Tra i legni antichi del sontuoso edificio d’epoca littoria, simbolo d’un potere accademico millenario, la rettrice Antonella Polimeni anche con la sua figura asciutta e mobilissima sembra scompaginare una scenografia monumentale che si autorappresenta come immutabile. Cinquantotto anni, medico, un ricco cursus honorum portato con noncuranza, moglie di Francesco conosciuto nei banchi del liceo e madre di Lorenzo e Sofia, dopo settecento anni è la prima donna alla guida della Sapienza, la più grande università europea che ha appena riconquistato il primato mondiale delle discipline classiche.
Il suo primo 8 marzo da magnifica rettrice sarà dedicato “all’intelletto d’amore” delle donne celebrato da Dante nella Vita Nova .
E in fondo c’è un filo diretto tra le parole del poeta e un nuovo modo di declinare il potere al femminile.
«Il vero cambiamento culturale sarà quando le donne rinunceranno a scimmiottare modelli maschili, per costruire una nuova leadership fondata sull’empatia e sull’ascolto».
Questo 8 marzo è diverso dagli altri. Perché?
«Perun insieme di ragioni, che mettono insiemel’enorme difficoltà delle donne — le più sacrificate dalla pandemiasul piano dell’occupazione e le più colpite dalla povertà— e unacrescente consapevolezza della forza femminile, che si fa largo anchenella generazioni di uomini più giovani.
Confessoche inpassatohoprovato anchestanchezza per questa festa, ma oggi lasua carica simbolica mi sembramolto forte».
In Francia s’è molto discusso di un libro di Marcel Gauchet che decreta “la fine del dominio maschile”. Al di là dell’assertività del titolo, il patriarcato sembra godere di buona salute. Ma forse la vera novità è che oggi siamo più consapevoli del suo fallimento.
«Èunprocesso moltolungo eio preferirei parlare di un riequilibrio neirapporti tra uominie donne. Non vorrei apparire ingiustificatamente ottimista,ma oggi vedo cadere molti stereotipi nello sguardo maschile. E gli ultimi dati raccolti alla Sapienza ci mostranoun’inversione di tendenza anchenel raggiungimento di alcuni traguardi. Le studentessesono in numero maggiorerispetto agli studenti, e arrivano all’Università con voti di diploma più alti. Poi riescono a laurearsiin corso più dei maschi, con voti più brillanti. Sono più brave sia in ingressoche alla fine del percorso universitario».
Però si fermano sulla soglia dei ruoli accademici più alti.
«Sì,le donnehannominor pesonei ruoliapicali. Questo fenomenonon è unapeculiarità dellaSapienza, ma riflette una situazione diffusa nel sistema universitario italiano. Anzi danoi va meglio che altrove. Però comincioa vederedei cambiamenti che mifanno ben sperare nelfuturo.
In questi ultimi anni è cresciuto in modosignificativo il numero di ricercatrici e di associate: queste ultimesono passate dal 35,59%del 2018 al 50,70% del 2020. Lo squilibrio resta molto forte al livello più alto: nell’ultimo triennio, la quota delle ordinariereclutate è menodel 30% rispetto al 70% degli ordinari uomini. Ma l’allargamento delle classi precedenti potrebbe dare frutti nei prossimi anni».
Nelle discipline scientifiche, tecniche, ingegneristiche e matematiche — il cosiddetto Stem — non c’è stata un’analoga progressione.
«Abbiamoregistratounaumento di laureate,ma restanosempre poche.
Leragazze evitano le scienzedure perché non si ritengono all’altezza: è ilcaso di uno stereotipo di genere coltivato e subìto dalle stesse donne.
Per questo, fin dalla scuola media c’è bisogno di un’attività di orientamentodella quale deve farsi carico l’università».
C’è un modo per aiutare le donne nella carriera universitaria?
«Stiamo studiando con la conferenza dei rettori la possibilità di intervenire con politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia: molte donne rinunciano alla carriera per incompatibilità con i carichi famigliari. Mi piacerebbe approfondire la possibilità di meccanismi premiali per i dipartimenti, sempre sulla base del merito: il mio motto continua a essere “pari opportunità per pari capacità”. E sono contraria ai concorsi tagliati per genere: significherebbe calpestare un principio costituzionale».
Lei crede nelle quote rosa?
«Sonoservite percominciareun percorso. E probabilmente serviranno ancora.Ma la vera rivoluzione culturale sarà quando le donnesarannocapaci dielaborare uno stile di leadership femminile diversoda quello maschile. Se una volta arrivate al vertice ci limitiamo a scimmiottaregli uomini, non rendiamo un buonservizio alle donne».
Mi può aiutare a definire i tratti d’una leadership femminile?
«Noi interpretiamopiù letteralmente il ruolo di leadership, che significa guidarestando accanto alle persone, non mettendosi davanti agli altri.
Significa accompagnare la crescita di chi lavora con te, senza prevaricare o essere autoritarie».
In una ricerca sulle donne e l’accademia, uscita pochi anni fa da Mondadori, il sociologo Renato Fontana ha indicato in “maternage” e “spirito di servizio” le caratteristiche del potere declinato al femminile.
«A “maternage” sostituirei “accoglienza”: la leadership femminile è spesso fondata sull’empatia che consente di comprendere meglio chi si ha davanti. Nello “spirito di servizio” mi ritrovo completamente: le donne hanno una maggiore propensione a servire una funzione.
Un’opportunità per migliorare le cose: è questa la mia definizione di potere. Poi agisce anche una dose di narcisismo, ma lo definirei “narcisismo buono”: chissà se uno psicoanalista approverebbe questa distinzione».
È diverso anche il modo di “fare rete”: più gerarchico tra i maschi, più libero tra donne.
«Sì, gli uomini tendono a far rete tra posizioni di vertice, mentre quella chedovremmopromuoverecome modalitàfemminile èuna rete che muovedal basso, più attenta a valorizzare i talenti che a consolidare iruoli. Una disposizione meno preoccupatadi difendere la “cadrega”,come dicono aMilano.Le donnedevonoimpararea fare squadra conle altre donne: esistono archetipiancestrali che ancora ostacolanoquesta alleanza».
“Donne ch’avete intelletto d’amore”: torniamo alle parole di Dante, con cui festeggerete l’8 marzo alla Sapienza.
«Ospiteremouna lezionedi Luca Serianni eun recitaldi Monica Guerritore.L’intelletto d’amore è una capacitàampia di cogliere il senso delle relazioni».
Lei ha sempre attribuito grande importanza alla figura di suo padre che un giorno le disse: ce la puoi fare. La nostra è una generazione di donne che ancora ha avuto bisogno del mandato simbolico del padre per andare nel mondo. Cosa è cambiato nelle ragazze di oggi?
«Legiovani donne hannobisognodel padree della madrein egualemisura: non c’èpiù una primazia della figura paterna,ma resta fondamentale l’imprinting del genitore. Purtroppo nelnostro paese le diseguaglianze si ereditano. Le condizioni famigliari di partenza semprepiù vincolano il futuro delle nuove generazioni. Il compito di un’università pubblica deve essere dare a tutti i meritevoli — ragazze e ragazzi — la possibilità di andarenelmondo, indipendentementedalmandato famigliare, dal genere, dalle diverse abilità fisiche. Tutto questo è parte fondamentaledel miolavoro da rettrice».