La Stampa, 7 marzo 2021
Nel mondo sta sparendo la sabbia
Nessuno ci crede quando lo sente dire, eppure il mondo sta finendo la sabbia. Ne abbiamo consumata troppa, ne resta poca e il processo che ne crea di nuova con l’erosione della pietra è lento, richiede molti secoli. Ogni anno ne consumiamo 15 miliardi di tonnellate e dal 1990 la domanda è cresciuta di tre volte: di questo passo arriveremo a 40 miliardi l’anno entro il 2050. La sabbia ci serve per costruire case, strade, ponti, ferrovie, pannelli solari, chip elettronici, vetro per le finestre, per gli schermi delle tv, dei computer e degli smartphone; persino nei dentifrici ce n’è un po’.
La Terra ci sembra piena di sabbia: ce n’è a perdita d’occhio nel Sahara e negli altri deserti, ce n’è a volontà sulle spiagge e sul fondo del mare. Ma quella utile a fabbricare le cose di cui abbiamo bisogno è poca. I granelli di sabbia del deserto, erosi dai venti, assumono forme levigate, e non servono a niente. La sabbia marina e fluviale invece si aggrega meglio e viene usata per il calcestruzzo. Una tonnellata di cemento richiede sette tonnellate di sabbia e ghiaia, e ce ne vogliono quindi quasi 200 per costruire una casa. Per un chilometro di autostrada ne servono 30 mila. Gli Emirati Arabi Uniti dovrebbero avere tutta la sabbia che vogliono, ma hanno dovuto acquistarne dall’Australia per realizzare l’isola artificiale di Palm Jumeirah (380 milioni di tonnellate) e le isole di The World (450 milioni di tonnellate). Per il grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa, ce ne sono volute 46 mila.
Ma sarebbe ingiusto prendersela con gli arabi se la sabbia manca. È in Cina il problema, visto che l’incredibile sviluppo del paese richiede il 58 per cento della sabbia estratta nel mondo. In tre o quattro anni i cinesi hanno prodotto più cemento di quanto sia stato usato dagli Stati Uniti in un secolo. La sabbia è così diventata la materia prima più consumata dall’uomo dopo l’acqua. «È tempo di farsi prendere dal panico? Non servirebbe, ma è tempo di cambiare la nostra percezione sulla sabbia», ha detto Pascal Peduzzi, uno scienziato del clima che opera con le Nazioni Unite, in un webinar ospitato da Chatham House a Londra. «Pensiamo che la sabbia sia ovunque – ha aggiunto - e non avremmo mai creduto di finirla. Ma se non guardiamo avanti, se non anticipiamo, avremo enormi problemi». Nel 2019 la questione è stata inserita nell’agenda politica dei governi con una risoluzione delle Nazioni Unite, che però ha fatto la triste fine di tutte le altre risoluzioni dell’Onu. «Nelle politiche di sviluppo quasi nessuno – ha confermato Peduzzi - parla di questo problema e dei suoi impatti sociali e ambientali. Nessun grande piano, nessuno standard su dove fare e non fare le estrazioni, nessun monitoraggio è stato avviato. Si continua solo a riflettere se valga la pena di frenare lo sviluppo per proteggere l’ambiente».
Cina e India sono in cima alla lista dei Paesi in cui l’estrazione ha un impatto negativo su fiumi, laghi e coste. Il lago Poyang, sul quale operano macchine in grado di raccogliere 10 mila tonnellate di sabbia l’ora, è oggi spesso prosciugato e non è più l’habitat naturale di migliaia di specie acquatiche e aviarie. In Indonesia sono sparite decine di isole, e sulle coste la mancanza di sabbia permette all’acqua salata di impregnare i terreni sul mare, rendendoli sterili. La sabbia usata ogni anno dagli esseri umani è così tanta che sarebbe sufficiente a costruire un muro di 27 metri di altezza per 27 metri di larghezza intorno al pianeta, e la crescente domanda di questa materia prima ha dato vita a un fiorente mercato nero, alimentato da mafie ben organizzate. In Giamaica, meravigliose spiagge come quella di Negril sono devastate dal prelievo illegale, fatto con i secchi da manodopera locale. In Sierra Leone nei luoghi di estrazione sono sorte baraccopoli dove dilagano droga, alcol e prostituzione. In Vietnam e Cambogia è lo stesso, alle Maldive ci sono pescatori di sabbia che si immergono per pochi dollari al giorno.
La percezione che la sabbia sia un bene largamente disponibile, quasi infinito, è molto forte e questa è probabilmente la ragione per la quale nessuno si occupa del problema. Eppure ci sono soluzioni già disponibili e altre se ne potrebbero trovare. La città di Zurigo sta ad esempio costruendo edifici con il 98 per cento di cemento riciclato e Amsterdam si è impegnata a dimezzare il proprio utilizzo di risorse naturali entro il 2030. Si studiano edifici fatti con materiali derivati dal riciclaggio dei rifiuti, o con paglia di riso, rivelatasi altrettanto resistente del calcestruzzo. Anche il vetro si può riciclare, si possono fare tante cose, volendo farle. Ma usare la sabbia ha un beneficio facile ed immediato; lasciarla dov’è è meglio per l’ambiente, ma costa di più. Dunque ci occuperemo sicuramente del problema, ma solo quando la sabbia sarà finita.