsi certo che fosse la prima americana, con queste origini, per la quale il richiamo della vita europea divenisse prevalente. Aveva una bella figura, molto americana nei solidi sembianti, con un luminoso sorriso. Di americano doveva avere inoltre il tipo di socievolezza, che fu sempre uno dei tratti peculiari della sua personalità. Apparteneva all’alta società del tempo, con i suoi caratteri internazionali, ma non intese mai la mondanità in termini tradizionali, nei quali era incline piuttosto ad annoiarsi. Era troppo avida di altre conoscenze, fosse la musica, il teatro e le arti, soprattutto la pittura (fu collezionista di quadri e le sue prime commissioni furono per Bonnard e Vuillard, poi Braque, Picasso ed altro), infine la letteratura, a cui, in modo instancabile, fu dedita. Parigi allora dava occasioni continue per mescolare naturalmente questi diversi elementi e Marguerite lo faceva anche nella sua vita privata, ricevendo con assiduità, nelle case in cui visse, con inusuale liberalità, chiunque destasse in lei curiosità e interesse.
In questa continuità di attitudini possiamo segnare tre stagioni della sua vita, attraversate dalle due guerre mondiali. Il primo quindicennio del ‘900 fu quello del suo apprendistato a Parigi, dove venne sviluppando la sua speciale attitudine nella scoperta delle novità e nel saper cogliere con sicurezza chi avesse talento artistico. Era convinta che questo non fosse un bene scomparso e si diede il compito di metterlo in luce dove si manifestava, quasi una missione, perché, come disse, riteneva che continuasse ad essere necessario alla contemporaneità. E ciò doveva tramutarsi in un potere di cui era consapevole. Le vicende della sua vita la resero determinata, come le scriveva Paul Valéry, «voi siete dolce e spietata, un’amica affettuosa e una tigre crudele», giacché nell’esprimere le sue scelte si mostrava generosa nel promuovere, irremovibile nel respingere.
In quegli inizi di secolo dell’ambiente culturale di Parigi si può dire che facesse diretta conoscenza pressoché di tutti, incontrando anche quello che nell’ottobre 1911 sarebbe diventato suo marito, Roffredo Caetani, principe di Bassiano, un raffinato e noto musicista, della cui opera numerosi brani sono stati più volte eseguiti in Italia e Germania. Ambedue tornarono a Parigi negli anni ’20, dove Marguerite, riprendendo il filo delle sue conoscenze, avrebbe fondato «Commerce», la più significativa delle numerose riviste francesi di letteratura tra le due guerre.
Da parte della critica francese si è avuto di ciò un tardivo riconoscimento, che tuttavia poi è giunto. Facevano, del resto, parte della redazione di «Commerce», oltre a Paul Valéry, Léon Paul Fargue, Valery Larbau, Alexis Léger, Jean Poulhan ed erano suoi corrispondenti, tra altri, Hugo von Hofmannsthal e Thomas S. Eliot. Fu pubblicata tra il 1924 e il 1932 e, per dare un’idea della rivista, il primo numero uscì con delle liriche di Rilke, a cui sarebbe seguita un’anteprima dell’Ulisse di Joyce, che la critica anglosassone aveva respinto. Era una rivista in francese, con traduzioni da altre lingue, di cui Marguerite aveva particolare cura e con cui teneva fermo il principio del carattere internazionale della letteratura: c’erano, ad esempio, Hemingway per gli Stati Uniti, Ungaretti per l’Italia. Questo faceva di «Commerce» un unicum nel panorama delle riviste culturali, mentre gli scrittori francesi che vi collaboravano erano tra i più importanti, da Aragon, a Gide, da Claudel a Malraux.
Con la metà degli anni ’30, Marguerite si stabilì definitivamente a Roma nel palazzo avito dei Caetani. Altra dimora abituale sarebbe stata quella di Ninfa, una casa di campagna ai margini dell’agro pontino, posta accanto ai ruderi di un borgo medioevale, resa da lei famosa per il bellissimo giardino, attraversato da un limpido torrente sorgivo. Ma non ebbe vita facile. Tre dei fratelli Caetani erano, come lei stessa, antifascisti, tra questi Leone, il grande arabista, che dovette emigrare in Canada. Gelasio fu invece nazionalista e venne nominato da Mussolini ambasciatore negli Stati Uniti. Ma sulla famiglia, la più antica, assieme ai Colonna, di quelle romane, si sarebbe avverato l’anatema lanciato da Pio IX nel 1870, che il casato non avrebbe più avuto discendenti, quando il loro avo Michelangelo era stata l’unica figura autorevole della nobiltà pontificia ad abbracciare l’unità italiana. Così Marguerite perse il figlio Camillo, ultimo erede maschio Caetani, militare in Albania (ebbe anche una figlia, Lelia, che è stata una pittrice di talento), prima di riparare lei stessa in Svizzera.
Tornata dopo la guerra a Roma, volle subito prendere parte attiva alla ricostruzione, promuovendo la rivista «Botteghe Oscure», che uscì dal 1948 al 1960. Gli fu preziosa l’assidua collaborazione di Giorgio Bassani. Ma la partecipazione italiana fu corale. Per semplificare è sufficiente trarre alcuni nomi dal “taccuino” in cui lei registrava i suoi ospiti a Ninfa, in una domenica dell’aprile 1951: Ignazio Silone, Alberto Moravia, Gore Vidal, Mario Soldati, Elsa Morante, Attilio Bertolucci, Alberto Carocci e altri ancora. Per dare un solo esempio della qualità delle collaborazioni valga la pubblicazione, nell’ultimo numero, di un capitolo del Gattopardo, di un autore allora del tutto ignoto, il principe di Lampedusa, il cui manoscritto era stato recato a Marguerite da Elena Croce. Ma «Botteghe Oscure» non dismise il carattere internazionale che aveva già avuto «Commerce», uscì anzi in più lingue e ruppe, per molti aspetti, il cerchio provinciale della letteratura italiana, essendo inoltre ampiamente diffusa all’estero. I numeri delle collaborazioni sono, infatti, straordinari, così da poter concludere, con Archibald MacLeish, che la rivista, «in un’epoca di fanatismo ed odio politico diffuso, diede a centinaia di giovani scrittori, d’ogni paese e senza alcuna riserva ideologica, la speranza che anch’essi avrebbero potuto diventare una generazione, forse la prima, a rendere credibile la globalità del mondo».