Robinson, 6 marzo 2021
Ci stiamo perdendo il sonno
Anche il sonno non è più quello di una volta. Le frequenti pubblicità dedicate a rimedi per combattere l’insonnia dimostrano che oggi le persone faticano sempre più a prender sonno. Da disturbo legato all’avanzare dell’età – da vecchi si dorme sempre meno – l’insonnia si sta trasferendo nella popolazione adulta e anche in quella più giovane. Senza dubbio uno degli effetti del Covid 19 è stato alzare il livello di ansia nelle persone condizionandone la capacità di dormire con facilità. Qualcosa di analogo era accaduto in America dopo l’attentato alle Twin Towers nel 2001: il numero delle persone che soffrivano di questo disturbo era raddoppiato dopo l’evento. Si calcola che trascorriamo circa un terzo della nostra vita dormendo, ma questa quantità va diminuendo progressivamente. Oltre alla veglia e al sonno c’è infatti un terzo stato dell’esistenza: l’insonnia, tempo singolarmente inconoscibile, tempo dell’attesa.
Ma cos’è esattamente l’insonnia? I medici la definiscono l’incapacità abituale di addormentarsi o di continuare a dormire quando lo si desidera o se ne ha bisogno, scrive Eluned Summers-Bremner in Insonnia (Donzelli), storia culturale di questo stato di veglia. Quando cala la notte l’ormone sedativo della melatonina, basso durante il giorno, cresce poiché la sua sintesi avviene nella tarda serata, tra le 21 e le 22, mentre diminuisce di colpo verso le 7-8 del mattino preparandoci al risveglio. Tempo di riposo e ristoro il sonno ha cambiato decisamente il proprio significato. Per gli antichi era una parte attiva della vita umana, la cui unica differenza rispetto alla veglia era data dal buio. Gli dèi potevano fare visita ai mortali con sogni profetici, e questo momento d’oblio era in stretta relazione con la parte attiva dell’esistenza. La svalutazione del sonno è un risultato della modernità, scrive Summers-Bremner nel suo saggio, in cui rilegge la letteratura mondiale attraverso i personaggi insonni. Questo cambiamento è avvenuto verso la fine del Medioevo per diventare di fatto irreversibile con l’avvento della moderna economia capitalista. Lo sintetizza nel 1997 in una battuta uno psichiatra anglosassone, William Dement: «La mente non dorme mai!». Lo scienziato israeliano Peretz Lavie in Il meraviglioso mondo del sonno ( Einaudi), mette l’accento su quello che accade nel nostro cervello durante il sonno: la mente lavora per noi. Lavoro: questo è ora il sonno. Ma tutto questo non sembra bastare, come ha sottolineato Johathan Crary in 24/7 (Einaudi). Secondo il docente della Columbia University il sonno sarebbe rimasto l’ultimo terreno che l’economia non ha ancora conquistato completamente e colonizzato in modo definitivo. Come si è arrivati all’insonnia attuale, che colpisce molti esseri umani in ogni parte del mondo?
Noi pratichiamo giornate lavorative molto più lunghe dei nostri genitori, e questo ci offre sempre meno tempo libero; inoltre i processi di globalizzazione hanno reso il lavoro di tutti continuamente riconfigurabile, facendo sì che le preoccupazioni entrino nella vita domestica. L’uso delle tecnologie informatiche e dei social è diventato invasivo a scapito di momenti liberi, dove è invece possibile la riflessione personale, per cui il sonno si fa strada più facilmente. Le luci artificiali hanno esteso il dominio del giorno rispetto alla notte, come ha spiegato Wolfgang Schivelbusch in Luce ( Pratiche). La notte illuminata non solo prolunga il lavoro, ma accentua anche gli stati di eccitazione e d’ansia che abitavano in precedenza il giorno. Ora l’insonnia è un disturbo di tipo nevrotico, dicono gli psicologi. Perché nel mondo antico non esisteva l’insonnia così come la conosciamo oggi? Perché i nostri antenati non avevano il senso di proprietà individuale del tempo, e del debito che questo crea. Il tempo è denaro, ha spiegato Jacques Le Goff ricostruendone la genealogia nel medioevo. Il nuovo tempo mercantile ha spostato l’angoscia riservata al proprio destino nell’Aldilà nel regno quotidiano dell’al di qua: la consapevolezza dell’angoscia del tempo è un aspetto significativo dell’insonnia, scrive Summers-Bremner.
Questo stato di sospensione appare come «il luogo in cui due agenti imperscrutabili, il sonno e la notte, si ritrovano in uno scontro di confine, in cui un esito felice è possibile solo se entrambe perdono terreno». Per gli antichi, fatte le dovute distinzioni tra le diverse civiltà, l’insonnia è «l’insieme dei sogni oscuri e bramosi all’interno di altre condizioni oscure: il sonno, la notte e la morte, la più profonda». L’attesa di vivere sempre più a lungo è legata all’insonnia, come mostra la figura creata da Bram Stoker, Dracula (1897) alle soglie del XX secolo. Tra il 1740 e il 1900 gli eventi mondiali cominciarono infatti ad accelerare sempre più. Ci fu poi l’arrivo di sostanze che accrescevano lo stato di veglia, come il tè e il caffè, oltre allo zucchero, che da solo rese possibile sul piano energetico, scrive Sidney W. Mintz in Storia dello zucchero ( Einaudi), l’esplosione della rivoluzione industriale.
E oggi? L’insonnia è senza dubbio un prodotto dell’intensificazione della vita nervosa dei nuovi lavoratori informatici, ovvero di noi tutti. Il lockdown prodotto dal virus ha rotto le barriere tra il lavoro e il riposo, tra l’ufficio e la casa, aumentando l’ansia e dilatando nel contempo quello spazio incerto e indefinito in cui irrompe l’insonnia.