ItaliaOggi, 6 marzo 2021
Orsi & tori
Anche gli Ott, che è come dire i padroni del mondo, si pentono? Ma non per la miseria del Covid e la sua pena, piuttosto perché hanno capito che il vento sta cambiando. A cominciare da Google, sempre che siano vere le decisioni che dicono di aver preso e per le quali hanno organizzato un grande battage su tutti i media, inclusi i giornali di giovedì 4. «Svolta Google sulla pubblicità, stop ai tracciamenti personali», ha titolato a cinque colonne il nostro confratello Il Sole-24 Ore, che da tempo è in negoziazione diretta per il pagamento dei diritti per l’uso dei contenuti. Ma se la svolta sul rispetto del copyright è importante direttamente per i giornali e gli altri media, verso i quali da anni è in corso un vero e proprio furto, nell’annuncio c’è molto di più e finalmente un segnale per il fondamentale rispetto della privacy, che ha risvolti su un valore altrettanto fondamentale, la democrazia, per i Paesi che ce l’hanno.Nel pieno del Covid e della crisi economica potrebbe sembrare esoterico scrivere dei valori e dell’importanza fondamentale della privacy sul miglior sistema di organizzazione politica e sociale che sia stato messo a punto dai greci fino a oggi. Appunto la democrazia. Ma invece è essenziale che il tema sia affrontato proprio ora, quando il virus non è ancora vigoroso, perché proprio sul virus si può valutare la pericolosità della potenza e delle deviazioni che gli Ott generano nei sistemi democratici.
Infatti, mai come durante questi 15 mesi di pandemia Google, Facebook, Twitter, Amazon e compagnia hanno visto moltiplicarsi la loro potenza e la loro ricchezza. In primo luogo, con il loro sistema di condizionare miliardi di persone nel mondo, hanno permesso di rendere falsa la realtà del virus. I più seri analisti delle notizie che viaggiano attraverso i sistemi degli Ott hanno calcolato che se in generale sulla rete le informazioni false, che si preferisce chiamarle fake news, hanno dal 10 giugno del 2020 sorpassato le notizie vere e, nel comparto specifico del Covid, le notizie false sono arrivate al 70%. Quindi, come prima conseguenza un inquinamento del fattore fondamentale della democrazia e cioè la possibilità per tutti i cittadini di ragionare e valutare in base a informazioni che descrivono la realtà, non un contesto di falsità. Non a caso, i regimi non democratici non solo non consentono di avere la possibilità di una formazione completa attraverso la censura, ma da sempre essi stessi diffondono notizie false.
Più di tutti Facebook, che ha costruito una infrastruttura attraverso la quale ognuno del miliardo e 600 milioni di iscritti può comunicare con gli altri in un baleno. E naturalmente il sistema si presta alla drammatica amplificazione di notizie false. Soprattutto nel campo della politica e della società, un’infrastruttura come quella di Facebook, e in parte di Twitter, determina la possibilità di giudicare i politici o qualsiasi altro cittadino nello spazio di pochi secondi. Inevitabile che siano nati i professionisti di questi giudizi istantanei e che gli uni si combattano con gli altri a suon di notizie false, semifalse o raramente vere. Ma è proprio la possibilità di poter giudicare l’attività di un politico non alla fine del suo mandato, ma per ogni singolo atto, che ha generato l’esigenza dei politici stessi di creare strutture di difesa e di attacco. Dei mostri: non a caso un politico come Matteo Salvini, che è presentissimo sulla rete, chiama la sua struttura per i social La Bestia.
Ma c’è di più. Per dimostrare che sono contro le notizie false, non riuscendoci affatto, gli Ott diventano giudici assoluti e arrivano, come è successo con le dichiarazioni di Donald Trump, a decidere loro se censurarle o meno. Quindi al potere di diffondere hanno aggiunto quello di poter censurare il presidente degli Stati Uniti, democraticamente eletto, a prescindere che scriva e dica cose assurde. Il principio della democrazia è che i cittadini debbano poter valutare un presidente anche e soprattutto dalle assurdità che pensa e diffonde. Quindi, diffusori all’ennesima potenza, ma anche censori senza regole. E il tutto perché?
Per trasformare questa loro potenza in attività commerciali. Per profitto, che è balzato appunto alle stelle, proprio durante il Covid. E questa potenza economico-finanziaria permette di travalicare da quelle che erano le attività originarie. Così Amazon, che aveva iniziato la propria attività come venditore di libri online, ora non solo è il dominatore dell’e-commerce, ma è entrato direttamente nelle case con Alexa. La quale diffonde sì notizie, musica, previsioni del tempo e per questo le famiglie l’hanno acquistata, ma è contemporaneamente un microfono aperto in casa per acquisite dati sul comportamento degli individui, violando inevitabilmente, anche se il consenso degli interessati è implicito nell’aver acquistato Alexa, dati che servono per moltiplicare sempre di più la conoscenza e quindi la permeabilità commerciale dei clienti. Ma è nato anche Amazon prime, che con la potenza finanziaria che gli sta dietro sta conquistando sempre più notorietà e uso, moltiplicando l’acquisizione di dati per il profilo degli utenti, tutti fotografati per vendergli sempre più prodotti e servizi. E inevitabilmente i cittadini, spesso, non ne possono fare a meno, vista la comodità, specie durante il Covid, di avere il servizio a casa. Ora anche per conto di gruppi di commercianti del settore alimentare, con servizio Amazon già attivo nelle grandi città. Ogni acquisto, molti dati in più. E ogni volta, sempre più violazione della privacy, o comunque schedatura del cliente.
Bellezza, si potrebbe dire, è l’effetto della digitalizzazione del mondo e di ciò, in termini di straordinario sviluppo delle tecnologie, che il progresso scientifico determina. Certo, anche la fusione nucleare è uno straordinario frutto della scienza. Ma la scoperta ha generato la bomba atomica che dopo Hiroshima ha fatto capire al mondo che occorreva mettere un limite alla proliferazione nucleare, regolarmente violata e con Paesi come la Corea del Nord o l’Iran che rifiutano i controlli.
Per fortuna con il dominio degli Ott non è in gioco la vita degli esseri umani, almeno sul piano fisico, ma i dati che si accumulano negli storage degli Ott sono tali da essere in un certo senso più pericolosi della bomba atomica. Sostiene spesso Tim Cook, capo di Apple: «Stiamo attenti, perché se quei dati finiscono nella disponibilità di un nuovo Hitler non ci sarà più libertà».
E tutti quei dati vengono accumulati proprio perché gli Ott, sia pure in modo vario, violano la privacy di ognuno di noi. Non vi è quindi da illudersi che Google abbia annunciato che rinuncerà alle tecnologie che consentono di seguire gli utenti nella navigazione individuale sul web. Finora Google ne ha fatto di queste tecnologie un uso totale. E infatti in questo modo ha conquistato il controllo di oltre la metà della pubblicità digitale. Di fronte al furto delle notizie ai media di tutto il mondo, da mesi Google deve confrontarsi con la reazione del Parlamento europeo che ha varato, oltre un anno fa, la legge che protegge la proprietà delle informazioni con l’introduzione del copyright. Capendo il vento, Google (pardon, Alphabet, che è il nuovo nome della società che possiede Google, ritenendo i suoi fondatori che l’Alfabeto sia l’inizio di tutto, con ciò che ne consegue nella loro ideologia) ha avviato approcci con gli editori per raggiungere accordi economici. In linea di massima sono state offerte da elemosina. Un miliardo di dollari da dividere per tre anni per tutto il mondo. Il primo accordo è stato fatto con i giornali francesi: 20 milioni da dividere fra oltre 300 testate. Dopo l’Europa è arrivato vento forte dall’Australia, con minaccia di esclusione del servizio nel nuovo continente. Miracolosamente è arrivato subito l’accordo, ben più sostanzioso delle elemosine, con News Corp, il grande gruppo di Rupert Murdoch. Facebook, in un tentativo arrogante di difesa, ha minacciato di cancellare tutti gli utenti australiani. E infine la comunicazione di pochi giorni fa con cui Mountain View, il nome della città della California che, per traslazione, viene usato per indicare Google, ha fatto la concessione di non tracciare più gli utenti per scopi pubblicitari. Insomma, una comunicazione per far calare la tensione. Resta il fatto che neppure con ciò viene rispettata la privacy degli utenti e in più resta difficile credere che in questo modo abbiano deciso volontariamente di veder diminuire il fatturato pubblicitario.
Tempo fa Larry Page, uno dei due fondatori di Google assieme a Sergei Brin, di origine russa, arrivò a dire che mai al mondo avrebbero pensato con la loro idea di fare gli editori e, quindi, di avere ricavi pubblicitari. Larghissima parte, per non dire la totalità, dei loro ricavi viene invece proprio dall’advertising.
Hanno acquistato la società Fitbit, che produce orologi digitali con analoghe proprietà di quelli di Apple, cioè con anche la capacità di rilevare tutti i parametri sanitari di chi li ha al polso. Per la prima volta le autorità statunitensi gli hanno inibito di consolidare i dati provenienti dagli orologi con quelli derivanti dall’attività di Google. Un segnale che, sul piano della privacy, ormai il vaso è colmo e che sarebbe mostruoso che, oltre che tutte le indicazioni sui comportamenti degli utenti, Google potesse consolidare anche lo stato di salute degli individui. Era e sarebbe veramente troppo. Per fortuna che c’è stato il divieto, perché non vi è dubbio che la privacy sia allo stesso tempo il fondamento del rispetto umano ma anche il fondamento da cui discende la base della democrazia.
Al punto che sono già in stato avanzato alcuni sistemi per recuperare la propria privacy. Ogni individuo può chiedere a Google di avere copia dei suoi dati accumulati nel tempo di uso del motore di ricerca e tenerli sul suo computer personale, naturalmente con ampia capacità operativa. Poi si può chiedere a Google che cancelli i dati personali dai suoi storage. Operazione non semplice, anche perché senza dati Google non permette di usare agevolmente i suoi servizi. Ma la soluzione, anche se complessa, c’è. L’adozione di blockchain per la gestione dei dati personali da parte di chiunque raccolga e detenga grandi database di questi dati può offrire vantaggi tecnologici. Ogni blockchain è infatti un database distribuito in cui i dati e le relative modifiche non possono essere gestiti dal solo amministratore centrale, come nei database tradizionali.
Intuito che il vento sta per portare burrasca e che gli individui hanno sempre più coscienza di quale prezzo enorme pagano agli Ott per avere i loro servizi, appunto la concessione di tutto se stessi, da Mountain View cominciano a fare concessioni. Quella di non seguire gli utenti su tutto quanto fanno sul web e quella di parlare soprattutto ai giornali per dire, in pratica: guardate che rinunciamo a una parte delle pubblicità che vi abbiamo strappato. Troppo poco, perché oltre che alla concorrenza sleale verso i media, Google e con lui tutti gli altri Ott devono, dovranno accettare di rinunciare a essere padroni di fatto di tutti coloro che utilizzano i propri servizi. La privacy è talmente un fondamento della democrazia, che tutti i Paesi più avanzati hanno un’agenzia che deve tutelare la privacy dei cittadini. Ma finora hanno potuto fare interventi solo marginali di fronte allo strapotere degli Ott. Andare oltre è fondamentale per salvare la democrazia. Va dato atto, agli Ott e agli uomini che li hanno fondati, di aver creato con la tecnologia servizi eccezionali, di cui di fatto è difficile fare a meno, ma ciò non può poter voler dire che gli stessi Ott abbiano piena libertà di possedere tutto quanto rientra nel privato dei cittadini, anche se sono loro stessi a cedere se stessi. Altrimenti il grande progresso tecnologico creerà mostri pericolosissimi.
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E a proposto di sviluppo tecnologico, finalmente arriva un’altra buona notizia dall’Italia. Il Fondo Fsi guidato da Maurizio Tamagnini ha portato a termine un’altra brillante operazione. Ha concluso la cessione per 1,5 miliardi di Cedacri, nato come centro servizi informativi delle banche, a Icon, una struttura creata dall’italiano Andrea Pignataro, da molti anni a Londra dove ha creato più aziende di successo. Tamagnini, che da qualche anno aveva affiancato con Fsi le banche socie, definisce Icon una sorta di Bloomberg italiano, con capacità di offrire servizi di dati, informazioni e tecnologia a chi opera nel mondo finanziario.
Non molti sanno che Tamagnini è presidente del consiglio di sorveglianza di StMicroelectronics, la jv Italia-Francia, leader nella produzione di chip essenziali per ogni sviluppo e utilizzo del digitale. StMicro ha un valore in borsa di oltre 25 miliardi, un campione europeo, che ha stabilimenti straordinari a Catania, in Sicilia. Con la stella polare del grande gruppo italo-francese, uno dei pochi se non l’unico che funziona, Tamagnini e il suo staff hanno dato vita prima di Icon ad altre operazioni brillantissime sulla strada di consentire all’Italia di evolversi nella tecnologia e concorrere a livello internazionale. Sono stati gli iniziatori di quanto è ora Open Fiber, per la quale si spera possa avvenire l’integrazione con la fibra di Telecom, sì da far arrivare la banda larga in tutt’Italia. Ma l’operazione più importante in assoluto è stata la integrazione di Sia (di cui Fsi era in passato socio) con Nexi, creando una delle principali strutture al mondo per i sistemi di pagamento, che hanno nelle carte di credito l’attività più visibile ma non unica.
«Fsi ha fatto un ottimo profitto investendo in Cedacri, ma larga parte del guadagno lo reinvestiamo in Icon perché è fondamentale che l’Italia abbia un operatore globale nel campo dei dati, delle informazioni e delle analisi finanziarie», dice Tamagnini.
Proprio così, perché c’è da favorire l’investimento dell’enorme risparmio italiano in primo luogo in Italia. Senza benzina, non c’è sviluppo.