Tuttolibri, 6 marzo 2021
Intervista a Tibor Fischer
Guastatore, funambolo delle parole, creatore di storie scoppiettanti, Tibor Fischer ha studiato francese e latino a Cambridge, ha lavorato come giornalista seguendo l’est europeo prima della caduta del Muro ed è poi approdato alla narrativa. I genitori di Tibor erano giocatori di basket fuggiti dall’Ungheria dopo la Rivoluzione del 1956. Questo evento ha ispirato il suo romanzo d’esordio Sotto il culo della rana, che ha ricevuto 56 rifiuti (conserva le lettere in un raccoglitore ad anelli nero) prima di trovare un editore ed è stato poi tra i finalisti del Booker Prize. Fischer è famoso per tre cose: la sua lingua tagliente, i libri corrosivi e il suo odio per le interviste.
Sembra che tu non abbia un’alta opinione dei media. Quanto è stata negativa la tua esperienza?
«Se conosci bene un settore, è difficile averne una visione rosea. Negli anni ’80 la BBC aveva un’unità di documentari separata a Kensington House, ed era semplicemente la migliore del mondo. Io fino a quel momento avevo solo prenotato scimpanzé e maghi per uno spettacolo per bambini in una stazione televisiva di provincia: il primo giorno ero così nervoso che sono quasi svenuto. Eccomi lì, un giovane, umile prenotatore di scimpanzé, spalla a spalla con i grandi nomi dell’arte televisiva».
E poi?
«Un mese dopo pensavo che il posto fosse uno schifo, con un grosso contingente di fannulloni. Non mi sono mai aspettato molto dai miei consimili, ma anche io sono rimasto scioccato dal modo in cui qualcuno che afferma di essere un giornalista professionista possa scrivere cose completamente false. Facilmente verificabili. La copertura dell’Ungheria è un buon esempio. Lo testimonia l’uso liberale della parola "dittatura" che affiora a proposito dell’attuale governo democraticamente eletto di Budapest. I giornalisti possono sbagliarsi gravemente. Basta esaminare vecchi giornali apparentemente "di qualità" per trovare resoconti favorevoli di Hitler, Stalin, Mao, Pol Pot, l’imperatore Bokassa, Robert Mugabe, Gheddafi. E potrei andare avanti».
Il tribunale di Budapest ha appena revocato la licenza a Klubradio, l’ultima radio indipendente del paese. Tu hai sempre difeso a spada tratta Orbán. Sei ancora sicuro che sia un bravo ragazzo?
«Per la cronaca, l’Ungheria è una democrazia (e come nota a margine non credo che nessuno in Italia dovrebbe essere troppo veloce per esprimere un giudizio su altri sistemi politici. Cura te ipsum). Orbán non è né di estrema destra né antisemita: è di mentalità indipendente e duro, ma è il politico di maggior successo nella storia ungherese. Questo è un dato di fatto, non la mia opinione. E gli unici altri che si avvicinano a lui sono gli aristocratici del diciannovesimo secolo che sono nati ricchi e potenti. L’opposizione ungherese, invece di diffondere bugie su Orbán, dovrebbe concentrare i propri sforzi per convincere gli elettori a votare per loro. È così che funziona la democrazia. Nonostante ciò non appoggio Fidesz o nessuna delle sue politiche. Per me, portare la religione in politica è un errore».
Se potessi cenare con tre persone, del passato o viventi, chi sceglieresti?
«Come scrittore dico Shakespeare, quasi l’unico del suo tempo che non si è messo nei guai: Jonson è stato imprigionato, Marlowe è stato espulso, altri sono dovuti andare a nascondersi. Shakespeare ha fatto soldi. Vorrei chiedergli come. Gli altri due sono Buddha e Jacques Mesrine un rapinatore e mago delle evasioni, soprannominato nei primi anni ’70 "il Robin Hood francese"».
Baxter si trova sempre al posto sbagliato nel momento sbagliato. Anche tu?
«Non abbiamo quasi alcun controllo su quello che ci accade. Solo qualche leggera influenza».
Ti definiresti un uomo dal cattivo carattere?
«Beh, ho mandato solo due persone in ospedale».
Quando è stata l’ultima volta che ti sei ubriacato?
«A Natale. Non c’era molto altro da fare».
Quanta parte della visione del mondo di Baxter condividi?
«Un bel po’. Suppongo che tra tutti i miei personaggi sia quello più vicino a me».
In che misura hai attinto alle esperienze e alle storie personali per questo libro?
«Attingi sempre alla tua vita, non hai scelta, ma non è sempre ovvio. Il giovane Holden è uno dei miei libri preferiti e, negli anni precedenti a Internet, quando non si potevano fare ricerche facilmente, mi sono sempre chiesto cosa desse al libro il suo potere. Non succede quasi nulla, ma è affascinante. Poi, anni dopo, ho scoperto che Salinger aveva preso parte al D-Day. Il giovane Holden è un racconto sublimato della Seconda guerra mondiale».
Cito testualmente: "Baxter si infastidisce con coloro che sono convinti di essere presi di mira perché sono neri, gay o trans o provengono da qualche strano villaggio o parlano con un accento settentrionale, meridionale, occidentale, orientale e si perdono il quadro generale: che il più delle volte stiamo tutti masticando merda". Condividi?
«Abbiamo tutti la tendenza all’autocommiserazione e ci piace pensare che ci sia un motivo per cui le cose vanno storte, quando di solito non c’è».
Pensi che si esageri con il politicamente corretto?
«Ogni epoca ha i suoi aspetti ridicoli. Il concetto di "consapevolezza" ha raggiunto un livello di assurdità in Gran Bretagna. Dire "bianco" è diventato un termine esclusivamente peggiorativo in un paese a maggioranza bianca».
Qual è la tua opinione sulla Cultura della Cancellazione, che promuove la rimozione delle statue degli schiavisti e la censura dei cartoni della Disney?
«Mi diverte sempre quando quelli che si considerano campioni della democrazia e della libertà di parola, non lo sono. Il rifiuto di molti democratici di accettare l’elezione di Donald Trump nel 2016, ad esempio: lo hanno i russi alla Casa Bianca. Se non ti piace quello che dico, hai il diritto di ignorarmi, ma non di zittirmi».
Perché sei così cinico?
«Perché ho vissuto quel tanto che basta».
Cosa è importante per te?
«La famiglia. Un buon letto».
Cosa ti ha portato al giornalismo. E poi ai romanzi?
«Avevo bisogno di guadagnare: giornalismo e televisione sembravano un modo interessante per farlo. Ma ho sempre voluto essere uno scrittore. Ci sono stati molti progetti abbandonati e falliti prima dell’uscita di Sotto il culo della rana».
Quali sono alcuni degli scrittori che hanno plasmato in modo particolare il tuo senso dell’umorismo?
«Mi hanno influenzato Tom Robbins, Tom Wolfe, Anthony Burgess, Apuleio e Ovidio».
Stai guardando qualcosa di interessante in tv? Hai trovato qualcosa di paragonabile ai Monty Phyton?
«È molto raro vedere qualcosa in televisione che mi piaccia. L’ultima serie comica che ho pensato fosse davvero eccezionale è stata The Big Bang Theory, ho seguito anche Silicon Valley. La commedia in Inghilterra è così pedante proprio perché è così "consapevole". Dubito che ci sarà mai più qualcosa come i Monty Python. Netflix ha prodotto un capolavoro, Narcos. Forse non è per tutti».
Cosa stai leggendo?
«Le lettere di Madame de Sévigné. Sono quarant’anni che avevo intenzione di leggerle. Proust le ha rubato la scena. Mi piacciono abbastanza, ma di nuovo, forse non sono per tutti, a meno che non si conosca il diciassettesimo secolo».
Perché sei così stufo di Londra?
«Ci ho vissuto per la maggior parte della mia vita. Crescere qui negli anni ‘70 è stato fantastico. La musica. L’arte. Il teatro. Lo spazio. Abbiamo governato il mondo in molti modi. Ma Londra è diventata dura. Non è stata progettata per l’enorme numero di persone che ci sono ora. E quasi tutti sono di cattivo umore».
Il mondo cambia…
«Sia John Cleese che Morrissey sono stati presi di mira per aver sottolineato che Londra non è più una città inglese. Ma non lo è. Circa quindici anni fa feci un evento nel nord di Londra e presi la metropolitana per tornare a casa a Brixton, quindi attraversai la città. Appena uscito mi resi conto di non aver sentito un solo madrelingua inglese. Londra è diventata come un’enorme sala partenze dell’aeroporto. Per godertela ora devi avere 19 anni o essere ricco. E io non sono né l’uno né l’altro».
Dove vorresti vivere?
«Ovviamente ho molti amici qui, ma c’è anche il problema del tempo, il grigiore quasi permanente. Ho intenzione di stare molto a Budapest in futuro. O ovunque ci sia il sole. Marsiglia. Palermo. Shanghai».
Cosa pensi che succederà ora, dopo la Brexit?
«Brexit? Come la maggior parte degli inglesi, non voglio mai più sentire questa parola. Avrebbe potuto essere tutto risolto in modo intelligente e cordiale, ma non è stato così. Ci sono già molti problemi, ma è difficile dire se si tratti di problemi iniziali che si risolveranno a breve o di un accordo disastroso mediato da Boris Johnson. Di certo non ho letto l’intero documento. Non ho fiducia in nessuno nel parlamento britannico. Credo che abbiamo raggiunto il minimo storico nella classe politica. Mi piacerebbe che l’esercito prendesse il sopravvento».