Robinson, 6 marzo 2021
Le stroncature di Nabokov
Dice Vladimir Nabokov: «Dostoevskij (…) è uno scrittore piuttosto mediocre, con lampi di humor eccellente ma, ahimè, inframezzato da desolate distese di banalità letterarie». Poi, si corregge, spiega che comunque l’autore di Delitto e castigo è molto «più artistico di ogni genere di ciarpame tipo (…) i romanzi storici americani». Una correzione che tuttavia non intacca la voglia di ridimensionare un romanziere universalmente riconosciuto come uno dei più grandi nella storia della letteratura. Ci torneremo. Le parole e i concetti appena citati si trovano in Lezioni di letteratura russa, un libro di cui chi ama Nabokov in particolare e i romanzi russi dell’Ottocento in genere, difficilmente riesce a interrompere la lettura, perché tantissimi sono gli spunti di riflessione e i rimandi ai dettagli che fanno la differenza fra vera letteratura e narrazione di una trama. Il volume, uscito con Adelphi a cura della slavista Cinzia De Lotto e dalla docente di letteratura anglofona Susanna Zinato, arriva a oltre trent’anni da un’altra edizione, di Garzanti, nella traduzione dal compianto Ettore Capriolo.
Per quanto riguarda la genesi delle Lezioni, si rimanda alla postfazione delle due curatrici – precisa e preziosa – così come alle note al testo. In breve. Nel 1940 Nabokov arriva negli Stati Uniti. Lui è figlio di un leader dei “cadetti”, il partito liberale russo ai tempi dello zar, fuggito nel 1919 in Occidente e assassinato negli anni Venti da un russo emigrato che più tardi sarebbe stato collaborazionista dei nazisti. A casa Nabokov si parlava tre lingue, oltre al russo, il francese e l’inglese: aristocrazia dello spirito, apertura al mondo, zero pregiudizi di stampo religioso o etnico. Negli States Nabokov approda, in fuga dalla Francia, grazie all’appoggio dell’organizzazione umanitaria ebraica Hias, fornito alla moglie Vera Slonim. Sul suolo americano e fino al successo di Lolita nel 1958 (che gli permette di vivere solo dei proventi dei libri) insegna in varie università.
Il metodo di Nabokov tuttavia non è accademico. Le lezioni sono delle conferenze dove l’oratore racconta libri altrui come se avesse voglia di riscriverli, creando una specie di metaromanzi. E tutto questo con una naturalezza dovuta non solo agli studi formali, quanto all’erudizione e al suo essere naturalmente di casa in varie lingue e quindi in varie tradizioni letterarie. O se vogliamo, Nabokov, quando stronca Dostoevskij o esalta Tolstoj, parla di se stesso, dei suoi (superbi) gusti letterari.
A Dostoevskij rimprovera le soluzioni dei drammi, come nel caso di L’idiota, concepite «con la clava». Ridicolo gli sembra «il nevrotico Raskolnikov» del Delitto e castigo, e dal sapore di falsa pietà l’accostamento della redenzione di un omicida al pentimento di una prostituta. Le memorie dal sottosuolo,testo da molti considerato preliminare alla nascita dell’esistenzialismo, è pieno di «divagazioni giornalistiche» e del resto, citando Sartre chiama il filosofo «il giornalista». Moralismo e impegno politico trasferito nei testi sono nemici della letteratura sembra dire Nabokov.
Se l’estetica viene prima dell’etica, o forse l’etica fa parte dell’estetica, l’esempio di un romanzo quasi perfetto è Anna Karenin. Non è un refuso. Le curatrici hanno deciso di mantenere questa dizione, al maschile, voluta da Nabokov per via della corretta traduzione in inglese, del cognome della protagonista di quello che per l’autore è il capolavoro assoluto di Lev Tolstoj. Tolstoj a sua volta è definito come il più grande scrittore russo in prosa. Problema: Tolstoj era un moralista. Soluzione: è vero, infatti dopo Anna Karenina ( torniamo alla locuzione comune), non ha scritto niente di significativo. E poi, «la sua arte era così potente, così ferinamente luminosa, così originale e universale da trascendere il sermone». Sermone di chi? Di coloro che ai tempi, nei romanzi cercavano solo l’aspetto sociale. Tolstoj, come nessun altro, è in grado di entrare nel dialogo con i lettori. Soprattutto, non è il padrone assoluto dei protagonisti che ha creato. Così, leggendo le pagine, accompagniamo Anna e il suo amante Vronskij mentre prendono il tè, vediamo il treno con cui Karenina arriva a Mosca da San Pietroburgo e osserviamo la borsetta rossa che ha sul braccio. In parole povere: secondo Nabokov il romanzo si scrive con immagini, non con le idee.
Ulteriore prova di questa intuizione sono le pagine dedicate ai racconti di Cechov, un medico di campagna, del cui impegno civile Nabokov è un ammiratore fervente (e non c’è contraddizione con la sua avversione alle ideologie) e dove in apparenza non succede niente, ma tutto accade nelle stupende immagini, che si susseguono come le onde, e a loro volta suscitano emozioni volute dallo scrittore.