La Stampa, 6 marzo 2021
Se la Treccani cade alla voce "donna"
Scriveva Alma Sabatini nelle sue Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (1987) che finché essere considerati sessisti non sarà motivo di vergogna tanto quanto l’accusa di classismo o razzismo, nessun cambiamento linguistico per la parità di genere verrà mai ritenuto normale. Al contrario, la salvaguardia e la conservazione della lingua diventeranno improvvisamente priorità assolute. Lo dimostra l’annosa battaglia per i femminili professionali.
Che vengono contrastati perché "suonano male" o "non sono italiano", nonostante rispettino tutte le regole grammaticali. Eppure, come sosteneva Sabatini, la lingua classifica – o meglio, riclassifica – continuamente la realtà, adattandosi ai cambiamenti e seguendo l’evoluzione sociale. Come è possibile, allora, che nel dizionario online di Treccani, tra i sinonimi di "donna" si trovino ancora espressioni sessiste e dispregiative come "puttana", "cagna", "zoccola", "bagascia" e altre espressioni degradanti, mentre non viene dato conto del ruolo che oggi le donne ricoprono nella società? È questa la domanda che si sono poste le illustri firmatarie, insieme a qualche firmatario, di una lettera aperta destinata proprio all’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani. Alla guida di questo gruppo, che vede la presenza di nomi come Laura Boldrini, Michela Murgia ed Elly Schlein, c’è Maria Beatrice Giovanardi, la manager che lo scorso anno ha lanciato una petizione per cambiare la definizione di "woman" nell’Oxford Dictionary, riuscendoci. Il primo tentativo di Giovanardi con il vocabolario italiano non ha avuto lo stesso esito positivo: l’Istituto ha aggiunto una nota alla voce, precisando che il dizionario registra "a scopo di documentazione" le forme ed espressioni che riflettono "una cultura plurisecolare maschilista", sottolineandone "la caratterizzazione negativa o offensiva", pur senza modificare la voce. La lettera è così arrivata sulle pagine di Repubblica, ribadendo ben chiare le due richieste: eliminare i termini offensivi e aggiungere espressioni che rappresentino il ruolo delle donne nella società moderna.
A qualcuno, leggendo queste richieste, verrà da sorridere. L’obiezione standard, che infatti riportava anche Alma Sabatini ormai 35 anni fa, è che ci sono battaglie più importanti da combattere che cambiare una voce del dizionario. È un’obiezione ragionevole: siamo il Paese con la più alta disoccupazione femminile in Europa e in cui ogni tre giorni una donna viene uccisa per mano del partner. Ma diventa più che sensata se si considera che questi dati, alla cui pubblicazione segue un’ondata di indignazione d’ordinanza, non si capiscono se non li si considera in un più ampio sistema culturale, che normalizza l’idea che l’uomo sia "d’affari" o "di lettere", mentre la donna "da marciapiede" e "di casa". E che sia proprio un dizionario ad attestare questi usi che danneggiano metà della popolazione non è affatto qualcosa di irrilevante. A meno che non si creda che questa è la normalità.