la Repubblica, 7 marzo 2021
Il Papa nella casa di Abramo
UR (IRAQ) — Quindici chilometri a occidente dell’Eufrate, poco distante da Nassiriya, il sito archeologico di Ur accoglie il momento simbolicamente più significativo della visita di papa Francesco in Iraq: l’incontro con i leader religiosi del Paese lì dove, secondo la Scrittura, Dio spinse Abramo a partire verso la terra promessa. Abramo, il padre delle tre religioni monoteiste, che generò Isacco e Ismaele da cui discendono ebrei e arabi. A Ur desiderava arrivare nel 1999 Giovanni Paolo II, ma Saddam Hussein non glielo permise. A Ur, luogo il cui rapporto col divino è ben rappresentato dallo Ziggurat, la piramide che 3mila anni prima di Cristo i sumeri dedicarono al Dio della luna Nannar, è arrivato Francesco che del dialogo interreligioso come strada per la pace ha fatto un programma di vita già dai tempi degli incontri promossi a Buenos Aires con il rabbino Abraham Skorka e l’imam Omar Abboud.
Insieme a musulmani sciiti e sunniti, e alle minoranze di yazidi, mandei, sabei, kakai e una rappresentanza delle famiglie ebree di Bagdad retaggio dell’esilio babilonese, Francesco ricorda che chi ha fede «rinuncia ad avere nemici». Spiega: «Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia». «Chi segue le vie di Dio – continua – non può giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione». In quello che è con ogni probabilità il momento chiave della visita apostolica, Francesco non rinuncia a ribadire che «Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello». Per questo ogni «ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione». Un concetto, quest’ultimo, affrontato anche in mattinata nell’incontro a porte chiuse con il Grande Imam sciita Al-Sistani nel quale si è ribadita l’importanza della fratellanza fra popoli e fedi: «L’incontro con lui – dice il segretario di Stato Pietro Parolin – è stata la prima parte del momento dedicato a Ur al dialogo interreligioso e ci ricorda che siamo tutti fratelli».
Intorno all’altura di Ur si distende il deserto mesopotamico qui costellato da isole costituite da fortezze militari, filo spianto, mura in cemento armato antisfondamento. La paura degli attentati si respira a ogni passo, i droni sorvegliano dall’alto la zona, i mitra sono spianati fra le mani dei militari tutt’intorno. «Le oscure nubi del terrorismo, della guerra e della violenza», come le chiama Francesco, incombono in una giornata di sole spazzata da un piacevole vento primaverile. Sono queste nubi che in anni recenti sull’Iraq hanno provocato sofferenza per «tutte le comunità etniche e religiose». Fra queste quella yazida, il cui leader Bishman Farouk Khalil, 54 anni, membro dello Yazidi Spiritual Council, dice a Repubblica che «la ferocia degli uomini di Abubakr Al Baghdadi» li ha costretti quasi all’estinzione, mentre «chi è rimasto ha vissuto morte e persecuzione. È stato terribile».
Francesco si sofferma anche sui tanti luoghi di culto profanati dal delirio settario, citando come segni confortanti le iniziative di giovani musulmani cha a Mosul hanno aiutato a risistemare chiese e monasteri. Ma anche Abramo, come molte minoranze, fu costretto a lasciare la sua terra. Partì per Canaan, lasciando terra, casa, parentela. Abramo ha insegnato «a lasciare quei legami e attaccamenti che, chiudendoci nei nostri gruppi, ci impediscono di accogliere l’amore sconfinato di Dio e di vedere negli altri dei fratelli». Si tratta di una esperienza di liberazione dai propri ripiegamenti che per Francesco è resa ancora più urgente ora, dopo che «la pandemia ci ha fatto comprendere che nessuno si salva da solo». Dice il Papa che «non ci salverà l’isolamento, non ci salveranno la corsa a rafforzare gli armamenti e ad erigere muri, che anzi ci renderanno sempre più distanti e arrabbiati».
Da Ur, Francesco guarda anche alla Sira. Iraq e Siria sono stati per l’Isis un unico territorio di conquista. Riconosce, il vescovo di Roma, che se si guarda al Paese «vicino» e «martoriato», risulta evidente come «la profezia biblica dei popoli che spezzano spade per farne aratri non si è realizzata». Al contrario «spade e lance sono diventate missili e bombe». La soluzione è incamminarsi come Abramo, fare «passi concreti» per realizzare il sogno che è di Dio di una famiglia umana «diventi ospitale e accogliente verso tutti».
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NAJAF (IRAQ) — Il grande ayatollah al-Sistani, leader carismatico per tutti gli sciiti iracheni, non si alza mai in piedi per ricevere chi arriva a fargli visita. Non è accaduto così con Francesco. Con lui, infatti, l’ayatollah ha voluto alzarsi sia all’inizio sia alla fine dell’incontro durato in tutto poco più di quarantacinque minuti. A conti fatti, si è trattato di un gesto di stima unico e notevole, che parla di come il Papa sia guardato da lui e, indirettamente, dal mondo sciita oggi.
A Najaf ieri, nella residenza di al-Sistani, si è consumato un incontro «senza precedenti», dice la tv satellitare Al-Arabiya. E, in effetti, così è stato. A porte chiuse e con la presenza dei soli interpreti, i due leader carismatici religiosi hanno parlato del ruolo della fede in Dio e dell’impegno per la promozione dei più alti valori morali. Nelle considerazioni di al-Sistani hanno trovato spazio anche i temi della povertà, della persecuzione religiosa e intellettuale, dell’assenza di giustizia sociale – in particolare nei contesti di guerre – della paralisi economica e del fenomeno dello sfollamento che colpisce molti popoli della regione, specie quello palestinese che vive nei territori occupati. «I cristiani, come tutti i cittadini iracheni, devono vivere in pace e sicurezza», ha detto al-Sistani.
I due hanno parlato anche del ruolo che i grandi leader religiosi e spirituali dovrebbero svolgere nell’affrontare queste vicende, esercitando allo stesso tempo una funzione di sensibilizzazione, in particolare verso le grandi potenze perché – ha detto l’ayatollah – «diano priorità alla ragione rinunciando al linguaggio della guerra: non mettano prima i propri interessi a discapito dei diritti dei popoli di vivere in libertà e con dignità».Il Papa è arrivato all’abitazione di al-Sistani, presso il Santuario dell’Imam Ali, considerato dagli sciiti terzo luogo santo dell’Islam dopo la Sacra Moschea della Mecca e la Moschea del Profeta di Medina, intorno alle sette della mattina. Alcune colombe bianche sono state fatte volare all’arrivo di Francesco nello stretto vicolo davanti alla residenza stessa. L’immagine della colomba, simbolo di pace, fra l’altro è stata utilizzata per accompagnare le foto del Pontefice e del leader degli sciiti che campeggiano in tutto l’Iraq.
Papa Francesco è stato accolto fuori della residenza del grand ayatollah dal figlio Mohammed Rida che lo ha accompagnato nella sala dove ha avuto luogo il colloquio privato, prima del quale il pontefice ha tolto le scarpe in segno di rispetto. Presenti anche alcuni ragazzi che hanno sventolato le bandiere dell’Iraq e della Città del Vaticano. Mentre nei cartelloni di benvenuto lungo la strada campeggiava la scritta «Voi siete parte di noi e noi siamo parte di voi», con sotto raffigurati i volti del Papa e di al-Sistani. In diversi hanno voluto commentare lo storico evento. Fra questi, un tweet di Mohammad Ali Abtahi, stretto collaboratore dell’ex presidente iraniano Khatami. L’incontro tra Francesco e l’Ayatollah al-Sistani, scrive, «può frenare la violenza religiosa o almeno creare un confine tra la pacifica autenticità delle religioni e la violenza religiosa». Al termine, dopo aver posato per la foto ufficiale, il Papa si è trasferito in auto all’aeroporto di Najaf da dove è decollato per Ur.