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 2021  marzo 06 Sabato calendario

Ecco a voi il vero Amleto

«Mikkel Thøgersen giaceva morto una mattina di marzo, quando il re andò a trovarlo. Mai il re aveva visto un’espressione delusa come quella che Mikkel aveva in volto (…) Quella bocca era un mondo di dolore muto. Era una bocca che era riuscita a tacere afflizioni. Era come una misteriosa cifra che nasconde la chiave del segreto del dolore». Studente svogliato alla facoltà di teologia di Copenaghen, poi soldato di ventura al seguito di compagnie di lanzichenecchi, quindi pellegrino in bilico tra misticismo e disincanto, infine compagno di prigionia del re Cristiano II di Danimarca, Mikkel Thøgersen è il personaggio principale di La caduta del re, capolavoro di Johannes V. Jensen, scrittore danese e premio Nobel per la letteratura nel 1944.
Scritto tra il 1900 e il 1901, La caduta del re è considerato oggi dalla critica il miglior romanzo danese del Novecento. Fino a ora mai tradotto in italiano, il romanzo di Jensen è finalmente in libreria, magnificamente tradotto da Bruno Berni e pubblicato dalla casa editrice Carbonio. Ambientato tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento, sembra a prima vista un romanzo storico, un libro che racconta la triste parabola della vita del re Cristiano II attraverso alcuni degli episodi marcanti della storia di Danimarca, Norvegia e Svezia: dalla guerra di Scania alle sommosse nel Dithmarschen, dal massacro di Stoccolma del 1520 alle rivolte contadine del 1534. Ma il quadro storico, nonostante l’esattezza e la precisione con cui Jensen ricostruisce vicende e luoghi, abiti e armamenti, è solo uno sfondo per questo romanzo. Ciò che interessa davvero lo scrittore è concentrarsi sulla figura di Mikkel Thøgersen, personaggio costruito in totale libertà a partire da un celebre quadro di Carl Bloch, Cristiano II di Danimarca imprigionato nella torre del castello di Sonderborg, dipinto nel 1871 e diventato quasi subito un simbolo nazionale danese.
Nel quadro, Cristiano II è ritratto inquieto, intento a girare senza sosta attorno a un tavolino, mentre alle sue spalle si staglia la sagoma di un servitore che, nel romanzo di Jensen, diventa appunto Mikkel Thøgersen. In poco più di 200 pagine, Jensen riesce a intrecciare realtà e finzione, calibrando abilmente rigore e originalità, curiosità storica e immaginazione poetica.
Dalla gioventù a Copenaghen – «Mikkel non aveva niente, viveva come i passeri, tirava avanti alla giornata rivolgendosi a destra e a manca» – fino alla morte nel castello di Sodenborg, Thøgersen è un testimone privilegiato non solo dell’impotenza del re, della sua incapacità a decidere – un autentico Amleto – delle sue incertezze e dei suoi dubbi – «Mikkel Thøgersen vide re Cristiano seduto al suo tavolo, impettito contro lo schienale della sedia, nero dell’ombra del camino alle sue spalle. Mikkel gli portò una candela. Vide la faccia del re tesa e rilassata; aveva l’aspetto di chi ancora cerca di prendere una decisione che da tempo è già compiuta».
Ma anche dell’impotenza e dell’incertezza di ogni essere umano. È sempre intorno a Mikkel Thøgersen che ruotano d’altronde tutti gli altri personaggi del romanzo di Jensen: il nobile Otte Iversen e la giovane Ane Mette, Axel e Ingrid, i figli rifiutati dal re e Ide, la bambina sordomuta che Mikkel rinnega in punto di morte. Così come la Danimarca, che «si trova tra due mari azzurri, verde in estate, color ruggine in autunno e bianca sotto il cielo invernale». E il tempo che prende il sopravvento su tutto diffondendosi «come un male contagioso al di là di ogni potere umano».
Dopo più di quarant’anni passati accanto al re Cristiano, Thøgersen vorrebbe morire, ma la vita gli resta attaccata. Come per vendicarsi delle ingiustizie da lui commesse e rinfacciargli di non aver mai voluto prendere le buone decisioni, esattamente come il re con il quale condivide la triste prigionia: «Mikkel non aveva mai trattato la vita secondo giustizia, perché per tutta l’esistenza non aveva mai voluto morire. Giaceva lì in silenzio ammettendolo a se stesso in quelle lunghe notti, quando il re dormiva nel suo letto e lui era solo con i suoi pensieri invernali. Il vento sospirava con profonda confidenza fuori dalla torre, come un esperto che ascoltasse i pensieri della sua desolazione. Chi non muore ogni giorno non vivrà mai. Ma Mikkel non aveva mai voluto morire».
Parlando di armi e cavalieri, di onore e dubbi, di morte e amore, Jensen ci regala un” capolavoro di compattezza”, come scrive nella sua prefazione Bruno Berni. Ma anche, e forse soprattutto, un romanzo che, raccontando la storia della Scandinavia di tanti anni fa, di fatto non fa altro che parlarci della difficoltà che abbiamo tutti a vivere davvero, senza lasciarci trascinare dalle cose e dagli eventi, e nonostante i rischi che, vivendo, non possiamo che correre. Non è d’altronde vero per chiunque che «chi non muore ogni giorno non vivrà mai»?