La Lettura, 7 marzo 2021
Vita da sosia (di Liz Taylor e Pavarotti)
La leggenda secondo cui ognuno di noi avrebbe sette sosia nel mondo viene smentita nel 2015 da Teghan Lucas, ricercatrice australiana, che partendo da una domanda (se un innocente possa essere accusato al posto di un colpevole, causa somiglianza) analizza quattromila volti umani. Lo fa attraverso un software che studia le misure principali, come la distanza tra occhi e orecchie. Conclusione: l’eventualità di condividere quelle misure con qualcun altro sono una su un trilione. Ovvero, per un software di riconoscimento facciale l’ipotesi che ciascuno abbia un sosia sono prossime allo zero. E allora: chi sono i sosia? Chi sono quelle persone che trasformano in lavoro la somiglianza con un personaggio famoso? E siccome le copie perfette non esistono, è bene parlare di immaginazione, desiderio, fuga dalla realtà, senso di rivalsa.
Ma se negli anni Novanta-Duemila fare il sosia era un mestiere, oggi è poco più che un hobby, a maggior ragione in epoca di distanziamento obbligatorio e di assembramenti vietati.
Allargata la cerchia dei volti noti con reality e social, nessuno vuole più le copie, avendo a disposizione una moltitudine di originali (a vari gradi di fama). Ai grandi sosia degli anni Novanta subentrano le nuove leve che non riescono a ottenere il bollino di «ufficiale».
Così Giorgio Perchiazzi, 26 anni, barese, sosia non ufficiale di Michael Jackson, ha raccontato a «Barinedita»: «Molti bambini increduli mi chiedono se sono davvero Michael. Ho collaborato per agenzie di moda e spettacolo, partecipato a sfilate e sagre».
E così una Lady Gaga senza nome, tolta la parrucca bionda al termine di un’esibizione di piazza, viene fatta allontanare dal retro palco: «Riservato gli artisti».
Eppure ci sono stati anni nei quali i sosia erano star. Prendiamo due di loro, i più celebri, e vediamo che fine hanno fatto: un uomo e una donna a cui, a un certo punto, qualcuno ha detto: «Grazie di tutto». Perché in mancanza degli originali valeva anche il riverbero. Prendiamo dunque il riverbero di Luciano Pavarotti, e di Liz Taylor.
Da quarant’anni Luciano Pavarotti«Per fare il sosia serve sacrificio», dice Gigi Nardini, 69 anni, da quaranta sosia ufficiale di Luciano Pavarotti. «Noi sosia non molliamo mai», aggiunge. Ai bei tempi si presentavano in gruppo ai festival – Venezia, Sanremo... I giornali titolavano: «Gigi Nardini sarà nella città dei fiori con Vasco Rossi, Celentano, Mina, Patty Pravo e Frank Sinatra».
Residente a Cividale del Friuli, provincia di Udine, Nardini è apicoltore; a lui si deve la nascita della prima Casa del Miele quassù («anche il Maestro amava la natura, i cavalli», ricorda), gestita dai figli negli anni di maggiore successo come sosia. Gli anni Novanta-Duemila, gli anni in cui i sosia venivano invitati ovunque. E se all’inizio la popolarità di Nardini rimane a livello locale, con il battesimo televisivo si espande, esplode. 1994, Re per una notte, programma televisivo condotto da Gigi Sabani e Giancarlo Magalli: Nardini nelle vesti di Pavarotti è protagonista di uno sketch del comico Mandi Mandi (Marco Milano). Da quel momento comincia la vera carriera di sosia e la dedizione completa per essere la copia perfetta del Maestro: trucco (sopracciglia scurite e ingrandite), frac su misura, imbottitura per la pancia, poiché con il Maestro passano trenta-quaranta chili di differenza (negli anni la forbice si allarga, il Maestro ingrassa, e Nardini fa rinforzare l’imbottitura).
Come sosia ufficiale Nardini si presenta all’Ariston, staziona fuori dal teatro per l’intera settimana del Festival, viene intervistato, applaudito. «Capita ancora oggi che intoni un Vincerò. E per strada cala il silenzio».
Indimenticabile l’edizione di Sanremo condotta da Fabio Fazio affiancato da Pavarotti. Antonio Ricci vuole Nardini a Striscia la notizia per una parodia. Il fatto che quell’anno il Maestro si trovi davvero a Sanremo, genera equivoci. Nardini entra in un ristorante, sguardi su di lui, Alfonso Signorini scatta in piedi: «Maestro, posso stringerle la mano?».
«Essere scambiato per il Pavarotti vero da Signorini, raffinato melomane, è stato un riconoscimento», ricorda Nardini.
Nessuno vede la differenza, se non da vicinissimo, il tempo per lui, Nardini, di provare il brivido insieme all’orgoglio. Perché quando lo credono Pavarotti avverte qualcosa che non è facile da spiegare, qualcosa che lo ha aiutato a superare la depressione, «forse ci si deprime se senti di non essere nessuno». Essere il sosia ufficiale di Pavarotti ha significato portare per l’Italia una parte dell’originale che per lavoro stava molto all’estero, e la sua Italia lo reclamava.
Poi, un giorno, sulla Panoramica Pesaro-Gabicce mare i due Pavarotti si ritrovano uno di fronte all’altro. È il 2003, anno della nascita di Alice, la figlia di Pavarotti e di Nicoletta Mantovani. A lei il Maestro dedica la canzone Ti adoro. Le riprese del videoclip sono l’occasione dell’incontro storico, come lo definisce Nardini. Pavarotti fissa l’altro Pavarotti, e per un istante Nardini pensa che si arrabbi, lo cacci, gli neghi la possibilità di essere lui. Invece il Pavarotti vero sorride, riconosce la somiglianza. Lo benedice: «Non avere paura di farlo, fallo».
Nel video Nardini è la controfigura del Maestro per le scene complicate, come quella in cui guida una Seicento multipla dove il Maestro non sarebbe entrato; o come la scena del teatro, a stappare lo champagne in piedi sulla botola che, al peso del Pavarotti vero, non avrebbe retto. Tra i due Pavarotti non c’è solo lo scarto di peso, anche di altezza: cinque-sei centimetri in meno della copia rispetto all’originale.
Invitato al Pavarotti & Friends, Nardini presenzia per l’intera durata dell’evento. Vede Lady Diana, Michael Jackson («impossibile parlarci, andavano sempre di fretta»)... E personaggi minori come Marta Marzotto («solare»), Maria Pia Fanfani («odiosa»), il meraviglioso Giorgio Armani a differenza di Gianfranco Ferré: antipatico («Mi spiace dirlo», riconosce Nardini).
Il Pavarotti & Friends è di gran lunga l’apice della sua carriera di sosia. Il momento in cui arriva al concerto, e si siede in mezzo alle celebrità che arrossiscono, ammutoliscono, credendolo quello vero, tranne poi nell’istante in cui quello vero compare sul palco, capire.
Ecco dunque Nardini seduto nelle prime file. Eccolo, soddisfatto, sicuro di sé («quello era il mio posto»). Eppure ogni sera, a ogni concerto, attorniato dalla gente famosa, il dubbio. Un dubbio atroce: sono veri?
Il dubbio che siano tutti sosia come lui.
Proprio in occasione del Pavarotti & Friends, Nardini conosce Fernando, il padre del Maestro. «Uomo straordinario», ricorda. «Come me aveva una voce fine, apprezzata più di quella del figlio. Ma come me era troppo emotivo per affrontare il pubblico».
Gli anni Novanta e Duemila sono impegnativi: Nardini è invitato in televisione, ingaggiato per le feste. I sosia in generale hanno molto lavoro. Lui e Liz Taylor (Miranda Giuffrè) sono i trascinatori del gruppo, i veterani, al punto che la Giuffrè fonda il primo sosia fan club nazionale che conta oltre mille sosia: numerose Laura Pausini; si moltiplicano Elvis Presley, Zucchero, Lady Gaga; tantissimi Celentano. E poi: due Liz Taylor. E questo è un problema. Se a Marina Castelnuovo (Liz Taylor) chiedi di Miranda Giuffrè (Liz Taylor), lei ribatte: «Chi sarebbe?». E se alla Giuffrè nomini la Castelnuovo, lei risponde: «Preferisco non parlarne». Pur essendo amico di Miranda, Nardini non si sbilancia. Di Marina Castelnuovo dice: «È una star, non ha niente a che fare con noi» – noi inteso come sosia dell’agenzia, come gruppo di amici che si frequenta e collabora.
Ma torniamo al Maestro.
Nel 2006 il Pavarotti vero si ammala (morirà il 6 settembre 2007 a 71 anni). Operato d’urgenza a New York, è poi costretto su una sedia a rotelle (discusse le foto rubate fuori dall’ospedale), intanto in Italia Nardini inaugura centri commerciali, partecipa a cerimonie, va al Festival di Venezia («in quei mesi mi sentivo le gambe del Maestro»). Di quel periodo ricorda il giorno in cui sulla spiaggia di Venezia viene avvicinato da una donna: le figlie vorrebbero una foto con lui – spiega. E Nardini, disponibile, si mette in posa con le bambine. Una foto che tutt’oggi conserva. Famiglia Pavarotti – Venezia, 2006, scriverà sul retro. La donna, che si presenta solo alla fine, è la figlia del Maestro, Cristina, e le bambine le nipoti, le quali, vedendolo da lontano hanno detto: «Mamma, c’è nonno che cammina». Per Nardini quella foto significa avere donato un sorriso alle nipoti del Maestro.
Certo, essere sosia non comporta solo vantaggi – ci tiene a precisare. Anni fa, Pavarotti ancora in vita, è stato vittima di un brutto episodio. Lignano Sabbiadoro, notte – Nardini, rientrando nel suo miniappartamento, sente qualcosa di appuntito sulla schiena e una voce che gli intima di dare tutti i soldi. Rimane calmo, consegna quello che ha: ottanta euro. Il ladro – fuggendo in moto – urla: «Grazie Pavarotti». Qualcuno che lo ha scambiato per il Maestro e ha così pensato di derubarlo. Sì lo spavento, la rabbia, eppure quel «grazie Pavarotti» lo ha ripagato del torto subito, rappresentando insieme la conferma che quella fosse la strada giusta. In trent’anni di carriera dubbi ce ne sono stati, questo è un mestiere che fai per passione, non per soldi. E dunque momenti di incertezza, di voglia di abbandonare tutto, poi però c’è l’affetto della gente, la gente che lo ferma per strada, americani e cinesi. La gente che gli stringe la mano, e lui che intona un’aria, All’alba vincerò, parole in cui si identifica, che gli fanno sentire che davanti c’è ancora tanto futuro. Perché con la morte del Maestro le cose sono cambiate. Il lavoro è diminuito, e Nardini si occupa quasi a tempo pieno di api («La gente non sa che i droni e i telefonini uccidono le api»).
Dopo la morte del Maestro diventa tutto difficile, o forse sono invecchiati loro, i sosia. Frank Sinatra (Gianni Frassoni), 85 anni, si è ritirato dalla scene, e vive nella sua Treviso. Patty Bravo (Marisa Saccone) ha smesso di fare concerti. Claudia Cardinale (Luna Cota), nonna di tre nipoti, esce di rado. La stessa Liz Taylor (Miranda Giuffrè) di recente ha avuto una brutta caduta che l’ha immobilizzata a letto.
E poi loro, Luciano Pavarotti e Mina (Renata Stela Oprea, perché nel frattempo Nardini si è fidanzato con Mina, undici anni che stanno insieme). Loro che si dedicano al volontariato. Almeno una volta a settimana – prima del Covid – truccati e vestiti vanno nelle case di riposo, in particolare alla Sereni Orizzonti di Udine. Allora succede che gli anziani, non ricordando che Pavarotti è morto, pensino che il vero Pavarotti e la vera Mina siano venuti a cantare per loro. Succede che, dondolando le teste sulle note delle canzoni, gli anziani si commuovano. E alla visita successiva inizia tutto da capo, poiché non ricordano che sono già venuti. Ed è di nuovo stupore, emozione, di nuovo la prima volta.
Da quarant’anni Liz Taylor«Parliamoci chiaro, chi ha un film sulla propria vita? Le regine, i papi», dice Marina Castelnuovo, da quarant’anni sosia ufficiale di Liz Taylor. E si riferisce a Io & Liz, film documentario tratto dal suo romanzo Liz & Io (sottotitolo: Un autentico falso d’autore. Fascetta: «Tutti i segreti dell’incredibile esperienza vissuta da Marina Castelnuovo come sosia di Liz Taylor e la sconcertante verità sul rapporto col grande mito»).
Mamma casalinga, papà vetraio-cameriere, Marina nasce e cresce a Busto Arsizio, provincia di Varese, in mezzo ai maschi: quattro fratelli e rispettivi amici. È proprio uno degli amici dei fratelli, Matteo, il primo a dirle che somiglia a Liz Taylor, l’attrice morta il 23 marzo 2011 a 79 anni. Lui che presto diventerà il suo fidanzato, quindi marito. Trasferimento a Varese. Primo lavoro di Matteo: ragioniere presso il Calzificio Malerba. Per fortuna la tenacia insieme alla voglia di riscatto, portano Matteo a una rapida crescita professionale. Apre uno studio tutto suo, e a seguire una ditta specializzata in impianti tv a circuito chiuso, «gestiva gli impianti di sicurezza della Banca Popolare di Novara, 450 filiali», ricorda Marina, aggiungendo: «A livello personale siamo stati i primi a Varese ad avere il videocitofono, era il 1974».
L’ascesa sociale permette a Matteo di prendersi delle rivincite: che sia la festa organizzata a Villa Liz con i vecchi compagni di scuola che in passato lo deridevano in quanto povero e meridionale; che sia frequentare le serate esclusive al casinò di Campione d’Italia; che sia il capriccio folle: far incontrare Marina e Elizabeth Taylor, la donna più bella del mondo. Mettere una di fianco all’altra le due Liz; e una è sua moglie.
Grazie al direttore del casinò, in contatto con agenti di attori internazionali (per via delle serate «I miti di Hollywood» in occasioni delle quali sotto cachet arrivano a Campione attori del calibro di Anthony Perkins), Matteo conosce Massimo Gargia, agente italiano di Liz Taylor.
Da qui inizia la storia, o forse l’epica, la leggenda.
Questa infatti non è la semplice vicenda di un sosia, piuttosto la storia di due Liz. Di quando a Cannes, Venezia, Los Angeles, ci sono due Liz, cosa che crea confusione, e rabbia, e invidia, e disperazione, addirittura umiliazione, rifiuto di invecchiare che comporta far sparire quella copia di sé giovane. Leggenda vuole che una notte la vera Liz Taylor, adagiata su un letto dalle lenzuola di seta viola come i suoi occhi, pianga, urli di non farle incontrare più, mai più, quella donna che si spaccia per lei.
Ma procediamo dal principio.
Il 20 maggio 1993 Marina e Matteo vanno a Cannes per partecipare alla serata di beneficienza organizzata da Liz Taylor a favore dell’Etaf (Elizabeth Taylor Aids Foundation). Costo del biglietto: 4 milioni di lire a persona. Marina fa resistenza, troppo costoso, Matteo s’impunta: quel sogno non ha prezzo. Perché non sono solo i soldi del biglietto, è la spesa dell’intera preparazione, la creazione della copia perfetta. Matteo porta la moglie da Pia Rame, nota sarta, nonché sorella di Franca, per rifare il vestito con il quale la Taylor ha sposato l’ultimo marito, il camionista. E poi: stessa pettinatura, stesso trucco, persino stessi gioielli (riproduzioni di bigiotteria).
Vestita di bianco, collier di finti diamanti, Marina Castelnuovo fa il suo ingresso all’Hotel Martinez di Cannes.
Appena la folla la vede, urla.
E lei, Marina Castelnuovo da Busto Arsizio, residente a Varese, segretaria part-time nella ditta del marito, lei si volta e saluta con la mano – come Liz Taylor, come la regina Elisabetta. Da quel preciso istante diventa Liz Taylor. Non la sosia, non la copia: la Liz Taylor giovane.
Il 20 maggio 1993 è perciò il suo primo giorno di esistenza, e di trionfo (dove esistenza e trionfo coincidono). E quel primo giorno, dopo che addirittura il direttore dell’albergo la scambia per la vera Taylor, dopo che lei chiarisce l’equivoco, e dopo che lui insiste affinché veda comunque la suite riservata alla Taylor («il letto era a forma di cuore», ricorda Marina), Marina e Matteo vanno al Palazzo del Cinema. Impossibile raggiungerlo a piedi, causa la schiera di fan in strada, il direttore mette loro a disposizione una Rolls-Royce e due guardie del corpo. Ma lungo il tragitto Marina, che non ha ancora le accortezze della star, abbassa il finestrino agli ammiratori che allungano le mani per toccarla, e nella foga le storcono un dito (è forse questo il successo?).
Dolore e piacere, piacere sconfinato sulla scalinata del Palazzo del Cinema, senonché la folla sottostante urla: «Liz!», e lei, arrivata in cima, si volta. Si volta e pensa che adesso qui non può succederle niente di male, è esattamente questo il pensiero, per la prima volta nella vita si sente al sicuro, sotto lo sguardo benevole di migliaia di persone. E a quelle persone sorride, verso quelle persone alza la mano in segno di saluto.
Fine primo tempo.
Fine primo tempo perché a questo punto dobbiamo occuparci dell’altra Liz, la vera (ma poi: quale è più vera delle due?).
Mentre Marina Castelnuovo si prende la scena sulla scalinata del Palazzo del Cinema, la vera Liz, attraverso il montacarichi sul retro entra nel cinema e, accompagnata da Sylvester Stallone, va a sedersi in platea. Anche lei in abito bianco (a questo proposito la Castelnuovo precisa che si tratta di casualità. Come casuali saranno i vestiti identici degli altri due incontri, anche se resta lecito il dubbio che non si tratti di caso).
In virtù o per colpa dell’abito uguale, la frotta di persone e di fotografi non si accorge della differenza: ora acclama Marina Castelnuovo in cima alla scalinata, ora, nello stesso punto, Liz Taylor al braccio di Sylvester Stallone (come se Liz Taylor entrasse e uscisse in continuazione per ricevere l’applauso).
E così per il resto della serata, nessuno capisce che di Liz ce ne sono due.
L’incontro tra le due avviene alla cena. La Taylor, al cospetto della Castelnuovo si limita a chiedere: «That’s me?», sono io?
I problemi arrivano in seguito, poiché Marina diventa amica degli amici della Taylor, frequenta il suo ambiente, e i giornali scrivono: «Questa Liz è più bella dell’originale». E anche: «Liz Taylor, nella sua versione più giovane e gentile, saluta gli ammiratori». Motivo per il quale la Taylor comincia a mal sopportare la copia. Durante un Festival di Cannes, uno dei tanti, Adnan Khashoggi invita Marina a un cocktail sul «Nabila». Peccato che poco prima dell’evento le guardie del corpo del miliardario la fermino: «La signora Taylor non gradisce la sua presenza a bordo».
Eppure, nonostante l’intenzione dell’originale di annientare la copia, la fama di Marina cresce. Del resto lei non è una semplice sosia. «Attrice, autrice, conduttrice, stilista, creatrice di gioielli — Marina Castelnuovo Bijoux — albergatrice», dice di sé stessa. Nella sua biografia, alla voce sport scrive: «Tennis, sci d’acqua, sci sulla neve, pattinaggio sul ghiaccio, nuoto e ballo del rock’n’roll». A metà anni Novanta ha tre agenti – Milano, Parigi, Los Angeles. È quello di Los Angeles a metterla in contatto con la mamma di Sylvester Stallone, di mestiere astrologa, con la quale nasce il progetto di un programma tv (mai realizzato). È sempre l’agente di Los Angeles a farle incontrare Roger Clinton, cantante, e soprattutto fratello minore di Bill, allora presidente degli Stati Uniti. Nel 1996 Roger viene in Italia per presentare il suo cd (Nothing comes easy) ospite della trasmissione Chi è Babbo Natale?, condotta da Fabrizio Frizzi e Giancarlo Magalli. Per meglio enfatizzare la sua presenza, gli autori organizzano un servizio esterno con Roger che, accompagnato da Marina Castelnuovo, fa shopping. Marina prova dei tailleur per Hillary – «avevamo la stessa taglia», ricorda – Roger cravatte per il fratello, scegliendone alla fine una verde e una oro-blu di Zegna (tenete a mente la oro-blu).
È il 1998 quando Monica Lewinsky dichiara di avere avuto rapporti sessuali con il presidente: tra le prove a dimostrazione della loro intimità c’è una cravatta italiana oro-blu di Zegna, regalata dalla ragazza a Clinton in occasione del suo cinquantesimo compleanno, con il messaggio: «Quando ti vedrò con questa cravatta, saprò di essere vicina al tuo cuore» (dichiarazione della Lewinsky al giudice Kenneth Winston Starr).
Il 6 agosto 1996, durante un discorso ufficiale contro il possesso delle armi, Clinton ha indossato la cravatta oro-blu.
Per questo motivo Marina Castelnuovo viene chiamata dalla difesa di Bill Clinton come testimone. «Ho fatto cadere un importante capo d’accusa», dice della sua testimonianza. Come ringraziamento Clinton le manda una lettera al momento appesa nel salone di Villa Liz, e la invita alle feste alla Casa Bianca (da qui il titolo del memoriale della Castelnuovo Dalla casa di ringhiera alla Casa Bianca).
E dunque sì, contro la volontà della Taylor, la carriera di Marina decolla.
Per i suoi vent’anni di carriera viene creato un francobollo: «Con la mia effigie, autorizzato dalle Poste americane». Aggiungendo: «Potevo spedire lettere con il mio francobollo, solo dall’America però». Non senza amarezza riconosce di essere stata maggiormente apprezzata in America che in Italia.
Nel 2011, inaspettata, arriva la morte della Taylor. Sono in molti a reclamare la presenza di Marina al funerale – un omaggio a Liz, un modo per continuare ad averla tra noi. Marina rifiuta, lei non è un pupazzo, né un’immagine in funzione di. Da tempo ha una carriera sua, autonoma da quella di sosia. Ricorda: «Ho lavorato con Sordi, Pingitore, Agnes Varda, faccio parte del comitato d’onore del premio The Best».
La morte della Taylor non comporta l’oblio di Marina, tutt’altro: ospite d’onore di serate private, ricevimenti. Fino a Io & Liz appunto, il film sulla sua vita (regia di Renato Pugina), che ha fatto il giro dei festival: «Busto Arstizio Film Festival, Ariano Arpino Film Festival, Castelli Romani Film Festival», elenca Marina.
Ecco chi è Marina Castelnuovo oggi, a fare la spola tra casa e Villa Liz, attualmente B&B dove ha allestito un piccolo museo dei suoi cimeli, foto, lettere, altro. Ecco chi è la sosia ufficiale di Liz Taylor, vedova, nonna, che custodisce i cinquanta vestiti da sera, perfette riproduzioni degli originali della Taylor, nel caveau, «c’è chi nel caveau tiene i gioielli, io i vestiti». A volte li indossa, non per uscire, le occasioni sono ormai rare e la pandemia di quest’anno ha fatto il resto. Li indossa e si specchia. La taglia è la stessa di un tempo. E allora, davanti allo specchio, con quei vestiti, sembra ancora possibile: tennis, sci d’acqua, sci sulla neve, nuoto, rock’n’roll. Basta chiudere gli occhi per tornare al Rockfeller Center: eccola Marina Castelnuovo, eccola Liz Taylor in carne e ossa, a pattinare sul ghiaccio. Per sempre Natale.